Inevitabilmente, come ogni cosa che sia stantia e marcescente, anche la politica italiana sposa in pieno la necrofilia. Stasis dicevano i Greci antichi la decadenza, prima che l’immobilità. E così è in questo mesto circo con pagliacci acrobati e acrobati pagliacceschi, pieni di lauree e onorificenze “honoris causa” ma incapaci assai spesso di terminare i non asperrimi studi nei nostrani atenei, si esibiscono in numeri tristissimi. Uno si chiama: Dagli al pedofilo!
Grande notizia del giornale – che strappa l’attenzione perfino agli sviluppi in Kosova, magari prodromi di una bella guerra mondiale – “Veltroni apre alla castrazione chimica!”. Oh. Che grande apertura. Tutti concordiamo che la pedofilia sia un crimine immenso. Ma i problemi di questa cosa chiamata “Italia” (che abbrevierò in “IT” per palesi somiglianze con il personaggio di Stephen King), che l’ultimo Newsweek senza mezzi termini ha chiamato “disastro d’Europa”, non sono i pedofili: Veltroni e gli altri castratori chimici solleticano solo, vilmente, i desideri giustissimi di giustizia e punizione per chi violi l’innocenza dei fanciulli.
Ma forse costui non ricorda che proprio le politiche garantistiche della sua parte politica hanno fatto sì che il diritto penale in IT faccia acqua da tutte le parti. E cercare l’enfatico, belluino consenso di chi vorrebbe torturare personalmente con ferri roventi anche un sospetto soltanto di pedofilia, significa poi ignorare che tutto il suo osceno garantismo fa sì che i pedofili, quelli veri e non i fantasmi dell’immaginazione umana, in galera stiano poco, escano, e compiano il medesimo vilissimo crimine di bel nuovo, come è accaduto in questi giorni.
Tutto l’armamentario strappa-lacrime suscita-passioni (basse) della politica italiana viene fuori, come una farsa che non ha mai fatto ridere nessuno e che ora ripetuta la volta ennesima fa solo piangere, in questa tragicomica stagione: l’aborto, l’attacco statalistico, “liberale” (!) alla Chiesa (Pannella, venuto fuori dall’Ottocento, sopravvissuto al Novecento, e ora comprato e venduto come Lafayette nella poesia di Blake, un morto da sempre a giro, un vivo che non muore mai) i pedofili, i necrofili, gli emuli di lucacoscioni.com, i noglobal, i sìglobal, tutti gli appellanti alla passione bassa, al basso ventre vendicativo.
Perché tutti costoro non sono davvero coerenti, e non proclamano che una volta eletti, e in barba al principio della non-retroattività della legge penale, faranno condannare a morte, dopo tortura ovviamente, Rosa e Olindo, gli sterminatori di Erba? Oh, sicuramente che grande consenso avrebbero, potrebbero perfino poi portare l’IRPEF al 90%. Che è l’unica cosa che a loro, che allo Stato italiano, interessa: pescare Valentino Rossi evasore rende molto di più che non mettere in galera un assassino, che oltretutto poi diviene un costo per l’apparato. Per cui l’attenzione mirata va al primo, non al secondo.
Nessuno dice dove stanno i veri crimini, perché è questo Stato che li commette.
Sottraendoci oltre il 50% del nostro reddito – se fossimo marxisti, e adottassimo la sciagurata teoria del valore-lavoro, lo Stato sottrarrebbe più della metà del lavoro dell’individuo – per mantenere mille auto blu (almeno fossero mille bolle come nella canzone di Mina, porterebbero allegria), un apparato di privilegi vergognoso, l’Alitalia che vola come i vampiri dei film, solo succhiando soldi ai contribuenti, professori che non sanno, università divenute liceoni (ma neanche quello: il mio Classico genovese era superiore, di gran lunga, ma mi diplomai nel 1982), montagne himalaitiche di rifiuti. Ma cosa funziona? E soprattutto cosa funziona bene?
Il 13 e 14 aprile si ripete un rito mestissimo, triste come la faccia di quella tipa che fa la pubblicità alla costituzione di stato sulle reti di stato. Andare alle urne. C’è qualcosa di vecchio e stantio in tutta la politica italiana e non solo, non solo di palesemente fraudolento. Questa macchinosità per fare una cosa semplice ci dice che nella nostra Venetia libera alle urne non si andrà più, per fortuna l’elettronica ci ha liberato da questo fardello – si legga l’ultimo Economist, c’è un lungo rapporto sull’e-government – che non chiuderemo le scuole per celebrare l’ascesa a Roma dei più ignoranti di tutti (chiudere le scuole per le elezioni ha questo immenso valore simbolico), che voteremo da casa con una tessera elettronica, e potremo fare di meglio tutta la giornata.
L’urna, la scheda, lo spreco immenso di risorse per questa ordalia ridicola, non ci sarà più. Mi ricorda, tutto questo apparato elettorale, l’arretratezza della politica, e dello Stato in generale, nei confronti della società civile, della scienza, dell’uomo del terzo millennio. Ha una sinistra analogia, nel suo vecchiume, nella sua immane tristezza, con gli apparati che in America circondano e apprestano il mesto, profondamente incivile rito delle esecuzioni capitali. Che infatti vanno spesso male, con i condannati che patiscono pene indicibili prima di morire. Eppure, lo Stato americano, quando vuole, sa essere efficiente (la precisione del missile che centra un satellite impazzito, partendo da una portaerei), e talora perfino umano.
Andare alle urne per le elezioni nazionali ha qualcosa di simile al recarsi al patibolo: anche se non si sa se si sia spettatori, vittime, boia. Ma chiunque noi siamo, al compiersi del rito, non abbiamo da gloriarcene o esserne fieri.
Speriamo che la Venetia libera venga presto. O condanneremo anche le generazioni future a questi riti, ad essere schiavi, spesso senza saperlo. A vedere mesti figuri che ci chiedono il loro plauso perché promettono di tagliare le mani ai pedofili (ma quanti sono, questi pedofili?), mentre mettono le loro sguaiatamente nelle nostre tasche. E ci tirano fuori quanto più possono.
Paolo Bernardini
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