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PARADISI E INFERNI FISCALI

di Fabio Calzavara

paradiso-infernoL’attuale grande crisi ha fatto emergere i difetti del sistema finanziario globale, tra i quali, ultimo ad essere “scoperto” dai politici, è quello dei “Paradisi Fiscali” (Tax Heavens), sottrattori di preziose risorse finanziarie prodotte in loco.
Essi sono saliti all’onore delle cronache mondiali lo scorso Aprile quando i “G8”, riuniti a Londra per decidere come evitare i fallimenti delle grandi Banche, hanno lanciato strali contro l’ingiusta evasione fiscale pepetrata in questi luoghi “previlegiati” (in primis il Premier britannico Gordon Brown).
Ma vediamo di capirne un po’ di piu’ sull’argomento, in quanto ci sono state date migliaia di informazioni ma tutte disaggregate tra loro e quindi definitivamente poco chiare.
Ecco quanto emerge mettendo assieme alcuni dati precisi con altrettante precise testimonianze.

Innanzitutto, che cos’è il Paradiso fiscale?
L’Organizzazione per la Coperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), composta dai Paesi più industrializzati, definisce “Offshore Financial Centre” il cosiddetto “paradiso fiscale”: è un Paese o un Territorio autonomo che non impone tasse (in qualche caso solo nominali) e che possiede almeno uno dei seguenti criteri:

  • assenza di trasparenza;
  • mancanza di scambio di informazioni con le autorità degli altri Stati;
  • capacità di attrarre attività aventi lo scopo di nascondere e movimentare capitali occulti.

Queste caratteristiche rendono i paradisi fiscali il luogo ideale per sottrarre capitali all’avidità fiscale del proprio Stato mantenendo l’anonimato. Le autorità finanziarie dei paradisi fiscali, infatti, non sono tenute ad accertare né la provenienza del denaro né l’effettiva identità di chi lo versa. E se anche vengono in possesso di tali informazioni, si guardano bene dal rivelarle alle autorità dei Paesi stranieri che ne fanno richiesta.

Quanti sono i “Paradisi Fiscali”?
L’OCSE aveva a suo tempo individuato 41 “giurisdizioni” (Stati o Territori autonomi) definibili come veri e propri paradisi fiscali.
Le linee guida Ocse del 1998 contro le pratiche fiscali dannose per i propri Stati membri prevedono sanzioni contri i Paesi considerati “tax heavens” che non avrebbero inviato “Advance commitment letters” (lettere di impegno anticipato sulla trasparenza) entro il 2002.
Tra il 1999 e l’aprile 2002, trentaquattro dei 41 Paesi hanno inviato tale documento impegnandosi a superare le pratiche fiscali dannose in futuro.
Restano quindi a rischio di sanzioni sette paradisi fiscali, che per vari motivi non hanno ritenuto di aderire alla richiesta Ocse: Andorra, Isole Marshall, Liberia, Liechtenstein, Nauru, Principato di Monaco e Vanuatu.
Fonte: http://www.oecd.org/home

Da rilevare che la lista italiana dei Paesi a fiscalità privilegiata, rinnovata con decreto del ministro dell’Economia nel Febbraio 2002, è più ampia in realtà di quella dell’Ocse. Comprende infatti 50 Paesi a pieno titolo e altri 19 per aspetti parziali. La normativa italiana però, si concentra soprattutto sui problemi dell’elusione fiscale; solo dalla Finanziaria 2000 è stata introdotta la diretta imputazione in capo alla società controllante i redditi conseguiti da una controllata localizzata in un paradiso fiscale – il cosiddetto sistema delle “controlled foreign companies”, cui l’Italia è arrivata per ultima in Occidente.
http://www.portaleaziende.it/strumenti/articolo.php?p=197

Quanto denaro viene nascosto nei “Paradisi Fiscali”?
Un rapporto ONU del 1998 stimava l’ammontare globale dei fondi depositati nei paradisi fiscali in 5.000 miliardi di dollari (oltre 5.500 miliardi di euro), ossia circa la metà di tutti i capitali mondiali investiti all’estero.
Da un rilevamento della sezione antiriciclaggio dell’Ufficio Italiano Cambi per il periodo 1997-1999 risulta che ogni mese circa 10.000 miliardi di Lire (5 milioni di euro) lasciavano l’Italia per entrare nelle banche “offshore”. E risulta inoltre che, nonostante l’operazione del cosidetto scudo fiscale sui capitali che rientrano dall’estero, i flussi verso l’offshore non si siano prosciugati.
Chi utilizza i “Paradisi Fiscali”?
Le imprese multinazionali e transnazionali sono quelle che fanno il maggior uso dei paradisi fiscali con attività perfettamente legali, sempre con lo scopo di pagare la minor quantità possibile di imposte.
I privati cittadini di solito creano società di comodo nei paradisi fiscali per evadere il fisco ma anche per sfuggire ai creditori o alle pretese del coniuge da cui si sta separando.
Le organizzazioni criminali utilizzano i paradisi fiscali per riciclare i proventi delle loro attività illecite, come il traffico di armi o di droga.

Banche italiane nei “paradisi fiscali”: 320 sedi (sparse in 30 paesi)
Banche italiane con sede in Lussemburgo: 30
Gruppi controllati da banche italiane presenti nei “paradisi fiscali”: 117
, il 50% (112 su 250) delle società italiane quotate in borsa ed il 22% (22 su 88) dei gruppi bancari italiani hanno partecipazioni di controllo su società residenti in paradisi fiscali
http://www.ares2000.net/ricerche/paradisifiscali.htm

LA POSTA IN GIOCO
L’enormità delle cifre in gioco aiuta a comprendere quanto sia difficile un’efficace soluzione del fenomeno: se i paradisi fiscali venissero completamente aboliti le organizzazioni criminali si troverebbero in difficoltà, numerose imprese multinazionali dovebbero finalmente pagare tutte le tasse dovute e le maggiori borse mondiali dovrebbero rinunciare a un consistente afflusso di capitali che, anche se di illecita provenienza, alimenta una buona parte delle speculazioni finanziarie su cui le borse stesse costruiscono le loro fortune.

