Le lezioni di storia sulla Grande Guerra si erano concluse con una richiesta di discussione tra gli studenti. Il docente acconsentì e raccomandò un poco di bibliografia, nonché la lettura di quotidiani che potevano essere consultati presso la biblioteca dell’Istituto. In altre parole: conoscere di più per capire meglio. Non bastano i pensieri storditi e il sapere digerito. La vera cultura consiste nell’avere l’informazione al momento giusto. Per il resto egli avrebbe svolto il non semplice ruolo di moderatore. Rimaneva inteso che qualche suo intervento chiarificatore sarebbe stato utile, e forse necessario, non per contrastare le convinzioni tramandate, ma per accettarne serenamente i limiti. La scuola, aggiunse l’insegnante, non è un palcoscenico sul quale recitare posizioni politiche contrapposte, bensì capacità di superare pregiudizi. Per tale motivo “magister” è ben più di “minister”.
Come accade nelle dispute, c’erano differenti punti di vista. Taluni sostenevano che la battaglia di Vittorio Veneto e l’armistizio del 4 novembre 1918 fossero stati una grande vittoria per le truppe italiane. Altri ritenevano che se la superstizione è lecita, dovrebbero essere consentite anche le idee. Questa istanza ricorre anche nel testo del libro, poiché le cose non sarebbero andate esattamente come era stato tramandato. Qualche impertinente aveva perfino insinuato che, se gli Imperi Centrali avessero vinto nell’ autunno del 1918, molta gente avrebbe fatto a gara per incensare gli Imperatori Carlo I e Guglielmo II.
La discussione sembrava una foresta dove i rami litigano tra loro, mentre le radici si accarezzano. Sembrava tuttavia difficile trovare una soluzione per salvare la capra (la baldanza trionfalistica) e i cavoli (gli argomenti pacati, appunto). [… continua]
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