Il Leone alato è sempre più difficile da domare, gli illusi maniscalchi italiani e la mission impossibile di tenere il Veneto legato all’Italia.
Risulta perlomeno strano che nel momento di maggiore potere che i veneti si ricordino dai tempi gloriosi dei Rumor nel governo di Roma, il quadro politico locale stia andando verso una ricomposizione dagli esiti molti difficili da prevedere.
In realtà a ben guardare, le mosse sono calcolate e semplici da capire, per chi lo voglia fare.
Cominciamo da Giancarlo Galan. Sicuramente l’uomo ha dimostrato coraggio. I suoi avversari dicono che abbia poca voglia di fare, ma queste critiche forse vengono da chi è abituato a eseguire ordini in modo servile e quindi non sa quanto tempo sia necessario per la contemplazione a chi gli ordini li deve dare. Sicuramente è anche vero che i muscoli elettorali della lega dopo le politiche hanno dimostrato che la palestra rondista e populista ha dato i propri frutti, così come una sana (?) pratica amministrativa. E se i primi esiti dell’accresciuta forza elettorale si sono tradotti in maggiore voce a Roma, è altrettanto vero che hanno permesso, almeno per ora, di togliere al nostro pescatore d’altura l’avversario più pericoloso che aveva in casa, quel Luca Zaia che ha sempre saputo crescere senza soluzione di continuità.
Nel suo cursus honorum il neo-ministro ha ora messo in pratica la legge del contrappasso, permettendo al governatore quella libertà d’azione che lo fa uscire allo scoperto, smentendo la sua proverbiale pigrizia, che era solo pratica attendista. I piccoli avversari di casa propria sono ora poca cosa: la pedemontana trevigiana forzista non riesce infatti neanche a prendere il sindaco di Montebelluna (e la cosa ha dell’incredibile) e Sernagiotto, se pure era bravissimo da giovane a giocare a biliardo (quante ore perse dal golden boy nei bar ai piedi del Montello!), ora farebbe meglio a riprendere la pratica, perché ha tutto fuorché senso fare la guerra al nuovo doge in pectore.
La Lega deve ancora capire cosa vuole: Tosi, o Zaia? Padania, o Veneto? Milano, o Venezia?
Probabilmente sta ancora bruciando al buon Gobbo la sua eterna carriera da backstage, dopo decenni di onorato servizio, il caporale vorrebbe finalmente occupare una poltrona commisurata alla sua stazza.
Nel frattempo, con l’abile regia nascosta dei Covre (mancherebbe Mario Rigo per completare l’opera) e la fuga di Guadagnin sul Grappa, il cadavere di Toni Bisaglia (ma anche di Giorgio Lago) ricomincia a tessere la sua tela, ricevendo addirittura la consacrazione di Confindustria e di Emma Marcegaglia (dopo tutto anche Mantova è nella Venetia), Galan si spinge anche oltre aprendo al nucleare, nel silenzio imbarazzato di chi gli sta attorno: l’incompiuta diventerà mai il capolavoro che promette da trent’anni? Difficile, difficile, perché il filosofo non si convince, forse è pentito di aver abbandonato don Verzè, non sa darsi pace. Il filosofo sa bene che se anch’egli passa la linea del Piave, sarà la Caporetto fatale all’Italia.
Egli è consapevole che dare la stura all’orgoglio veneto, apre la strada all’indipendenza.
Ma sa ancor meglio che il ponte della libertà è ormai da percorrere, tutto d’un fiato e senza paura, perché dall’altra parte la baracca sta affondando, hic sunt leones.
Galan, Cacciari, Covre, Guadagnin e tutti coloro che sventolano il gonfalone di San Marco sono oggi i più inconsapevoli alleati del Partito Nazionale Veneto e i grandi catalizzatori dell’indipendenza veneta, per il semplice motivo che smentiranno l’equazione “bandiera di San Marco uguale bandiera della Lega”. E noi li ringraziamo.
Gianluca Busato
Partito Nazionale Veneto
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