Nel secondo dopoguerra c’erano 74 stati indipendenti, oggi siamo a quota 195 e ci avviciniamo velocemente ai 200. Ma perché in alcuni periodi storici tendono a formarsi nuovi stati e in altri periodi invece assistiamo alla fusione delle nazioni in territori più vasti e in numero minore?
Vi sono diversi studi economici che cercano di dare un’intepretazione a un fenomeno che oggi è alla propria massima evidenza storica. Tali studi affermano l’esistenza di una forte correlazione tra l’intensità del commercio internazionale e il numero di stati. Più radicato è il libero commercio e più alti sono i fattori favorevoli alla disgregazione degli stati.
Ecco che tendono ad emergere allora quelli che John Naisbitt chiama domini economici, ovvero i mercati, secondo altre interpretazioni. Ecco spiegato perché nel rinascimento dominavano le economie di Venezia e Amsterdam rispetto a quelle dei grandi imperi e regni continentali.
Al contrario, in epoche protezionistiche, come nella fine del XIX secolo, si assiste all’emergere di politiche di guerra e alla crescita di grandi stati e imperi-mercato che assicuravano maggiori garanzie di commercio e sviluppo economico.
Oggi viviamo un periodo di lunga pace e di globalizzazione che facilita la nascita di nuovi stati indipendenti, decisamente più efficienti e competitivi rispetto agli stati grandi e popolosi con burocrazie che mal digeriscono e si adeguono alla velocità e flessibilità richiesta per poter competere in un mondo globale. Ecco spiegato perché, da un punto di vista economico, l’Italia rientra alla grande nella classifica dei dinosauri in via di estinzione. Ed ecco spiegato perché un Veneto, o una Venetia indipendente hanno molte più carte in regola per competere con gli stati emergenti, in primis con i nostri vicini indipendenti, Slovenia, Austria, Svizzera, che bene hanno compreso le dinamiche dell’oggi. La Slovenia, ad esempio, applica un’aliquota fiscale sul reddito d’impresa che dal 22% odierno entro il 2010 verrà abbassato al 20%. L’Austria ha risposto abbassandolo dal 34% al 25%. Ecco spiegato perché le imprese venete soffocano sempre più, tra il martello dello stato italiano rapace e l’incudine della concorrenza fiscale dei più piccoli stati vicini.
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