Stati considerati nel Mondo Paradisi Fiscali secondo vari parametri (stime 2005):
1. Anguila island (Colonia inglese)
2. Bahamas (Commonwelth inglese)
3. Barbados (Commonwelth inglese)
4. Bemudas (Colonia inglese)
5. Belize britannico (Commonwelth inglese)
6. Cayman islands (Commonwelth inglese)
7. Giamaica CCommonwelth inglese)
8. Gibilterra (Colonia inglese)
9. Grenada (Commonwelth inglese, invasa dagli USA nel 1983
10. Guernsey island (Commonwelth inglese)
11. Jersey island (Commonwelth inglese)
12. Man Island (Commonwelth inglese)
13. Monteserrat island (Colonia inglese)
14. Niue island (Colonia inglese)
15. Nauru (protettorato Australia-Commonwelth inglese)
16. Hong Kong (Colonia inglese, ora zona speciale cinese)
17. Malta (Commonwelth inglese)
18. Mauritius (Commonwelth inglese)
19. Singapore (Commonwelth inglese)
20. Saint Lucia (Commonwelth inglese)
21. Sain Vincent e Grenadine (Colonia inglese)
22. Saint Kitts e Nevis (Colonia inglese)
23. Seychelles Commonwelth inglese)
24. Turks e Caicos (Colonia inglese)
25. Vergin Islands (Colonia inglese)
26. London CITY
27. Cipro (ex Colonia inglese)
28. Labuan, Malaysia (ex protettorato inglese)
29. Maldive (ex Colonia inglese)
30. Nevis, Isole Leeward (ex colonia britannica)
31. Oman (ex protettorato britanico)
32. Samoa (ex Colonia inglese)
33. Costa Rica (soggetta ad USA)
34. Rep. Domenicana (soggetta ad USA)
35. Filippine (ex Colonia USA)
36. Marshall Islands (protettorato USA)
37. Liberia (soggetta ad USA)
38. Panama (soggetta ad USA)
39. Portorico (soggetto ad USA)
40. Vergin Islands (Stati Uniti)
41. Delaware (USA)
42. Nevada (USA)
43.Wyoming (USA)
(in questi ultimi 3 Stati USA la legislazione fiscale e’ molto permissiva)

44. Antille Olandesi (Colonia olandese)
45. Aruba (Colonia olandese)
46. Madeia (Colonia portoghese)
47. Macao (Colonia portoghese)
48. Gibuti (Colonia francese)
49. Isole Leeward (Colonia francese)
50. Libano (ex protettorato francese)
51. Uruguay (ex colonia portoghese)
52. Vaunatu, Nuove Ebridi, (ex colonia francese)
53. Andorra
54. Dublino (EIRE)
55. Liechtenstein
56. Lussemburgo
57. Monaco Montecarlo
58. San Marino
59. Svizzera
NOTA: la lista e’ aggiornata al 2005
Tratto da: http://www.paradisi-fiscali.com/black_list.htm

Quasi tutti i Paesi in elenco sono indicati anche come “Moeny laundry” (riciclaggio proventi illeciti), a tal proposito sono stati aggiunti nel 2001 anche Egitto, Guatemala, Indonesia, Israele, Myanmar, Nigeria, Russia, Ungheria, Ukraina. http://en.wikipedia.org/wiki/FATF_Blacklist

CONCLUSIONI:
Sul 59 Stati in elenco ben 43 (il 72% del totale) sono sotto il controllo diretto o indiretto anglo-americano (32 Regno d’Inghilterra e 11 Stati Uniti d’America), contro i 7 Europei piu’ le 9 colonie ed ex colonie di Francia, Olanda, Spagna, Portogallo.
Viene da chiedesi come fara’ il premier Gordon Brown, il quale ricordiamo denuncio’ al Mondo lo scandalo dei Paradisi fiscali, a combattere contro la sua stessa “City londinese”, madre e protettrice della quasi totalita’ delle banche “off-shore” sul Pianeta…
Viene anche da chiedersi perche’ gli Stati del “G8”, in primis quello italiano, anziche’ aumentare spese e gabelle da “inferno fiscale”, non seguano l’esempio dei Paesi denominati giustamente Paradisi fiscali per il loro basso livello (talora inesistente) di burocrazia e tassazione…

La riduzione delle tasse e l’eliminazione delle gabelle ottocentesche che opprimono la nostra economia sarebbero benvenute da tutti… lo Stato potrebbe benissimo funzionare con minori entrate (riducendo sprechi, buone uscite milionarie, burocrazia inutile, pensioni d’oro, etc.) nonche’ avere maggiori entrate stampandosi in proprio le banconote (per le monete lo fa gia’), anziche’ chiederle alla Banca Centrale privata e pagarle notevoli commissioni ed interessi.
Sarebbe il rifiorire dell’economia e dell’ottimismo ovunque, la crisi sarebbe vinta… ma, diciamoci la verita’,con questo Stato fallimentare,le speranze di realizzare concretamente questa ipotesi sono scarse, continueremo cosi’ a “goderci” il nostro Inferno fscale … fino a quando?

Fabio Calzavara, 5 Settembre 2009

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