La dura sconfitta dei partiti di sinistra italiana pone un grande interrogativo a tutti i loro iscritti e simpatizzanti, nonché a tutti coloro che ancora credono in quella pericolosa chimera che si chiama “giustizia sociale”, e che non pochi guasti ha portato al mondo, ogniqualvolta si è tentato di realizzarla. L’interrogativo è questo: coloro che aderiscono alla sinistra sono davvero a favore degli sfortunati, dei poveri, degli ultimi? Oppure sottoscrivono l’amaro rivolgimento del detto evangelico: “Beati gli ultimi, perché saranno i primi…a patire e crepare!”? Che cosa vogliono davvero difendere coloro che si dicono “di sinistra”? I privilegi ottenuti dallo Stato italiano, e dai welfare States in generale, dai sindacati e dalle politiche spesso sciagurate di questi ultimi? Oppure, i veri poveri, che ancora esistono, nonostante, o anzi proprio in virtù dello Stato sociale? E’ questo quello che gli sconfitti delle elezioni di aprile devono chiedersi, e fare un bell’esame di coscienza se di coscienza ne hanno ancora una, che vada aldilà del loro mero interesse. Perché i veri uomini di sinistra sono stati ingannati innanzi tutto dai loro leader, che sono uomini di privilegio tutti, sono casta nella casta, intellettuali, politicanti, demagoghi e psicagoghi dalla retorica sempre più fiacca. Chi sente come un peso l’ingiustizia sociale, la miseria delle pensioni minime, la miseria dei salari di ingresso alla fame, la mancanza di prospettive per i giovani, la costante emigrazioni dei colletti bianchi verso l’estero, il fatto che una casta di due centinaia di migliaia di uomini ingrassi a spese di milioni di disgraziati – peggio dei Mandarini cinesi, agrumi immondi e senza nome – che le università e tutti i posti pubblici più ambiti siano gestiti da famiglie e cosche, ebbene, coloro che sentono questo peso, oppure insieme lo vivono e lo sentono, e per questo idealmente si indirizzano verso “la sinistra”, sappiano che la loro sete di giustizia – per usare di nuovo un’espressione evangelica – potrà essere saziata solo e soltanto attraverso altri mezzi e altre scelte politiche. Anzi, una sola: aderire ai partiti e movimenti che come il PNV in tutta Italia, ma in verità in tutto il mondo, ormai, vogliono creare sulla base di storie e tradizioni locali piccoli Stati, facendo secedere intere regioni geografico, storiche e/o politiche, dallo Stato patrigno e artificiale che ora le ingloba. Lottare per la libertà della Venetia (o della Sardegna, o della Sicilia, o della provincia occidentale della Bolivia, Santa Cruz) significa lottare per restituire dignità, prima che a tali stati in pectore, proprio agli individui che li abitano. Significa realizzare un sogno di benessere il più possibile diffuso, che è la versione liberale del sogno assurdo di “uguaglianza” e “giustizia sociale” che si è rivelato un incubo per miliardi di esseri umani nel corso di due secoli. Tutti coloro che nella Venetia si sono riconosciuti in partiti di sinistra, ora sconfitti e resi inattuali per sempre, dovrebbe meditare su questo. Anche perché a questo punto una nuova casta si prepara a governare IT mentre gli abitanti di IT sono avviati verso sicura rovina, una nuova casta diverrà più grassa, a spese di moltitudini che diventano ogni giorno più magre. Se c’è ancora qualcuno cui interessa rendere meno infelice una parte dell’umanità, se c’è ancora qualche idealista, meglio deporre gli stendardi rossi e le icone del Che, e guardare alle prospettive reali di liberazione e libertà, che sono in una innocente foglia di tiglio, in un leone pacifico. Se tutti i giovani entusiasti per miti morti capissero che i loro ideali e i loro sogni li incarnano assai meglio miti vivi, capissero che i loro slogan, “fate l’amore e non la guerra”, se letti bene sono anche i nostri, si liberassero di quei quattro intellettuali da osteria che li ingannano con due spritz, e quattro libri mal copiati da altri, e infarciti di qualche parola tedesca e latina per spacciarli meglio, come si avvolge l’haschisch in carta stagnola, argentata…ebbene, se tutti questi giovani entusiasti che si dicono “di sinistra” capissero che solo il liberalismo ed il piccolo Stato (veneto, sardo, di Santa Cruz) possono rimediare alle disuguaglianze, mentre lo Stato grande, di Berlusconi e Evo Morales, che pari sono, farebbero un grande salto in avanti. E un giorno potrebbero veder realizzati i loro sogni. I loro idoli sono morti da tempo, ed avevano un’ideologia tutt’affatto diversa dalla nostra, erano spesso sanguinari ed assassini. Ma Che Guevara, ma Fidel Castro, almeno hanno lottato davvero, in buona o mala fede, chissà, per quello in cui credevano. E hanno vinto. Ora, occorre lottare per altro, se si vuole sperare di vincere. Altrimenti, è una continua festa rumorosa di sconfitti che hanno scelto per sempre di essere tali. E che sventolano bandiere rossa con immagini di chi almeno una volta ha vinto, prima di essere sommerso dai propri errori, da un pensiero totalitario, e dalla marea della storia.
Paolo Bernardini
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