Lettera agli amici napoletani
Chi conosceva Napoli assai più di colui che scrive, che vi scrive, queste righe, Benedetto Croce, scrisse, tra l’altro, un piccolo singolare libro, in cui definiva questa splendida terra, la vostra splendida terra, un “paradiso abitato da diavoli”, ma quei diavoli in fondo cui Croce non negava una certa, malcelata, simpatia, quei “lazzari”della rivoluzione del 1799, io vorrei vederli solo e soltanto come patrioti. Vi scrivo in codesto volgare toscano nello spirito che fu di un linguista e storico veneziano della Rinascenza, Pietro Bembo, che suggeriva di adottarlo come lingua franca per le popolazioni della Penisola. Ben prima dunque che fosse imposto nelle scuole tutte, da quell’Unità d’Italia che ha fatto e fa tutto per dividerci, e per sempre. E che come tutto quel che è imposto da un potere estraneo, alla fine si odia; ci conforta, se mai, sapere che i patrigni fondatori di codesta Italia giunta alla propria fine, l’italiano ben poco conoscevano. Lo apprese tardi Cavour, la cui prima lingua era il francese. Garibaldi lo biascicava appena. Leggete le lapidi da lui dettate per i suoi “garibaldini”, ad esempio quella di Schiaffino nella splendida Camogli, nella mia Liguria, che spero un giorno anch’essa divenga di nuovo libera. Ignora perfino gli apostrofi. Vorrei scrivervi, invero, nella vostra bella lingua napoletana, ho perfino un suocero che la parla correntemente, e ha scritto volumi su di essa, ma purtroppo non ne sono abbastanza padrone.Vi scrivo dalla Venetia una volta assai più vicina al Regno di Napoli e poi delle Due Sicilie, prima che l’unità fittizia ci allontanasse, ci dividesse, ben prima che la parola “terrone” esistesse. Lo dimostrano, tra l’altro, le comunità di mercanti napoletani nella Serenissima, e di mercanti veneziani nel Regno di Napoli; la divisione politica non impediva il commercio umano, e l’Italia, intesa come espressione geografica, era prospera, per gran parte del regime antico. Poi, gli ideologi dell’Unità ci hanno parlato di voi come lazzaroni, come terroni, come parassiti, come camorristi, come scansafatiche. Divide et impera, ovvero, mantieni l’odio tra i popoli aggiogati sotto una medesima bandiera, per meglio tenerli sotto controllo. Generazioni di storici hanno gettato infamia sia sulle repubbliche marinare, perfino sulla vostra Amalfi, la prima a scomparire dalla scena della storia, sia, e siamo molti secoli dopo, sui vostri patrioti, chiamandoli “briganti”. Mentre i generali sabaudi bombardavano le folle al Nord i sicari sabaudi tormentavano, torturavano, i “briganti”, dando loro una caccia spietata al Sud. Erano eroi, che vivevano nella semplicità del guerriero proprio dei lazzari, come, e bene, ce li racconta Benedetto Croce. Nella mia scuola elementare genovese, alla fine degli anni Sessanta, una bambina napoletana era così terrorizzata dall’idea di entrare in classe, tanto era l’odio che i genitori trasmettevano ai figli, che l’accompagnavano fin dentro l’aula, di regola, i suoi genitori stessi. Poi scelse un’altra scuola. Alcuni dicevano che “puzzava”, e i maestri lasciavano correre. L’Unità che divide. Ecco cosa ci è stato imposto. Non fa piacere vedervi in un mare di immondizia. Sembrate angeli in un inferno. Non fa piacere vedervi combattere con i poliziotti, non fatelo, se mi posso permettere: sono anche loro poveracci come voi, a cui nel teatrino, per lo spasso degli alti papaveri italiani, è assegnata la parte del cattivo. Inscenate una battaglia di pupi. Unitevi piuttosto nel comprendere che anche per voi, ma paradossalmente soprattutto per voi, l’indipendenza è una necessità. Non fatevi convincere che siete destinati al sottosviluppo. E’ la favola bella piena di brutte intenzioni che si dice da sempre sul “Sud”, ma è una menzogna: ripassate secoli intieri della vostra storia su manuali non scritti da scribi vili e prezzolati. Anzi, anche per voi l’indipendenza porterà un ritorno di orgoglio, vi riapproprierete della vostra lingua che linguisti al soldo unitario, per due lire, chiamano “dialetto”. E l’orgoglio non vi manca. Se un giorno anche voi sarete liberi, potremo riabbracciarci e prosperare insieme. L’unità fittizia che ci ha diviso per un secolo e mezzo, forse due, sarà superata dalla divisione naturale e politica, che ci unirà di nuovo come cittadini del mondo, e individui. Nella prospettiva del cosmopolitismo che è così tanto la vostra, allegri cittadini del mondo, che, come i veneti, non hanno mai temuto nessuna latitudine pur di sopravvivere alla fame abilmente imposta a milioni di loro neo-schiavi dai creatori dell’Italia unita. Insomma, combattete per la vostra libertà, che è la nostra, anche: facite ammuina! Come stiamo facendo noi.
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