Ieri ho avuto la conferma che a noi veneti manca ancora una classe dirigente che sappia pensare in termini almeno di pari importanza rispetto a quelli che la nostra statura culturale, economica, civica ci impone.
Ho infatti ascoltato con piacere gli interventi dei relatori e dei premiati in occasione del Primo Premio Tiglio Veneto 2008, organizzato dal movimento Veneti a Cappella Maggiore.
Innanzi tutto vanno i miei complimenti e credo quelli di tutti i convenuti agli organizzatori, in particolare a Ivan Salvador, coordinatore del distretto di Treviso di Veneti, e a Giustino Cherubin, che, con la loro consueta amabilità, dedizione e preparazione hanno permesso a tutti noi di godere di una mattinata unica e che spero diventi una tradizione che si ripeterà negli anni, visto il successo.
Tornando agli interventi, essi erano senz’altro tutti molto interessanti e ampiamente condivisibili.
Ciò che in qualche passaggio è mancato forse è una impostazione che permettesse di individuare una chiave di interpretazione e di azione per il nostro futuro di veneti liberi e sovrani nel mondo.
Come giustamente ha sottolineato Patrik Riondato (presidente di Veneti), se è vero che il titolo del Convegno era “Na tera, na lengua, na bandiera” è altrettanto vero che il sottotitolo suonava in termini di apertura al domani: “Un futuro da protagonisti nel cuore dell’Europa” e che questa apertura è apparsa solo sporadicamente.
Non possiamo credere di costruire il nostro futuro confidando solo nella completa distruzione del tessuto socio-economico veneto di oggi: sicuramente esso è in grave difficoltà per le situazioni che sono note a tutti e la prima è proprio l’ingabbiamento all’interno di un sistema statuale coloniale e liberticida.
In questo senso, il ripetere stancamente il ritornello anti-multinazionali ci fa dimenticare che alcune di esse si chiamano Diesel, Lotto, Benetton, Geox, Luxottica – solo per citare alcuni marchi noti a tutti – e che, ci piaccia, o meno, rappresentano oggi la veneticità nel mondo, o quanto meno nel cosiddetto villaggio globale. E ci fa dimenticare che ad essere in grave crisi proprio per il difficile equilibrio nel mondo globalizzato di oggi sono proprio quelle multinazionali che si sono irrigidite nella propria architettura organizzativa, che hanno gravemente dissipato il proprio patrimonio umano svilendolo, esternalizzandolo (attraverso l’outsourcing, il body rental e altri simili diavolerie contrattuali che delineano il cosiddetto precariato, per abbattere i costi fissi del lavoro) in quelle che Porter chiama attività di supporto che ormai comprendono quasi tutte le attività aziendali delle grosse conglomerate, dal marketing all’amministrazione, financo a molti processi produttivi.
Sono proprio queste organizzazioni che stanno creando la grande instabilità finanziaria a livello planetario, che si rivela attraverso scossoni enormi quando una di esse cade per l’avvenuta ingordigia e corruzione del proprio managemente arroccato nella propria cittadella blindata del potere. Esse sono sì potenti, ma anche estremamente fragili. Risentono della turbolenza competitiva con grande sensibilità, molto maggiore rispetto alle organizzazioni più piccole, leggere e flessibili.
Non possiamo nel contempo stroncare tout court l’attuale linea comportamentale che emerge nei giovani di oggi. Dobbiamo capire cosa essa rivela, di quali tratti essa si compone, quali vissuti rivoluzionari bloccati rivelino le esperienze al limite dell’autodistruzione – e non di rado oltre – dei nostri teen-ager, dei nostri toxi e putei. Non è scagliandosi contro di esse senza capirne il significato che riusciamo a esorcizzarle. Così facendo ci poniamo come generazione conservatrice che fa barricata contro il nuovo mondo che ci travolgerà inevitabilmente con immenso danno per tutti, allo stesso modo in cui la classe dirigente del 68 è stata travolta da quella che si è trasformata nell’attuale dirigenza italiana e anti-veneta, colonialista, ma anche immatura e mammona, ideologizzata e profondamente comunista e massimalista anche nei suoi esponenti più liberali (pensiamo alla formazione politica dei vari maîtres-à-penser del liberalismo tricolore quali i Giuliano Ferrara, i Paolo Liguori, i Sandro Bondi).
Noi, come loro, saremo travolti dai quindicenni di oggi che – pur fragili nel loro impianto valoriale umano – hanno potenzialità d’azione di diversi ordini di grandezza superiori alle nostre.
Noi veneti per conquistare la nostra sovranità dobbiamo costruire la classe dirigente che sappia interpretare i modelli evolutivi di oggi e li sappia convogliare in un domani più sereno per tutti, anzi serenissimo!
Dobbiamo acquisire la dignità di statisti veneti, per ambire alla fondazione dello Stato Veneto, la Venetia indipendente al centro dell’Europa e a una nuova relazione con il Commonwealth Veneto nel mondo e con tutti i Popoli del pianeta.
Dobbiamo abbandonare per sempre i piagnistei e la nostalgia del passato che non tornerà qual era per ovviare all’infelicità di oggi, ma che dev’essere fonte di ispirazione per farci crescere come uomini consapevoli della portata delle nostre scelte odierne per il futuro da veneti liberi.
Gianluca Busato
Comitato PNV
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