Il Dalai Lama a Venezia per ricevere la cittadinanza onoraria e visionare i passi del Milione di Marco Polo in cui si parla del Tibet come nazione
Il quattordicesimo Dalai Lama è oggi a Roma per diventare cittadino dell’ex capitale papalina, mentre domani sarà a Venezia per fare l’en-plein con Massimo Cacciari. Tenzin Gyatso, “Kundun” – la “Presenza” – del bodhisattva Avalokitesvara o Chenserig, è fuggito dal Tibet nel 1959 e ha fondato un anno dopo la Central Tibet Administration a Dharamsala, per aiutare il popolo tibetano in esilio a preservare la propria identità. Da allora ha cominciato una lunga lotta per i diritti dei suoi ex sudditi, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace (1989) e ripudiato il sistema feudale dell’antico Tibet, adottando un modello democratico per il governo in esilio.
Il regime cinese si è nel frattempo arrogato il compito di nominare le future reincarnazioni del Dalai Lama e dopo aver rapito nel 1995 la presunta reincarnazione della seconda più importante carica tibetana – il Panchen Lama -, identificato da Tenzin Gyatzo in Gedhun Choekyi – lo ha sostituito con un altro. Nel settembre 2007 la Cina ha reclamato il diritto di eleggere tutti gli alti monaci tibetani e quindi il quindicesimo Dalai Lama.
La storia di questo personaggio è lunga e travagliata: a due anni è stato riconosciuto come capo spirituale del proprio popolo, a partire dai sei gli alti monaci tibetani lo hanno istruito sulla dottrina e sul governo per consegnarli – dopo un ventennio – il diploma “Lharampa”, il più prestigioso titolo di studio per un religioso del suo paese. In quell’anno fu costretto alla fuga.
Già nel 1950 il Tibet era stato invaso dall’Esercito di Liberazione Popolare schiacciando l’esercito locale, quasi esclusivamente cerimoniale; nel 1952 era iniziata la colonizzazione cinese; nel 1954 il Dalai Lama e il Panchen Lama erano stati invitati a Pechino, dove rimasero affascinati da certi aspetti della dottrina comunista, per poi scoprire che questa considerava il Buddhismo un “veleno”. Il 1955 aveva già visto alcune ribellioni causate dallo svuotamento forzato dei monasteri locali e il 10 marzo 1959 scoppiò la rivolta, continuata da piccoli gruppi fino al 1969. Il biennio 1966-68 fu particolarmente tragico per la storia tibetana: la Grande rivoluzione Culturale portò alla distruzione di oltre seimila monasteri e allo sterminio di migliaia di buddhisti laici e religiosi.
Emanuele Marian
Ufficio Stampa Pnv
stanpa@pnveneto.org
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