Il Veneto in Europa è un tema fondamentale da trattare per la nostra libertà. È del tutto evidente la percezione di un irrigidimento delle istituzioni europee che pur di salvaguardare gli accordi noti come “Trattato di Lisbona” stanno facendo di tutto, anche e soprattutto carte false, pur di salvarne i contenuti e la validità che è stata inficiata dal voto del Popolo irlandese, dopo la bocciatura dei Popoli di Francia e Olanda sul tema precedente della costituzione europea.
Come molti hanno messo bene in evidenza, ogni qual volta gli accordi di vertice dell’Unione Europea sono stati sottoposti al voto popolare sono stati bocciati.
Ecco perché nel momento in cui si parla di indipendenza del Veneto dobbiamo giocoforza concentrarci e dire cosa ne pensiamo del rapporto tra Stato Veneto e Unione Europea.
Facciamo un passo indietro.
Innanzi tutto, il Veneto è già nell’Unione Europea e vi sarà anche dopo l’indipendenza, in osservanza dell’articolo 34 della Convenzione di Vienna del 1978 sulla successione degli Stati rispetto ai trattati.
Esso afferma infatti che “ogni trattato in vigore alla data di successione di stati (per esempio per indipendenza) relativo all’intero territorio dello stato predecessore resta in vigore relativamente a ciascuno stato succeduto così formato”.
In nostro aiuto viene lo sforzo diplomatico della Scozia, che per oltre vent’anni ha condotto una pressione legale e politica tale da ottenere un parere favorevole pressoché unanime sul fatto che la sua indipendenza comporterebbe l’eredità dello status di membro dell’Unione Europea, in termini perfettamente equivalenti a quelli di cui gode il resto del Regno Unito.
Ecco che, se nuove nazioni indipendenti come l’Estonia possono essere membri dell’Unione Europea, o addirittura ipotetiche future nazioni indipendenti come la Scozia già hanno ottenuto parere preventivo favorevole a tale status futuro, allora anche il Veneto indipendente sarà membro dell’Unione Europea.
In ogni caso, per avere una voce in Europa, devi essere uno stato membro. Per essere uno stato membro, devi essere indipendente.
Nell’attuale situazione centralista italiana, ma anche con un’autonomia la più ampia pensabile, l’Europa guarderà al Veneto solo come a una regione dell’Italia. Gli assessori regionali veneti non potranno partecipare agli incontri del Consiglio dei ministri dell’Unione Europea, o, nella migliore delle ipotesi autonomistiche, potranno farlo per gentile invito dei ministri italiani e in ogni caso devono concordare la loro posizione politica con Roma prima di poter dire qualsiasi cosa. E in ogni caso i ministri del governo italico non possono parlare mai per l’esclusivo interesse dei veneti, anche se fossero, come alcuni sono, veneti.
Detto ciò, serve visione per capire che l’Europa si sta avviando verso un destino di declino economico. Ciò appare con evidenza dalle stime di tutti gli organismi di monitoraggio indipendenti.
E per comprenderne la ragione bisogna saper guardare agli eventi anche con occhiali che permettano di coglierne gli aspetti evolutivi e storici che hanno portato alla situazione attuale.
Uno dei grossi macigni che l’Unione Europea si porta in dote e che ne appesantiscono la capacità di crescere e le impediscono di combattere il declino in atto è a mio modo di vedere un’originale complesso di inferiorità verso gli Stati Uniti. Ogni dichiarazione dei leader europei, a cominciare dall’agenda di Lisbona, è intrisa di antiamericanismo che spesso rivela solo sterile invidia verso i fratelli più ricchi, ma anche più dinamici e attivi.
Il dramma di regolamenti comunitari spesso restrittivi in tema di legislazione del lavoro, di una sempre più accentuata centralizzazione dei processi decisionali e dell’eterno ritornello di redistribuzione della ricchezza.
