Quanta rabbia, quale senso di ingiustizia si prova a vivere in un’Italia che ha saputo corrompere tutto, anche il nostro meritato ambire ad avere ciò che ci spetta per quello che valiamo. Ognuno di noi trova una grande gioia nel vedersi riconoscere il frutto del proprio lavoro, la meritata ricompensa per il proprio sforzo e quanto soffre nel vedere invece che siamo oppressi da un sistema di un’impenetrabile casta feudale che tutto domina e tutto vuole, anche ciò che non gli spetta, per esempio un lavoro, o un premio, o una promozione, quando per esempio noi valiamo di più.
Il Veneto indipendente saprà ricreare uno spirito di meritocrazia, dove ognuno sarà scelto per i propri meriti e per le proprie capacità e non in virtù della conoscenza di questo, o di quel politico.
Ciò sarà possibile grazie al ridimensionamento della sfera del politico, dello stato e al venir meno della deprecabile malattia del corporativismo che ci è stata inoculata dal fascismo italiano, cancellando la tradizione veneta delle arti e dei mestieri, sostituendola con il dominio dei professionisti e degli albi autoreferenziali.
Il Veneto indipendente non permetterà, per fare un esempio, che un giornalista debba essere riconosciuto come tale in virtù di una tessera di appartenenza ad un organizzazione di parte. Un giornalista sarà tale se saprà scrivere bene e fare al meglio il proprio mestiere.
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Il Veneto scalpita, si dibatte, tenta disperatamente di passare dall’era muscolare a quella intellettuale, una nuova fase di progresso socio-economico che poggi i piedi su quanto fino ad oggi costruito, ma che possa essere sfruttato come piattaforma da cui spiccare il volo.
E vorrebbe essere un volo autonomo, non assistito, non meccanizzato, un volo naturale sulle ali delle proprie capacità, delle proprie specificità, della propria nuova identità.
Ma la tecnica non è più sufficiente, gli spazi per uno sviluppo caotico esauriti, l’era della microimpresa esaurita, e il rischio è quello di affermarsi come grande autogrill, la piattaforma di supporto al traffico di merci, capitali ed automezzi che si muove da Est ad Ovest del continente, un groviglio infrastrutturale che agevola lo scivolamento delle valenze verso un altrove indefinito.
Un territorio di passaggio spesso vive tutte le problematiche delle terre di confine, senza averne in cambio una reale crescita che non sia economica in modo sterile. La posizione di confine, però, concede anche l’opportunità di candidarsi ad essere luogo di sperimentazione concreta delle contaminazioni tra popoli e culture, il melting pot che se sostenuto e guidato opportunamente potrebbe facilmente sostituire il logoro apparato intellettuale che oggi popola le dirigenze, e che non sembra proprio attrezzato per poter cogliere questa enorme occasione.
È necessario però arginare questa smania di applicazione di un federalismo distorto che da tempo agisce sul Nordest, frammentando, disgiungendo, impedendo la pianificazione di politiche armonizzate e centrate sul territorio, con una visione municipiocentrica che davvero non fa bene ad alcuno.