Non passa giorno che un qualche alto papavero di quel mondo a noi straniero che si chiama “Repubblica italiana” non si cimenti nell’arte di insultare Venezia, o il Veneto, o i veneti, o tutti insieme. In ultimo improperi giungono dal fotografo Oliviero Toscani – un genio nell’arte tutta speculativa di ritrarre moribondi e malati come il pittore di agonie del celebre film “La casa dalle finestre che ridono” di Pupi Avati, ma almeno nel film tutti concordavano che fosse uno squilibrato e non un genio, salvo le sorelle che ne perpetuavano gli istinti e le pratiche assassine. Chissà che non abbia restituito allora tutto quanto ha ricevuto dai Benetton – sono veneti credo – per la sua prestazione d’opera passata. Ah, ma pecunia non olet. Chissà però cosa al riguardo pensano i Benetton stessi: alla fine quel che importa, anche per il futuro della Venetia libera, non è l’umore del cortigiano di turno, ma la volontà dei principi.
E così nel 2007 intellettuali di italico regime come Galli della Loggia, demagoghi come Veltroni, Amato, Fini, Visco, e nel 2008 appena sorto – l’anno del topo, secondo i cinesi: profonda saggezza orientale, che festa per i topi l’esplosione napoletana delle scoasse – Jervolino Rosa Russo, hanno dato il loro meglio per offendere il Veneto. Chissà perché.
Perché l’ignoranza ha bisogno di esprimersi non meno dell’intelligenza e della cultura.
Se andate a vedere “Io sono leggenda”, un inquietante film su un mondo pieno di creature inamene, vedrete che anche gli zombie hanno i loro leader, che vogliono esprimere le proprie opinioni, e, magari senza troppo garbo, lo fanno. Mica si limitano a papparsi i pochi umani sopravvissuti!
In realtà, occorre riflettere ad un livello più sofisticato per comprendere questo fenomeno. La truffaldina annessione della Venetia nel 1866 al regno d’Italia ha ovviamente comportato un processo di colonizzazione culturale in cui sia la storia corrusca della Serenissima, sia tutti coloro che esprimevano una classe intellettuale in contrasto con l’ideologia del vincitore, venivano soffocati, ridicolizzati, messi alla berlina. Dunque, si è innescato un processo di autoghettizzazione culturale – pieno di gloriose eccezioni, ovviamente. Grazie a quel processo, molti veneti stessi, compreso imprenditori grandi e piccoli, risultato di un vero e proprio lavaggio del cervello, hanno guardato con sospetto – sospettandoli di essere provinciali, limitati, passati – alle menti importanti, e legate al territorio, che la Venetia ha espresso anche dopo il 1866. Insomma, ha avuto luogo un processo di provincializzazione del pensare: per cui, in molti casi, uno storico romano, un fotografo toscano, un poeta campano, sono stati ritenuti i veri grandi “cosmopoliti”, perché espressione riconosciuta altrove della cultura nazionale italiana, di questa grande nazione che si è segnalata per nessun merito. Ma ha fatto credere, abilmente, di averne tanti.
Questi tempi, tuttavia, sono passati.
La Venetia produce e manda nel mondo fior di cervelli. Parlano in inglese e in inglese operano, la lingua di lavoro per molti di noi. A tutti è chiara la menzogna della cultura nazional-popolare italica, le cui maggiori manifestazioni, alla fine, sono il campionato di calcio, il festival di Sanremo, e il giro d’Italia, e Miss Italia naturalmente. Non c’è più, se mai vi fosse stata, la necessità di importare i pensatori e gli intellettuali dalle scuolette normali, dalle scuolette di pubblica amministrazione, da tutti questi portati della francesisazzione forzata dell’Italia. Padova, Venezia, Verona, di menti brillanti ne producono abbastanza. Salvo che poi un sistema bacato perché nazionale è incapace di assorbirle, e dunque vanno negli USA e nel resto del mondo.
Certamente, rimane, ed è da analizzare, un certo distacco di alcuni intellettuali essi stessi veneti verso la Venetia e la sua sacrosanta aspirazione verso l’indipendenza. D’accordo, non esiste nessuna figura della levatura internazionale di Sean Connery, che sostiene la causa vincente dello Scottish National Party. Ma pensate ad un regista padovano come Mazzacurati. Perché offendere la produttività veneta nel suo ultimo film, coniugando, secondo così tristi stereotipi, ricchezza improvvisa con ignoranza e volgarità? Perché pensare che se una bella ragazza non veneta viene ad abitare in un paesino vicino a Rovigo, non possa che suscitare le foie assassine di un autista locale, o le foie volgari e bieche di un negoziante locale? Mentre solo in un onesto immigrato vive la passione maritale? Ma su Mazzacurati, i suoi compatrioti veneti sono persone perbene, meriterebbero che lei li trattasse meglio, anziché spacciare al mondo per oro colato sulla pellicola cotali menzogne, cotali fiabe da osteria, solo perché al mondo politically correct fa piacere sentirsela raccontare così. La sceneggiatura gliel’ha scritta Veltroni?
Eppure, anche qui, meccanismi mentali strani, su cui occorre riflettere, hanno luogo. L’identificazione denaro-ignoranza, che un giornalista come Stella ha posto al centro del suo libro “Schei”, un insulto radicale verso i veneti da parte di un veneto, è soprattutto commercialmente valida. Che bello consolarsi leggendo che i veneti più diventano ricchi più diventano ignoranti. Ma questo contraddice la storia. La ricchezza porta cultura, inevitabilmente. Se no, se applichiamo questo principio indiscriminatamente, dobbiamo pensare che tutti i soldi fatti da Stella con quel suo libro abbiano contribuito a renderlo più ignorante. E’ un discreto divulgatore, ma dovrebbe chiedersi se ama il proprio paese e se vale la pena divulgare il falso sul Veneto pur di vendere bene.
Insomma, vi è un lungo cammino da compiere. Ma le coordinate storiche e teoriche per farlo ce le stiamo dando proprio tutte. Quando la Venetia sarà libera, quanto materiale per i giovani storici, quanti bei libri “1866-2012: Venice as an Italian Colony”.
Paolo Bernardini
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