L’identità italiana – tanto cara ai veteronazionalisti da vero Ottocento come Galli della Loggia e compagnia, ai nostalgici delle imprese coloniali, neofascisti, irredentisti e tutta cotale paccottiglia umana, quelli che ancora sperano in una nuova guerra mondiale per andare a riscattare gli “italiani” di Istria, Dalmazia, e forse perfino del Canton Ticino – alla fine si manifesta, concretamente, in ben poche e misere cose. Inaugurando il mio corso sulle istituzioni e la storia americana a Como ieri, 3 marzo 2008, con brivido ho assistito all’incapacità di una classe di oltre 200 studenti a datare sia la costituzione americana, sia la costituzione italiana: non che la seconda sia gran cosa, né che sia destinata a durare molto più dei suoi sessant’anni, ma stupisco comunque per l’ignoranza di studenti universitari, crassa ed esibita, perfino sui “fondamenti” del regime di IT, quel che consente loro per due lire di andare all’università pubblica e di avere docenti, almeno in alcuni casi, di grande livello. Vivono in un loro mondo particolare, in altri casi – se non fosse frutto di mera ignoranza – potrebbe essere perfino positivo il fatto che ignorino data e principi fondamentali della costituzione italiana, ma la realtà triste per loro è che essi stessi sono soggetti a quel documento. E al declino umano, materiale, ed intellettuale cui il “paese” IT assoggetta progressivamente i propri cittadini. Ma come si manifesta davvero l’”italianità”? In riti tristissimi, nel calcio dei corrotti e corruttori che la fanno comunque franca, nel Giro d’Italia che come ogni giro ci dà sempre in regalo (nuovo giro, nuovo regalo) dopati e dopatori, e occasionalmente qualche bel morto. Sport che nella loro configurazione attuale fanno orrore, che producono solo le vergognose risse e gli ammazzamenti fuori degli stadi, di poveri diavoli, i “tifosi”, che non arrivano a fine mese e talora vi arrivano solo perché gli ultimi giorni del mese li passano nelle patrie galere, a spese di IT (ovvero nostre). Questo mentre si azzuffano per giovanotti miliardari e viziati che li guardano dall’alto in basso, senza rendersi ben conto perché questa cosa accada. Penso poi per quel che riguarda il ciclismo, l’avello del Pantani sia suggello del silenzio. Nello sci esaltanti sono le imprese di sciatrici tedesche per appartenenza etno-linguistica, ma che sciano per il tricolore: ecco, un risultato tangibile della prima guerra mondiale: 600.000 morti sono serviti a farci vincere qualche slalom. Ma la cosa più incredibile è che perfino gli extra-beneficiati dal sistema, coloro che senza la ripugnante tassa chiamata “Canone RAI” si esibirebbero negli scantinati delle loro inamene contrade, riescono ad insultarlo impunemente. Sanremo è la vera summa dell’identità italiana. Il fido cane da guardia del festival, Braccobaudo, però, al sentore del salutare calo di spettatori di quella immonda farsa spacciata per musica popolare italiana (ma non c’era uscito un morto anche qui, il Tenco buonanima?), afferma senza pudore “L’Italia è un paese di m…”, e questo perché finalmente qualcuno ha smesso di attaccarsi allo schermo per ascoltare papere starnazzanti e deliranti, destinate a sicuro insuccesso in balere di second’ordine. Braccobaudo ha detto “bau”. Che ingratitudine! Sputare nella ciotola da cui sempre si è mangiato! Quanto è vergognosa IT, perfino coloro che prosperano sui suoi abomini, come il canone RAI, riescono a coprirla di insulti e farla franca. E pure Braccobaudo appartiene a quella vasta schiera di segugi, che potevano prosperare solo nella misera IT grazie al fatto di aver qualcosa di normale per cittadini di altri e più prosperi luoghi, essere un po’ più alti della media, sapere parlare l’italiano standard – ma non chiedete loro cosa sia l’anacoluto, la prova del mitico ragionier Fantozzi li vedrebbe perdenti – strimpellare uno strumento, e fare i “simpaticoni”. La repellente imposta chiamata canone RAI serve a foraggiare costoro. Che ci pensino bene coloro che il 13 e il 14 aprile voteranno l’una o l’altra delle combriccole. Pensino bene che questo è il sistema e gli uomini che vanno alimentando, e pensino bene se è a questo sistema e questi uomini che vogliono affidare il proprio futuro e quello dei propri figli. Se la Venetia fosse libera, tutto questo sarebbe consegnato alla storia. Ma purtroppo così non è, non è la storia, è un tristissimo, cupo, algido presente.
Paolo Bernardini
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