Generalmente in modo inappropriato le giunte comunali prendono decisioni riguardo al cambiamento dell’onomastica, nello sforzo di “modernizzare”, dettato ai sindaci, figure spesso del tutto prive d’ogni valore intellettuale, da chissà quali ideologi dello Stato centrale, che ritengono che i cittadini asserviti meglio si trovino a far compere in “Piazza della Frutta”, piuttosto che in “Piazza delle Frutta”, e via così. Ma la modernizzazione, cotale modernizzazione, significa, invero, perdita di identità, forzato allontanamento da quel che erano le proprie origini e radici. Ma non solo vie, strade, borghi e cantoni hanno dovuto rinunciare al proprio nome originario, e così spesso nel Veneto. La rinuncia, assai più grave, è toccata ad intere cittadine. Il Presidente della Repubblica Italiana visiterà presto infatti Vittorio Veneto, chiamato così in onore di un Vittorio che tutto era fuorché veneto, Vittorio Emanuele II. Molto si parla del plebiscito del 1866, ma forse occorrerebbe anche indagare quali furono i sentimenti degli abitanti di Ceneda e Serravalle quando decisero, loro ma più probabilmente qualcuno in lor vece, di unirsi, il 27 settembre 1866, e di assumere codesto infelice nome, il successivo 22 novembre. “Veneto” peraltro il comune di Vittorio lo divenne solo per decisione di un altro napoletano, il generalissimo Armando Diaz, che si era particolarmente distinto in quell’opera di sistematica macelleria dei popoli che fu la prima guerra mondiale. E siamo nel 1923. Ci volle il Fascismo perché la diocesi fosse rinominata, si chiamava “di Ceneda”, infatti, fino 13 maggio 1939. Insomma la Chiesa fu l’ultima ad arrendersi alle pretese statalistiche, che rinominano perfino antiche città onuste di gloria, Ceneda patria di Da Ponte, Serravalle grande centro di produzione laniera e d’armi della Serenissima. Eppure sono certo che covi sotto la cenere di appena un secolo e mezzo di storia l’orgoglio degli abitanti di Ceneda e Serravalle, lo stesso orgoglio che è vivo nel cuore, nella memoria, nella mente di tutti i veneti. Speriamo che il Leone di San Marco sventoli il giorno della visita del Presidente di una repubblica straniera. Che il ruggito del Leone sia grido di battaglia per ricuperare i nomi cancellati insieme alla libertà originaria. E spazzi via il bianco della morte, il rosso della vergogna e il verde dell’invidia di una bandiera estranea, simbolo di una cultura diversa.
Paolo Bernardini
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[…] Tratto dall’originale pubblicato su https://www.pnveneto.org. […]