Il percorso per la libertà è chiaro e cristallino e non passa di certo per la bufala dell’unione dei venetisti in una marmellata politica
Sempre più forte emerge un ritornello secondo cui i veneti dovrebbero unirsi in un unico contenitore, una sorta di partito unico (il nome da solo ci fa rabbrividire, lo ammettiamo), ove far confluire tutte le anime del venetismo finora emerse, tutte le ideologie, tutti i poltronari, nani, ballerine e quant’altro si possa immaginare.
Questo recinto servirebbe secondo alcuni a dar da mangiare ai troppi galli veneti sul punaro.
Emergono poi le diverse interpretazioni e del partito unico e del punaro.
C’è chi come la lega nord parla di “diaspora dei Veneti” negli altri movimenti, quando sono stati loro i primi a cacciare negli anni chiunque avesse un minimo di intelletto e quindi intendono il partito unico come il loro, dove effettivamente di galli e galline non ne mancano, mentre tutti gli altri dovrebbero sparire perché dividono il Popolo Veneto.
Peccato che poi la loro intenzione sia quella di portare il Popolo Veneto alla difesa di Malpensa, di Roma, di Catania, del Brunello di Montalcino, della mozzarella di bufala e di Pantelleria, ma qui ci dovrebbero spiegare – o peggio, dovrebbero capire – che oramai non sono più un partito nato per dare la libertà al Veneto, bensì per sfruttarlo elettoralmente al fine di gestire il generoso potere romano.
Noi crediamo invece che il Popolo Veneto abbia già subito abbastanza ferite dalla bonifica dell’agro pontino e dalla vera diaspora avvenuta in tutto il mondo di quasi un veneto su due, cominciata dieci anni dopo l’odiata annessione all’Italia e il saccheggio della nostra povera terra da parte dei colonialisti tricolori e incapaci e che quindi oggi ben volentieri facciamo a meno di salvare il resto del mondo per concentrarci invece sulle nostre di difficoltà, che in vero non sono poche.
C’è poi una seconda e più sfortunata schiera di politicanti, che spaziano dagli autonomisti che tremano di fronte alla costituzione e che finora non hanno saputo portare nulla, ai residui di varia tipologia, tipo ex socialisti filo-italiani neo-convertiti all’autonomismo d’accatto, che dicono agli indipendentisti che non si può sottilizzare tra autonomia e indipendenza, perché tanto l’obiettivo è lo stesso (sic!).
A esso si aggiunge chi non ha il coraggio e non se lo può dare e quindi resta, nella migliore delle ipotesi, ostaggio di costoro, in preda alla sindrome di Stoccolma in chiave Veneta.
In tale panorama, l’unica scelta politica che resta è quella portata avanti dal Pnv con coerenza e decisione, ovvero portare ben alta la bandiera dell’indipendenza e tracciare il percorso politico per ottenerla, concreto, legale e basato sulla costruzione del consenso attorno ad una nuova classe dirigente che lo metta in pratica: un percorso che ha portato e sta portando molti altri Popoli e Nazioni alla libertà e alla felicità.
Noi siamo convinti che la chiarezza di linguaggio e di intenti sia premiante rispetto alle coalizioni multiformi e basate solamente sulla logica del punaro ndoe metar rento i gai.
Ecco perché preferiamo concentrarci sull’apertura di nuovi e sovrani gruppi territoriali del Pnv che facciano dedizione al partito patriotico dei Veneti, condividendone l’obiettivo dell’indipendenza della Venetia e i principi fondanti. Ed ecco perché siamo aperti alle coalizioni elettorali con i gruppi e partiti che condividano il nostro obiettivo e i nostri principi.
Dopodiché resta invece aperto il dibattito su quale dovrà essere il risultato dell’indipendenza, ma questa è un’altra storia e per quanto mi riguarda il mio sguardo va alla Confederazione Elvetica, l’unica realtà statuale che oggigiorno fa propri molti principi e valori che furono portati avanti in più di mille anni di indipendenza dalla nostra amata Serenissima Repubblica di Venezia.
Gianluca Busato
Segretario Pnv
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Autonomia e maturità
È possibile parlare di Veneto (o di NordEst) senza parlare di “Roma ladrona?”
È possibile sostituire l’antagonismo con il protagonismo?
Alla lunga le richieste di federalismo dovrebbero portare al federalismo, invece si ha la sensazione che i portatori politici di questo interesse siano come un cucciolo di leone che zampettando cerca di infilarsi in uno spazietto tra il branco di adulti che sbrana furiosamente la preda.
La reale poca efficacia della loro azione li fa apparire sempre più come deboli potenti che nonostante milioni di voti, ministeri, voce grossa, rifiuto dell’Inno Nazionale ed altre manifestazioni più folkloristiche che simboliche, attendono sotto la tavola che qualcuno getti un nulla-osta avanzato dal banchetto.
