La storiografia romana è certamente prodiga di notizie sulla vita dell’epoca. Si tratta comunque di uno storicismo invertebrato. Se si desidera piuttosto conoscere in dettaglio quanto avveniva nella capitale o nelle province opportunamente denominate Italia annonaria, bisogna invece ricorrere a qualche oratore o cronista guastafeste.
Tra questi bene informati figura Plinio il Vecchio. Si viene così a sapere che Giulio Cesare aveva provocato con la sua ambizione un milione di morti, compreso il genocidio dei Veneti residenti nella Gallia Transalpina. La cifra assume particolare rilievo se si pensa che a quel tempo, considerando anche la concessione della cittadinanza ai provinciali dopo le guerre civili, la popolazione dell’Impero era di soli 4.023.000 cives.- Secondo Euripide il personaggio aveva inoltre sostenuto l’inaccettabile principio:”Se occorre violare il diritto per regnare, lo si faccia; in tutti gli altri casi si rispetti la giustizia”. Non sembra proprio il caso di prendere in considerazione Giulio Cesare per eventuali celebrazioni.
Un’altra fonte è Marco Tullio Cicerone. Egli scrive la Seconda Filippica subito dopo le Idi di Marzo, quando Giulio Cesare venne assassinato in Senato. Veniamo in tal modo a sapere che Marco Antonio era il braccio destro di Cesare. Egli era attorniato da una miriade di gente poco per bene. “Comites nequissimi” li qualifica Cicerone, cioè “cattive compagnie” da non confrontarsi con quelle delle nostre gioventù, la cui frequentazione costituiva peccato da confessare.
La Sesta Filippica è ancora più chiara. Marco Antonio aveva un grande seguito quando viaggiava. C’erano allora i littori, che oggi si chiamerebbero la scorta. E fino a qui nulla di straordinario, data la carica che il personaggio rivestiva. Poi seguivano parecchi grandi carri coperti ed equipaggiati per rendere più agevoli le lunghe trasferte. I passeggeri erano prostitute, lenoni e parassiti. Le popolazioni dei Municipi, invece che includere nell’accoglienza una risata torrenziale, dovevano rendere omaggio a quegli ospiti, si fa per dire, e sostenere le rilevanti spese per il mantenimento, il soggiorno e le regalie. Non importava se ciò corrispondeva ad un impoverimento della comunità.
Cicerone non precisa nulla che riguardi Oderzo. Ma a noi sembra lecito chiedere se, per caso, Oderzo non fosse Municipio Romano tra il 49 e il 42 a.C. e precisamente amministrato da quattro magistrati, di cui si conosce solo il nome di M. Laetorius Paterchianus , tanto per dare un riferimento temporale e onomastico ragguagliabile con la storia.- In caso affermativo Oderzo sarebbe stata certamente coinvolto nei costosi festeggiamenti cui Cicerone faceva riferimento. Qualora ciò costituisse motivo di vanto, regime condiviso e orgoglio, piuttosto che di fastidio, sdegno o disonore, sarebbe giustificata la celebrazione estiva del mito impolverato con tanto di travestimenti.- L’evento dovrebbe invece essere rimosso dalla memoria, qualora la partecipazione fosse stata forzata o mal sopportata dalla gente, come si suppone.
La storia ricorda, inoltre, che l’Imperatore Commodo, figlio di Marco Aurelio, spese verso la fine del II secolo d.C. somme molto elevate di denaro pubblico. Il motivo?- Combattimenti tra gladiatori. Egli stesso vi partecipava coraggiosamente, dopo essersi accertato che gli avversari fossero armati di semplici spade di legno. Non si sa mai.- Ecco, anche rievocazioni del genere sarebbero da evitare, specialmente se finanziate da risorse pubbliche in tempo di crisi finanziaria.
Per comprendere qualcosa di più non rimane altro che attendere la prossima estate. Nel frattempo si deve, comunque, prendere atto che Marco Antonio non era rilevante nemmeno esteticamente. In una moneta d’argento risalente al 32 a.C. egli è infatti raffigurato con gli occhi sporgenti, il naso aquilino e il collo taurino. Proprio tutto il contrario di come appare nel famoso film di L. Mankiewics del 1963. Se ne tenga conto per un’eventuale immedesimazione.
Nerio De Carlo
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