1. Il passato…
Nell’ultimo numero dell’Economist, 15-21 novembre 2008, c’è un breve articolo in cui il sistema universitario italiano viene, una volta ancora, messo alla berlina, con grande solidità di argomenti. Il sistema è definito come il settore pubblico “peggio gestito, più corrotto e meno produttivo” di tutti quelli di ITA (come se gli altri fiorissero…). Vengono citati i soliti casi di nepotismo, di anzianità del corpo docente, il fatto che non vi sia nessuna università italiana nelle classifiche (sono diverse) delle prime 100 al mondo, la scarsità relativa dei finanziamenti, il fatto che vi siano varie università di ITA in bancarotta, e tutte quelle cose che chi opera (anche) nel mondo dell’università pubblica di ITA ben conosce.
Devo dire che per me in particolare leggere queste due pagine è particolarmente irritante. Non perché dicano il falso, ma perché è un quarto di secolo che sento dire le stesse cose, in italiano, in inglese, in francese, in tedesco. E’ come un brutto sogno che si ripete. Ma non è un sogno, è la realtà. Queste cose le ho scritte e dette in così tante sedi io stesso.
Nell’università italiana io – citando il replicante di “Blade Runner” – “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”, ma non erano le celebri “astronavi in fiamme nella costellazione di Orione” di Roy Batty (magari!), erano figli, mogli, nipoti, amanti, nonne, nonni, portaborse, leccaculo, cugini, amichetti, amichette, servi dei sindacati, dei partiti, delle conventicole, massoni, scribacchini, “tecnici laureati”, avventizi, semilavorati del sapere, balordi, sbalorditi, comari, compari, mandati in cattedra al posto di studiosi di valore; ho visto un’intera generazione, la mia, dei quarantenni, esclusa dall’università, migrare verso lidi migliori, in America, ma anche in Giappone, in Inghilterra, in Svizzera; vedo che quel che accadeva a me da giovane accade ai trentenni di oggi; ho visto persone di immenso valore in preda ad esaurimenti nervosi perché non riuscivano ad entrare nel sistema, e magari non se la sentivano di andare all’estero, o non potevano, non tutti possono, non tutti sono stati aiutati da tante fortune come me; ho visto anche qualcuno suicidarsi.
Per questo trovo queste letture irritanti, repetita – di solito – iuvant, ma in questo caso non hanno “iuvato” a un bel niente. Bontà dell’anonimo articolista, “some valuable research and inspirational teaching are done in Italian universities”. Certamente, con le mie modeste forze credo di far questo, di far ricerca e di ispirare tanti giovani. Non sono certo il solo, così fanno diversi miei colleghi. Ma chi lo fa sono i rari nantes in gurgite vasto, nel gorgo vastissimo di acque reflue, fatte di miserie, invidie, povertà oggettiva e povertà di spirito.
Un capitolo della mia autobiografia lo dedicherò un giorno a tutte le schifezze che ho visto, anche ultimamente, prima dall’esterno, e poi dall’interno del sistema; ho visto perfino in un clima di totale povertà rifiutare uno studioso eccellente proveniente dalla Bulgaria per un posto temporaneo di quattro anni, per cui il governo centrale di ITA bontà sua avrebbe contribuito, se la domanda fosse stata accolta, con circa 220.000€ più almeno 30.000 di fondo di ricerca individuale; a fronte di un investimento locale pari solo a circa 45.000€, un “matching grant” per coprire le spese contributive (23% all’INPS), che con rara ragionevolezza il governo centrale di ITA avrebbe chiesto alla singola università; nel frattempo però, mentre invidie e meschinerie varie bocciavano questo “ritorno di un cervello”, era stato bandito, nella mia disciplina, un posto da ricercatore (di Storia moderna), a Scienze Matematiche Fisiche e Naturali (!), per “sistemare”, sic tradunt, la moglie di uno già lì dentro. Ma queste sono le gocce del mare.
Queste cose le vedevo quando ero fuori dal sistema, ora che per un caso del tutto fortuito ci sono dentro – giuro che non venduto l’anima ma neanche parti del corpo poco nobili – continuo a vederlo, impotente ad arginarle. D’altra parte, cantava Battisti, “come può uno scoglio arginare il mare” di inefficienza e corruzione che caratterizza le università di ITA (e tutti gli altri settori, peraltro)? La soluzione non è in nessuna riforma (le hanno già tentate tutte…) ma come per tutto il resto è nella nascita della Venetia libera.
