Sono passati cinquecento anni esatti da una delle pagine più gloriose della storia veneziana, che è bene ricordare non solo per gusto antiquario, in tempi d’assedio, questi pure, per il Leone di San Marco. Siamo nella prima fase della guerra scatenata dalla Lega di Cambrai: l’Europa tutta, guidata da un papa che non aveva esitato a scomunicare la Serenissima, sogna di fare a pezzi la repubblica e dividerseli in parti quasi uguali. Giulio II non ama Venezia, l’Imperatore Massimiliano I, neoeletto, meno che meno. La avversano Francia e Spagna, è cresciuta troppo, nel Quattrocento, il vero secolo corrusco e vivo della repubblica marciana. In poco tempo i territori di Terraferma cadono tutti, o pacificamente s’arrendono alle forze congiunte di una lega impressionante militarmente e politicamente, anche se internamente fragile, in realtà. Eppure, tra la tarda primavera e l’estate, il Leone mostra bene di poter reagire, coll’armi prima che con la diplomazia – questo lo farà dopo, e magistralmente, tanto che fu quest’ultima a farle vincere la guerra – e pian piano riprende i territori subitamente perduti.
Operazioni politiche e militari certo, con un uomo eccezionale, Andrea Gritti, avventuriero alla Sublime Porta e poi doge, su cui bellissime pagine scrissero, tra gli altri, Ennio Concina e Alvise Zorzi. Un uomo che riprese Padova il 17 luglio, che terminò la riconquista tra autunno e inverno: strappando alla lega Vicenza, Feltre, Belluno, Bassano e il Polesine. Il suo dogato fu per tanti aspetti mirabile. Si sa, la guerra terminò solo nel 1517, la situazione fu riportata esattamente o quasi allo status quo ante 1508. La Lega di Cambrai si sciolse nel 1510, seguirono nuove leghe e clamorosi rovesciamenti di alleanze. Giulio II si alleò con la Serenissima. E quest’ultima in una fase successiva con la Francia. Alla fine della guerra Venezia si “modernizzò” in senso centralistico, anche troppo. Le tasse aumentarono e aumentò il controllo della capitale sulla Terraferma. Lo racconta un libro non recente ma neppur datato di Giuseppe del Torre, storico veneziano. Ma vorrei sottolineare qui un episodio, che la dice lunga sul legame tra i sudditi della Serenissima e il loro governo. Mentre i maggiorenti trevigiani avevano deciso di arrendersi all’Impero, il popolo di Treviso coraggiosamente insorse, a più riprese, inneggiando a Marco l’evangelista, ribadendo la fedeltà alla repubblica, e quasi protestando l‘aderenza alla vera fede quando lumeggiava già, timidamente, e inavvertita ancora, la grande Riforma luterana. Insorse il trevigiano l’11 luglio. Ma già fondamentale fu l’insorgenza del 10 giugno. Treviso si conquistò così l’appoggio militare decisivo di Venezia, e anche un’esenzione da tributi per tre lustri. Ora, si ricordano spesso le insorgenze contro Napoleone, le Pasque veronesi, le insorgenze del 1796-7 e quelle fondamentali del 1809: ma furono insurrezioni purtroppo destinate a cattiva sorte. Non così 500 anni fa esatti. Il popolo stava con Venezia, e vinse. Non è fuori luogo ricordarlo. Sia perché alcuni storici ritengono fondamentali solo l’azione bellica e quella diplomatica per il decennio di assedio della Lega di Cambrai e della Lega Santa. Ma soprattutto perché è bene rammentare, ogni tanto, il legame speciale, felice, viscerale, del popolo veneto coi suoi reggitori. Col governo, per cui rischiarono e diedero la vita i trevigiani quel lontano 11 luglio 1509. Cinquecento anni fa.
Paolo L. Bernardini
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