Non è questo che i veneti si aspettano, ma si aspettano –come tutti gli italiani- di ottenere più libertà dallo Stato centrale attraverso l’esplicito riconoscimento delle proprie capacità ed identità, non certo attraverso la lamentosa richiesta di elemosina politica come di fatto oggi avviene. Per fare questo però sarebbe necessario spendere le teste migliori per un progetto a lungo termine ed armonizzato con il contesto socio-economico-politico nazionale ed internazionale, un’idea capace di coinvolgere la comunità e di infondere nuove energie, in altre parole ora è il momento degli “intellettuali”, di quel macchinario complesso fatto di creatività, cultura e capacità di vedere oltre l’orizzonte che giace assopito in un angolo, deluso, amareggiato e disinteressato.
Il fenomeno-Lega ha frantumato il concetto di autonomia e l’ha sparso come seme in tutto il territorio nazionale (eccetto nelle regioni che da sempre manifestano fortissime spinte autonomiste), facendo in modo che la Questione Settentrionale diventasse in qualche modo comprensione delle specificità, al punto che oggi –in qualunque regione d’Italia- assistiamo a fenomeni di protezione e rivitalizzazione del mos maiorum che alcuni anni addietro sarebbero stati pensabili, nell’immaginario collettivo, solo tra la Pianura Padana e la Valli bergamasche.
Detto questo rimane il problema di come superare lo stallo dovuto all’esaurimento della spinta che ha caratterizzato la storia recente dei movimenti autonomisti e federalisti del NordEst, e il pensiero non può non correre ai tempi del famigerato Movimento dei Sindaci intellettualmente capeggiato dal filosofo-sindaco di Venezia Massimo Cacciari, quando pareva che il fermento potesse davvero sfociare nella costituzione di un’avanguardia culturale e politica che avrebbe portato una sferzata di riformismo all’interno di un paese stanco e con il fiato corto. Così non è stato, purtroppo, e ci troviamo a distanza di dieci anni a sorbire sempre la stessa minestra fatta con ingredienti scaduti da un pezzo. Sono rimasti tali e quali –se non peggiorati- la stanchezza ed il fiato corto.
I vuoti di rappresentatività vengono automaticamente colmati, ma finché il vuoto non si manifesta in tutta la sua presenza-assenza ecco che l’elettore rimane al sicuro nella nicchia che si è scavato e che maggiormente gli garantisce tutela, anche se ormai solo a parole. Diciamocelo: di autonomia od aumento di rilevanza il Veneto, da quando esiste la Lega, non ne ha avuto un briciolo. L’aumento di rilevanza lo ha avuto il partito, che però adesso paga l’errore di non aver saputo fin’ora rinnovarsi, modernizzarsi, sostituire i fedelissimi ma inadeguati con gli opportuni anche se a volte scomodi. E’ sufficiente fare un giro per gli assessorati di ogni livello guidati da uomini o donne del Carroccio per rendersi conto di quanto sia vero questo teorema, e il fatto più drammatico è che se ne rendono conto gli stessi militanti di nuova generazione cui vengono affidati incarichi e che si trovano spesso a collaborare con (o peggio, a dipendere da) personaggi da commedia goldoniana, ovvero i rappresentati di quella fase della rivendicazione in cui si minacciava la marcia sulla Capitale muniti di forche e bastoni e che ha avuto il suo epilogo quando un trattore mascherato da mezzo corazzato è sbarcato in Piazza S. Marco.
Il limite massimo di attrazione di questo “moto di pancia” è raggiunto, più in là non pare possibile spingersi a meno che non si mettano in campo azioni volte ad attrarre nuove fasce sociali, elettori che condividono i ragionamenti su federalismo ed autonomie regionali ma che -al momento di assegnare la preferenza elettorale- vengono deviati altrove dalla consapevolezza di venir poi rappresentati da una classe dirigente che non li rispecchia affatto.
Fintanto che per riconoscersi sarà necessario un fazzoletto verde e non vi sarà invece una compatibilità culturale intrinseca tra cittadini e rappresentanti politici, il limite non potrà essere superato. Per avere successo il movimento autonomista deve presentare un futuro di indipendenza governato da persone diverse da quelle proposte oggi, altrimenti non riuscirà mai ad incassare il sostegno della “borghesia” media ed alta, necessario per avviare la fase successiva del percorso.
Vivo en Mexico, y he andando buscando el origen del apellido punaro, si ustedes tienen alguna informacion me agradaria saberla, un saludo
Sr. Punaro, este no es el lugar donde puede encontrar ayuda para este tipo de información, le sugiero que para probar aquí: http://www.raixevenete.com
si usted cree que son de origen veneciano.
Además, en ese sitio web, sugiero que trate de hablar en veneciano, si puedes.