“Se i vecchi morti ci comparissero in sogno,
parlerebbero in dialetto e molti di noi
non potrebbero capirli”.
La campagna ha fatto la città. Non viceversa.
In un secondo momento gli abitanti della città hanno stabilito un distacco dal contesto base per ragioni professionali, economiche, culturali. Da tale separazione sono derivati non di rado confronti derisori e dispregiativi.
Il termine “patois” fu introdotto nel 13° secolo dagli abitanti della città per definire la particolare parlata del contado. Il linguista francese Dauzat spiega che il vocabolo deriva da “pattes”, cioè “piedi” (Nouveau Dictionaire etymologique). Sarebbe come dire che gli abitanti dei villaggi parlano con i piedi.
L’invettiva medievale contro le lingue locali non è rimasta limitata al rapporto città-campagna. Essa diventò strumento di politica coloniale intesa all’assimilazione. Sarebbe quindi un dovere della moderna presa di coscienza rammentare che molte lingue furono un tempo semplici “patois”: l’italiano e il francese erano, per esempio, i dialetti di Firenze e di Parigi.- Il rifiuto dell’uso dispregiativo dovrebbe quindi essere doveroso. Tutti gli uomini favellano infatti con la bocca e con il cuore. Nessuno parla con i piedi!- La parlata locale evidenzia inoltre una profondità raggiungibile dai pianisti in musica mediante il pedale.
Si nota, inoltre, che quanto avviene localmente contro le parlate di un determinato luogo, riguarda su scala continentale anche altre importantissime lingue di cultura non certo minori. Il monopolio letterario contagia e comprime in realtà le dimensioni e le forme da emarginare, spingendole verso l’esilio e l’espulsione dalle scuole con una prassi tale, da far sospettare una programmazione di potere e non di cultura o umanesimo.
La funzione di una lingua è determinante per la rivitalizzazione di ogni popolo. Risveglio culturale significa in realtà anche sviluppo economico e sociale. Chi avrebbe interesse ad insistere nell’arretratezza?- La lingua non è tuttavia soltanto una funzione. Essa costituisce un vero e proprio organo del corpo umano e, come tale, è soggetta a malattia. Le parole sono il sangue della lingua. Qualche frase ha cattivo sangue nelle vene: ciò porta al collasso della circolazione dei vocaboli: segue poi la febbre delle sillabe aggravata dal tumore delle lettere alfabetiche. Infine interviene la morte del linguaggio.
Se il declino di una lingua significa anche declino sociale, come J.L. Calvet sostiene nella sua opera “Linguistica e Colonialismo” (pag. 53), è certo e logico che il risveglio politico e sociale di un popolo possa verificarsi soltanto tramite la riconquista e la rivalutazione della propria lingua. La rinuncia è deleteria. Spesso vengono infatti emanate norme placebo in difesa degli idiomi locali, contando proprio più sul recesso dei parlanti che sull’intenzione di non applicare i provvedimenti divulgati. Si spera che anche la Legge di “Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto” (Cons. Reg.le del Veneto, 28.03.07 n. 3901) non sia tra queste misure. In ogni caso l’unica difesa infallibile che può preservare una lingua minacciata, è la difesa immunitaria, cioè la sfiducia nei confronti di artifizi come il bilinguismo, che si traducono poi in un monolinguismo totalizzante.- “I politici che promettono uguaglianza sono esaltati o ciarlatani”, mise in guardia Goethe.-Valga l’indicazione di S. Stefano d’Ungheria, il quale sostenne nei suoi “Monita” che “Unius linguae uniusque moris regnum fragile est = È ben fragile uno stato che si fonda su una sola lingua e su un solo costume”.
Il concreto uso della propria lingua non deve significare imbalsamazione. L’uomo si nutre quotidianamente di carne e di vegetali. Egli non rifiuta perciò le nuove cellule derivanti da altri esseri. Lo stesso vale per quanti si pongono quale obiettivo la sopravvivenza della propria lingua nel proprio Paese. Come il corpo umano trasforma le cellule estranee in propri tessuti, il metabolismo linguistico può rinforzare ogni pensiero e ogni comunità. Modernità non significa indebolimento.
Si può affermare che un popolo non si libererà mai da un giogo coloniale, rinunciando alla propria espressione per assumere quella dei colonizzatori.
La difesa e la rigenerazione della parlata locale significano al contrario sia una lotta per l’identità culturale, sia una difesa contro la lingua dominante. La madrelingua è infatti l’antica lingua delle fiabe che esprime il sentimento delle cose. Il “Gatto con gli stivali” non può, per esempio, fuggire obiettivamente dalla sua favola per entrare in quella di “Biancaneve”!
Coloro che abdicano al loro linguaggio sperano invano, e ingenuamente, di diventare un’altra, più importante persona se adottano stabilmente la lingua del potere, del verme solitario della burocrazia, del contesto.- Ancora una volta Goethe indica il pericolo nel Faust (577 – 579):”Ciò che voi chiamate spirito del tempo è in realtà lo spirito dei dominatori”.- Chiaramente essi non raggiungeranno mai un’altra identità ritenuta di serie “A”. Essi potranno tutt’al più amputare ulteriormente la propria personalità avuta dalla natura con il risultato che non saranno infine più nessuno!
La famosa “Scala Santa”, che si trova a Roma, insegna che è certamente possibile salire sulle ginocchia, e con qualche sforzo, gli scalini. Le difficoltà si presentano poi quando si volesse scendere sempre sulle ginocchia.
Nerio de Carlo
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