Tra i comunisti contrari al premier italico, anche gli elettori americani
Bene, passata la notizia con il clamore per le dichiarazioni sull’abbronzatura di Barack Obama, che ha scatenato l’ira degli elettori americani contro il primo ministro tricolore (eccone qui un elenco dimostrativo, pubblicate dal New York Times fino alla chiusura a quota 1.195 per bloccare quello che stava diventando un fiume in piena incontrollabile), possiamo inserire il tutto nel giusto contesto.
Come sempre quando succedono queste cose, bisogna aspettare che il polverone ricada a terra per capire cosa succede realmente.
E l’evidenza è lì, per chi la vuol guardare e toccare con mano, al di là degli schieramenti ideologici.
Se il giorno dopo l’elezione di un presidente americano che è un evento storico oggettivo, il premier di uno stato inesistente si precipita a Mosca, a firmare montagne di accordi bilaterali e, con il suo consueto stile (o mancanza di stile, a seconda dei punti di vista), dice quel che dice, allora fa capire da che parte sta l’Italia: l’Italia non sta dalla parte degli USA, com’era fino al giorno prima, da ieri e in modo definitivo.
L’Italia sta dalla parte della Russia.
Sta da quella parte per più motivi:
- perché è uno stato illiberale, come lo è la Russia oggi
- perché si prepara il terreno per l’uscita dall’euro, che, dopo la speculazione internazionale della settimana scorsa sui btp italiani a 10 anni (passata sotto silenzio dei media tricolori) oggi è una possibilità concreta
- perché oggettivamente la cultura dell’uomo politico italiano che ha parlato ieri è razzista, in modo forse inconsapevole finché si vuole, ma tale rimane, così come era razzista la cultura politica sovietica, che ancora impermea parte della dirigenza russa di oggi
- perché l’Italia dipende energeticamente dalla Russia (e anche dal Veneto, aggiungiamo noi)
- perché l’Italia è uno stato stra-indebitato e stra-in-crisi che sta sulla porta di uscita del mondo occidentale e quindi è una facile preda di altre zone di influenza geo-politica.
Ecco il succo politico delle parole del premier di uno stato che opprime noi Veneti ogni giorno di più e che oggi ci offende pure.
Noi Veneti siamo diversi, non siamo razzisti come il premier italiano.
La nostra tradizione millenaria è di apertura al mondo e ai Popoli, non di chiusura.
La vergogna di quelle parole è tutta italiana: un motivo in più per noi Veneti di non avere nulla a che fare con un cultura oscurantista e pericolosa come quella dimostrata ieri.
Il nostro auspicio è che ora, grazie all’evidenza dell’avvicinamento politico dell’Italia al blocco russo, il mondo occidentale sappia valutare l’importanza della Causa Veneta anche in termini di convenienza strategica nell’avere uno Stato indipendente democratico e tollerante, con capitale a Venezia.
Noi Veneti, dal canto nostro, abbiamo il dovere di approfittare della situazione congiunturale a noi favorevole, unendoci per la nostra indipendenza ancor più di quanto già oggi avviene.
Gianluca Busato
Segretario pnv
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