Articolo originale pubblicato su lavoce.info
Anche la manovra d’estate rimanda ai posteri gli interventi sull’età pensionabile. Solo per le donne che lavorano nel pubblico impiego cambia qualcosa: dal 2010, i requisiti anagrafici per andare in pensione saliranno gradualmente da 60 a 65 anni, equiparandosi a quelli degli uomini. E’ una ennesima scelta contro il pensionamento flessibile. Ma soprattutto è una riforma destinata ad avere un effetto molto limitato sui conti pubblici: negli anni in cui questo Governo sarà in carica, i risparmi saranno dell’ordine di 100 milioni.
Gli interventi sull’età pensionabile dei lavoratori italiani decisi ieri dal governo e introdotti come emendamento alla manovra d’estate non possono essere definiti una riforma. Ripercorrendo una tradizione cara al nostro ministro dell’Economia, rimandano ogni intervento ai posteri, al 2015, quando l’attuale esecutivo non sarà più in carica. Ma questa volta addirittura rinviano nel tempo le decisioni anziché gli interventi veri e propri. Infatti, il testo dell’emendamento recita che “la normativa tecnica di attuazione” verrà definita in un regolamento da emanare entro il dicembre 2014 (vincolo che, come sempre, sarà stringente dato che in Italia questi interventi vengono decisi all’ultimo momento).
L’ETÀ (PENSIONABILE) DELLE DONNE
C’è invece un intervento, richiesto dalla Corte di giustizia europea, sul pensionamento delle donne con unimpiego pubblico: gradualmente, a partire dal 2010, vedranno salire i requisiti anagrafici per andare in pensione da 60 a 65 anni, equiparandoli a quelli degli uomini.
Al di là del giudizio su questa ennesima scelta contro il pensionamento flessibile, è una riforma destinata ad avere un effetto molto limitato sui conti pubblici. Negli anni in cui questo Governo sarà in carica, i risparmi saranno dell’ordine di 100 milioni. Inoltre, poiché posporre l’età di pensionamento comporta in molti casi un aumento del livello della pensione, i risparmi positivi realizzabili tra il 2010 e il 2016 verrebbero successivamente erosi da perdite, tanto che il risparmio cumulato al 2020 tocca appena i 900 milioni e scende ai 180 milioni nel 2030.
Nelle nostre simulazioni stimavamo che una riforma ben più ambiziosa, basata sull’applicazione immediata delsistema contributivo anche alla quota retributiva avrebbe portato a risparmi dell’ordine di 1,5 miliardi nel 2015, con risparmi cumulati tra il 2010 e il 2020 di circa 11 miliardi. E poi crescenti nel tempo.
IL FONDO PER I NON AUTOSUFFICIENTI
Nelle intenzioni del governo, le somme ricavate da queste misure dovrebbero andare ad alimentare un fondo per la non autosufficienza. Ma, come si è visto, nella durata di vita di questo governo, la somma disponibile ogni anno sarebbe comparabile a quella intascata della vendita di un calciatore. Come dire che il fondo per tutti i non autosufficienti vale quanto Kakà.
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