È un po’ come se, una volta caduto il muro di Berlino e venuto meno l’incubo sovietico, il fantasma di Karl Marx si fosse trasferito a Bruxelles.
E mentre i politici europei disquisiscono sulle logiche di pianificazione e di dirigismo più tipiche magari di Cuba, o della Libia, il resto del mondo globale aumenta la propria capacità di adattarsi alle mutate esigenze del mondo moderno, accentuando la nostra inesorabile curva di discesa verso un destino di nobili decaduti.
Ecco che attorno al perpetuarsi del modello sociale europeo di bismarckiana memoria, diminuiscono sempre più i suoi parametri di sostenibilità.
Il Veneto indipendente potrà aiutare anche a ritrovare una capacità politica europea nel capire le opportunità che noi europei possiamo e dobbiamo saper cogliere per invertire finalmente una tendenza negativa.
E in tal senso i politici europei, con l’aiuto di una classe dirigente veneta giovane e preparata che emergerà dalla vittoria degli indipendentisti, debbono abbandonare alcune sacche di socialismo reale che ci stanno portando alla rovina, in primis:
- Un’eccessiva ingordigia fiscale dei propri governi, che li porta a sottrarre mediamente il 45% del proprio reddito nazionale, contro l’11% della Cina, il 20% medio del resto dell’Asia e meno del 30% degli USA.
- Una scarsa propensione all’innovazione, che si riflette sia nell’investimento di solo l’1,9% del PIL europeo in ricerca e sviluppo, contro il 2,6% americano sia nell’ininterrotta fuga di cervelli europei verso gli USA nelle specializzazioni scientifiche.
- Una insufficiente produttività, testimoniato da una crescita media del settore privato nell’ultimo lustro dello 0,6%, un quarto di quella americano e un sedicesimo di quella cinese nel pari periodo.
- Pianificazione normativa e legislazioni del lavoro eccessivamente rigide e frutto di continui bracci di ferro con organismi sindacali e corporativi che malvedono la capacità individuale di contrattazione.
- Intervento pubblico in economia, crollo dell’export e minacce di protezionismo. Sono continue le minacce governative e comunitarie verso settori produttivi anche strategici. Risulta particolarmente dannosa l’opera di controllo e pianificazione delle attività agricole che ha portato, ad esempio, alla distruzione del comparto agricolo veneto degli allevatori.
L’Europa deve saper mettere a frutto i potenziali di innovazione di un’era di scoperte dalla quale rischiamo di essere tagliati fuori.
Deve saper inventare un nuovo modello di sviluppo economico incentrato sui propri punti di forza, che possono trovare ispirazione dall’imprenditorialità civica tipica dei veneti, che nasce dal proprio modello di sviluppo urbano e antropologico a rete, che in estrema sintesi è anche il modello europeo, ma soprattutto è il modello di sviluppo umano moderno che vede nella periferia il centro e nell’individuo consapevole il grande architetto del mondo.
L’Europa deve saper sfruttare la propria tradizione artistica millenaria che, nella nuova cultura visuale, basata su design, architettura e immagine, la porta ad avere un enorme vantaggio competitivo rispetto al resto del mondo che deve inventarsi routine comportamentali nuove rispetto alla precedente cultura letteraria e che non ha potuto sviluppare e metabolizzare i processi figurativi millenari che noi possiamo vantare.
Politicamente l’Europa deve essere consapevole che la fine degli stati nazionali non può coincidere con l’inizio di un impero a-nazionale e avulso dal libero commercio mondiale.
E tale modello si basa sulla libertà dei propri Popoli e delle proprie comunità, sulla capacità di assumersi ognuno le proprie responsabilità, senza più offese alla democrazia e alle indicazioni del voto popolare che emergono da una classe dirigente – spesso autocratica e quindi nemmeno eletta – che soffre dell’incapacità di entrare in relazione con i propri elettori e sovrani.
Gianluca Busato
segretario PNV
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