2. Il futuro…
La Venetia libera terrà in gran conto il sistema universitario. Come ogni piccolo Stato prospero, molto probabilmente molto presto le sue università saliranno nei ranghi mondiali. Nella classifica 2008 delle migliori università al mondo del THES, un notevole e notissimo giornale inglese dedicato al mondo universitario, figurano tra le prime cento università di Belgio, Svezia, Svizzera, Olanda, Israele, della Corea del Sud, della Finlandia, della Danimarca, di Singapore, di Hong Kong. Accanto ai colossi americani e ad Oxford e Cambridge, ai primi posti. Per comprendere qual sia la competizione mondiale, la Boston University per cui lavoro, un colosso autentico, figura solo al 46° posto, ma è già qualcosa di cui il Presidente Brown si è detto fiero.
Innanzi tutto, la Venetia potrà capitalizzare sia sul passato glorioso di Padova, sia sul suo presente: Padova conserva nuclei di eccellenza notevolissimi, e tanti di quei “rari nantes” di cui ho parlato sopra vi lavorano. Poi, anche Venezia e Verona hanno fatto molto e in alcuni settori sono note nel mondo.
Le università della Venetia, se rimarranno di Stato – cosa che potrà essere sottoposta a discussione – godranno comunque, in una situazione di accresciuta ricchezza nazionale, dei benefici che toccheranno ad ogni altro settore (previa radicale risanamento): finanziamenti almeno doppi, che porteranno ad un notevole aumento, tra l’altro, degli stipendi assolutamente miserabili ora elargiti da ITA, non perché siano in assoluto miserabili (in questo hanno ragione Alesina e Giavazzi) ma perché il costo del lavoro e la tassazione altissima, unita al costo della vita di ITA, li rende tali. Ovviamente si studieranno riforme strutturali profonde, ma non necessariamente si butterà via il bambino con l’acqua del bagno. I legislatori della Venetia saranno molto accorti, nel processo di decolonizzazione. Per le università come per tutto il resto. Ma sicuramente il sistema verrà profondamente cambiato, innanzi tutto razionalizzando le risorse.
Perché il problema del sistema ITA non è solo nella scarsezza di risorse, ma anche nel loro cattivo utilizzo. Le due cose immagino che secondo le sofisticate teorie dei disastri e delle catastrofi, della “fuzzy logic”, vadano insieme. Gli esempi sono infiniti. Perché ad esempio un giovane professore, chiamato “ricercatore”, può insegnare al massimo 40 ore all’anno, un associato 80 e un ordinario 120? Che cosa significa questa idiozia di ITA? Negli US tutti i professori insegnano più o meno gli stessi corsi, le stesse ore. E producono pure scientificamente. Se i “ricercatori” hanno così poco insegnamento, allora chissà quanto produrranno scientificamente! Invece non è vero. Non vi è nessuna correlazione provata tra minore attività didattica e maggiore attività scientifica. Almeno da noi. In genere, i ricercatori ricercano poco, e insegnano ancor meno. A cosa servono? Insomma, si prendono una misera sinecura.
Le università della Venetia prenderanno a modello le migliori del mondo. Sapendo benissimo che all’inizio, e forse per un secolo o più, non si potrà raggiungere Yale o Oxford. Ma intanto si lavorerà in quella direzione. Utilizzare al meglio le risorse che ci sono, e quindi aumentarle. Un altro esempio del disastro del sistema universitario di ITA: i dottorati di ricerca. Introdotti circa 25 anni fa, hanno prodotto certamente diverse migliaia di dottorati. Quanti si sono inseriti nel sistema di ITA? Una percentuale assai bassa. Sicuramente assai più bassa degli equivalenti Ph.D. nel sistema anglosassone. Non si può fare un’università di ricerca? Bene, si faccia allora un’università sul modello dei prestigiosi college americani, Williams, Amherst, Wellesley, dove si conseguono solo lauree di “primo livello”. Non è escluso che nei primi anni delle università della Venetia, in attesa di mettere a posto le cose, si proceda così, chiudendo il miserrimo capitolo dell’età coloniale, chiamato “dottorato di ricerca”. E via così. Avrei da scriverci un libro, perché questo è il settore dove lavoro. Ma riservo l’impresa ai tempi non lontani in cui si lavorerà anche in questo senso in una Venetia libera, cosmopolita, e dove la “Patavina libertas” di cui si fregia l’ateneo di Padova avrà riacquistato il suo vero significato. Ora è una vuota formula, che testimonia se mai o dei gloriosi tempi passati, o di quelli speriamo altrettanto gloriosi che verranno.
Sono pronto a scommettere che Padova dopo l’indipendenza, in dieci anni o meno, figurerà tra le prime cento università del mondo. Attualmente, nella classifica citata prima, che comprende 200 università del mondo, l’unica università di ITA che vi compare è Bologna, al 192° posto. Sembra poco, ma dato il disastro generale, è un megarisultato. Onore ai felsinei!
E’ come essere il numero 192 della classifica ATP e giocare a tennis su una sedia a rotelle.
Paolo Bernardini
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