Vi sono molti motivi per celebrare il 9 maggio. Agli storici della prima età moderna, categoria cui appartengo, corre subito alla mente il 9 maggio 1788, quando il Parlamento inglese votò a favore dell’abolizione della schiavitù. Il 9 maggio 1753, in Francia, Luigi XV sciolse il parlamento, creando le lontane premesse della rivoluzione francese. Il 9 maggio 1502 Cristoforo Colombo partì per il suo quarto e ultimo viaggio verso il nuovo mondo. Il 9 maggio 1797, e qui ci avviciniamo alla nostra storia, Napoleone era vicinissimo a Venezia: aveva dichiarato guerra alla repubblica il 2: col pretesto dell’attacco ai francesi a Verona. Dunque, qui e ora, non possiamo dimenticare il 9 maggio di dodici anni fa, quando un gruppo di patrioti veneti, i Serenissimi, scalarono il campanile di San Marco, mostrando al mondo intero – una foto fu messa anche sulla prima pagina del New York Times, lo ricordo bene ché allora ero in New England – che la memoria dell’antica libertà della Venetia non era affatto spenta. Né lo è ora, anzi appare quanto mai viva. Viva, ché si nutre di forze nuove, legate all’emergere dei piccoli Stati dalla dissoluzione dei grandiosi e inconsistenti leviatani ottocenteschi, piccoli Stati che economisti come Alberto Alesina, e numerosi altri, hanno ampiamente dimostrato essere i più ricchi del mondo in termini di PIL pro capite, l’unico sincero ed esatto indicatore di ricchezza: poiché il PIL nazionale non significa nulla, è naturale che sia più alto quello cinese di quello del Lussemburgo, ma in Lussemburgo si vive indubitabilmente meglio che non in Cina. A questa verità della storia si associa, ed in qualche modo positivamente si sovrappone, l’antico sentimento di nazionalità veneto – e catalano, e scozzese, e montenegrino, e perfino di Texas e Hawai – in un nodo della storia cui occorre guardare serenamente: non sono rigurgiti xenofobi, non sono campanilismi tristi e vieti, sono oneste istanze indipendentistiche alimentate da onestissimi intellettuali, professionisti, lavoratori, studenti. E’ iniziata una nuova fase prima che della politica veneta, della coscienza veneta, come autocoscienza che si nutre di quanto accade nel vasto mondo, e della lezione della propria storia. Non è un’invenzione di una tradizione, si tratta soltanto della sua riscoperta. Il principio dell’autodeterminazione dei popoli è pacificamente accettato anche dalla legge italiana, né è più reato (e gravissimo) parlare di indipendenza di una porzione d’Italia. Il resto potrà continuare ad essere tale. La Serbia dovrebbe ad esempio rendersi conto che essere stata privata del Montenegro e del Kosovo, l’ha resa soltanto più ricca. Facendo sì che i suoi abitanti vivano in uno stato più piccolo, e per ciò stesso meno costoso e più efficiente. La storia offre talora soluzioni pacifiche per risolvere rapporti deteriorati tra i popoli ed i loro reggitori. Sono rare ed occorre prenderle al volo.
Paolo L. Bernardini
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