Sono un pacifico, non un pacifista. Mi piace il quieto vivere, bado ai fatti miei e non amo intromettermi nelle vicende degli altri. Con questa filosofia sono stato educato e ho vissuto. Fino a un certo punto, però, perché un giorno ho capito che così, in un mondo e in un’epoca come l’attuale, non è più possibile tenere gli occhi girati dall’altra parte.
Per una sorta d’eredità familiare e anche per aver provato sulla mia pelle, da bambino, l’esperienza delle rappresaglie antifasciste dell’immediato dopoguerra, ho sempre avuto una sorta di simpatia nei confronti degli sconfitti del 25 Aprile, pur non facendo mai politica e senza essere iscritto ad un partito. Nel ’94 e nel ’96 ho votato per AN, conformemente all’idea che avevo della politica. Avevo però sempre una riserva, in fondo al cuore. Perché questa riserva? La spiegazione è questa: mia madre veniva da una famiglia storica di Venezia, una di quelle iscritte al Libro d’Oro. Mio nonno materno, che mi allevò durante la guerra, pur essendo stato fascista, mi aveva inculcato l’amore per la Serenissima e per la sua millenaria, gloriosa storia. Da ragazzo ero un campanilista. Per me non c’era niente di più bello e amabile della terra veneta. Ancora oggi amo la mia terra in maniera quasi maniacale, anche se la vita mi ha portato a vivere a Brescia, in Lombardia (si, ma in quella parte di Lombardia che un tempo fu veneta). Sono così sentimentalmente legato alla Venezia che, in qualsiasi parte di quello che fu il dominio veneto, in Italia, in Slovenia, Croazia, Montenegro o Grecia, quando vedo il Leone di San Marco mi sento a casa.
E vengo al fatto: ricordate quella sciagurata iniziativa dei signori della sinistra, Cacciari in testa, che volevano festeggiare i duecento anni della caduta della Repubblica Veneta? Ricordiamo tutti quell’episodio, definito allora, da quelli che ci governavano, come eversivo e terroristico: l’assalto al campanile di Piazza San Marco da parte di alcuni “fanatici attentatori venetisti”. Armati di un vecchio mitra Mab da demolizione, a bordo del temibile “Tanko” (un vecchio trattore da semirimorchio camuffato) occuparono Piazza San Marco e, saliti sul campanile, esposero il glorioso vessillo. Furono così disonesti e pericolosi da pagare il passaggio sul traghetto! Perché lo fecero? Fu la risposta del popolo veneto all’iniziativa scriteriata e vigliacca dei giacobini di casa nostra. Fu la vera celebrazione dell’anniversario della caduta della nostra gloriosa Repubblica di San Marco.
In quel periodo mi trovavo a Kusadasi, in Turchia, a circa novanta chilometri da Smirne. Lavoravo, per conto di un’azienda lombarda, alla realizzazione di un parco acquatico. Ero l’unico italiano in un cantiere brulicante di operai curdi e iracheni. Avevo due colleghi turchi, due geometri di Smirne. Con uno di loro, Ibrahim, avevo fatto amicizia e spesso ero ospite a casa sua. Da tre giorni ero tornato dall’Italia, dov’ero stato per consultazioni tecniche con la direzione. Ibrahim arrivò trafelato in cantiere e m’invitò a seguirlo al bar, appena fuori dal cancello. Mi disse: ” Walter, tu sei veneto…vieni a vedere quello che sta succedendo a Venezia….C’è un attacco di terroristi….lo stanno trasmettendo alla televisione”. Così vidi la nostra bandiera che sventolava in cima al Campanile…,e poi l’assalto dei Nocs e infine il nostro glorioso vessillo strappato dalle mani di uno degli uomini catturati, gettato a terra e ignobilmente capestato da uno degli agenti mascherati. Lo speaker turco commentava, il mio amico traduceva le sue parole: ” …le forze speciali della polizia italiana hanno catturato i terroristi che volevano attentare all’integrità dello stato esponendo una bandiera della Repubblica di Venezia sul campanile di Piazza San Marco…” Ero esterrefatto e indignato. Mi si rivoltò il sangue fin quasi a star male e provai un’avversione profonda nei confronti del governo e dei partiti italiani. Mi chiedevo come mai nessuno, in Italia, Lega in testa, mostrasse solidarietà con quei quattro gatti che erano saliti lassù. Il mio amico turco era come me scosso e offeso per il gesto del poliziotto che aveva calpestato la bandiera. Il suo commento fu molto duro: ” Il tuo paese ha gettato a terra e calpestato un vessillo glorioso e carico di storia. Noi fummo nemici dei Veneziani per quasi cinquecento anni e abbiamo sempre provato timore e rispetto verso quella bandiera, simbolo di una Nazione antica e piena d’onore e di gloria. Questo dovrebbe essere un giorno di lutto e invece è occasione di vergogna per l’Italia”.
Da quel giorno decisi d’abbracciare la causa dell’indipendenza delle Terre di San Marco. Mai più con l’Italia e con i partiti italiani. Provo solo un profondo rammarico pensando a quelli che caddero per unire questo strano paese che non diventerà mai Nazione. Erano i nostri fratelli, i nostri padri, i nostri nonni. Caddero a centinaia di migliaia su tutti i fronti, nelle guerre alle quali questo stato partecipò, nell’illusione d’essere una grande potenza, per ritrovarsi poi preda della partitocrazia mafiosa o del settarismo dei compagni. No, noi veneti non siamo di questa pasta, noi siamo figli di San Marco! Arma la prora marinaro e salpa verso il mondo….Par tera, par mar, San Marco!
Gualtiero Scapini
PNV Brèsa
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emozionante
Ste paro£e toca el cuor!!
Anca mi, son stà profondamente ofexo da la asion de coel carabiniere ca el ga pestà la nostra bandiera.
A Venezia ci ho vissuto anch’io parecchi anni, e la amo molto. Il rispetto per la storica Serenissima è piu’ che dovuto, ma anche il rispetto per il presente è altrettanto necessario. Se una minoranza decide di mettere una bandiera dove la maggioranza non vuole, si tratta un atto di rivolta illegittimo. Punto. Non ci credi? Allora prova a pensare a come l’avresti presa se un manipolo di turchi avesse deciso di mettere sul campanile la bandiera bizantina: in fondo Venezia è stata anche bizantina, conquistata da Narsete nel 555. Quindi ti propongo di dare il giusto peso alle cose: le persone che viaggiano soprattutto dovrebbero essere in grado di capirlo, e mi stupisco di questa tua chiusura alla democrazia.