Che cosa accomunano, dal punto di osservazione della Venetia, l’approvazione di ieri da parte del governo danese del trattato di Lisbona e la notizia di oggi sul blocco dell’esportazione di riso da parte del Brasile?
La storia è ingarbugliata e non breve, e pur cercando di farne una estrema sintesi e di esprimere i concetti con semplicità, sarà necessario percorrere assieme alcuni sentieri di ragionamento. Cominciamo con il tracciare un profilo degli elementi che compongono il puzzle. E cominciamo con la cosa più nota e al tempo stesso più sconosciuta: il trattato di Lisbona.
Come molti sapranno, quel trattato in sostanza getta le basi per una sorta di unione politica degli stati d’Europa, che supera da una parte l’attuale assetto giuridico, e dall’altra gli ostacoli che il trattato costituzionale poneva con la necessità di indire dei referendum. Prima di tutto notiamo l’assenza di referendum per l’approvazione del trattato di Lisbona. Perchè? Forse un trattato di sole 450 pagine è troppo difficile da far digerire? Di certo si è armeggiato in modo da poter aggirare il vincolo referendario i cui esiti sono noti. Questo semplice fatto, unito alla ingegneria contrattuale con la quale veniamo fagocitati in un sistema sovranazionale senza essere minimamente considerati, ci deve mettere in posizione di respingere questa impostazione.
Non per quanto vi è scritto, ma per il metodo con cui viene introdotto che insulta la dignità dei cittadini europei e la libertà, già ieri in grave pericolo ed oggi ancor più per l’approvazione (non senza contrasti e polemiche) da parte del governo danese, storico oppositore di certe iniziative dirigiste.
Ma tutto questo, cosa c’entra con il blocco del riso?
Ha a che fare se noi prendiamo per valida (e sicuramente lo è) la teoria esposta da Lodovico Pizzati nel convegno “economia veneta” del 6 Aprile scorso (video 1 – video 2, ndr). Essa in breve propone che gli stati, nell’epoca contemporanea, non debbono per forza essere troppo grandi, con una grossa popolazione, perchè sono cadute le barriere protezionistiche che sono esistite tra la fine del 1800 fin quasi alla fine del 1900, creando un mercato globale senza barriere per il commercio e quindi per lo sviluppo economico di un paese. Secondo questa teoria, apparentemente confermata dai fatti, piccoli stati, con poca popolazione, risultano più efficienti, operano meglio (per effetto di un maggior controllo da parte della popolazione) e sono più agili a reagire alle sfide economiche potendo approfittare di un mercato senza confini. Mentre nel passato, avendo un mercato limitato dai confini, erano avvantaggiati i grandi stati, e si verificava un fenomeno concentrico, dove l’economia risulta più sviluppata al centro e meno nella periferia dello stato. La prova si vede nei fatti, l’UE è un grande spazio economico libero e senza barriere, dove trova meglio sviluppo lo scambio tra confini che all’interno dello stesso stato. Ma anche il mondo intero, seguendo questo esempio, si è lentamente “eurocomunizzato”.
Ora, in base a questa teoria, dal punto di vista di un piccolo stato, la nascita di barriere al commercio, di protezionismi, è estremamente deleterio. Ed ecco allora che il blocco del riso, quale misura protezionista, non può fare altro che accendere un segnale di allarme per coloro che credono e auspicano nell’esistenza di piccoli stati. Il fatto è che il riso brasiliano è solo uno dei tanti segnali che ci giungono. Un analogo blocco è stato già messo in atto dall’Egitto, ed anche in Cina si stanno esaminando misure per contingentare la produzione di riso. Così il prezzo di riso e cereali, è cresciuto del 50%.
Dietro la stretta dei cereali c’è la produzione di petrolio e le possibili tensioni che nuovamente si verrebbero a creare se (come probabile) gli USA attaccheranno l’Iran. Le elezioni USA sanciranno definitivamente quale strada prenderà il mondo nei prossimi decenni.
La differenza non sarà tra Obama o McCain, ma tra questi e Ron Paul, verso il quale c’è un sospettoso silenzio dei media europei. Perchè vi chiederete Ron Paul?
Cosa c’entra con il riso e i cereali, e con il petrolio? Ma soprattutto, cosa c’entra tutto questo con il trattato di Lisbona?
Petrolio e altre fonti energetiche sono e saranno strategiche per i prossimi anni, i cereali sono legati a doppio filo per il loro assoluto uso alimentare umano e animale ma per la concorrenza uomini e animali hanno incontrato con le macchine funzionanti a combustibili di cui i cereali possono rappresentare una fonte sostitutiva anche se a costi molto alti …per la nostra alimentazione.
E’ stata calcolata la relazione tra sviluppo della società e disponibilità di energia. Dunque il mondo intero si sta apprestando ad affrontare una crisi fondamentale, e la prima misura di difesa è il contingentamento, il protezionismo, l’erezione di barriere.
Ecco che il trattato di Lisbona và a formare un legame sovranazionale il cui fine và oltre il libero mercato, e mira a evitare possibili blocchi istituzionali per …”mere” questioni democratiche. Una soluzione presa in affanno che ha il sapore dell’emergenza più che del reale auspicio di costruire una evoluzione di civiltà. Di certo una soluzione assunta per impedire che la destabilizzazione finanziaria di qualche stato possa compromettere una moneta unica simbolo di un mercato unico e aperto. Per i piccoli stati è auspicabile un ambio libero spazio economico, ed anche una moneta comune e stabile perchè non possiamo nasconderci il rischio che piccoli stati potrebbero correre se risultassero esclusi da questo recinto di fiori spinosi. Forse la Danimarca, quale piccolo stato, ci lancia un segnale. Tutto chiaro allora, siamo condannati alla dittatura di Bruxelles?
Ebbene se da una parte questo trattato viene imposto con metodi che sono tutto fuorchè democratici, al tempo stesso sarebbe opportuno che questa forte alleanza con i nostri amici europei, possa basarsi su principi diversi, che partano dal basso, dalla gente e comportino un reale interesse economico. Le forze che auspicavano ad una confederazione europea devono risvegliarsi e reagire, per sollecitare una revisione delle modalità di accettazione del trattato, e visto che ci siamo di sfrondarlo di almeno 300 pagine, e salvare la nostra libertà. Un bene, la libertà, che è difficile mantenere quando si è schiavi di fonti energetiche e soprattutto di cibo, ma altrettanto se ci si mette le manette da soli.
Tra un po’ vedremo che strada prenderà il mondo: Ron Paul e l’America degli yeoman’s farmer, della libertà, del dollaro riallineato al valore reale e del ritiro delle truppe dall’Iraq o Obama/McCain con i piani pronti per il bombardamento dell’Iran?
Di fronte a questo grande interrogativo noi restiamo nello scudo blu a stelle, ma dobbiamo chiederci se vogliamo restarci come liberi cittadini per libera scelta o come sudditi.
Claudio Ghiotto
Partito Nasional Veneto
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