Racconto di Nerio de Carlo
Anche i paesaggi si possono leggere. Non faceva eccezione il nostro villaggio, in parte denominato “luogo delle acque basse”. Si comprendono così una natura troppo estrema per essere contraddetta, una banderuola sul campanile che occupa da sempre un posto tra due venti contrari e prati che si coagulano di passeri, anime bambine vestite di piume: un paesaggio plurale smaltato qua e là di rossi papaveri.
In una notte con una luna da sabato sera accadde qualcosa di inaspettato. Un consistente gruppo di grossi uccelli palmipedi si era stabilito vicino al ponte quasi al livello del lento fiume. Si trattava di edredoni o “anatre dal piumino”, note anche come “oche del Campidoglio”.
I nuovi arrivati, dopo aver attentamente studiato la composita comunità locale di uccelli acquatici dotati di carena dello sterno ridotta e zampe corte a dita unite da membrana lobata o intera, cominciarono a saggiare le varie vocazioni disponibili alla subalternità. Presto emersero le loro intenzioni e la tendenza a vivere a spese degli ospitanti. In altre parole progettavano assoggettare e colonizzare tutte le specie di palmipedi del paese in attesa di nuove opportunità anche presso i “galliformi”. Non passava giorno senza prepotenze e perfino aggressioni fisiche.
Non mancò la spiegazione per la nuova presenza e l’inusitata realtà. Tutto veniva fatto, si diceva, per la liberazione delle specie esposte alle incursioni delle martore dal pelo bruno gialliccio, ai saccheggi delle flessibili faine, alle intrusioni delle agili donnole e perfino alle astuzie delle volpi dalla folta coda. Non importa se le ultime apparizioni di questi animali risalivano a mezzo secolo prima. Dopo la liberazione sarebbe stata poi introdotta la civilizzazione delle schiere liberate. In questa opera era compresa in primo luogo, come in tutte le colonizzazioni che si rispettano, la riconversione linguistica.
Una delle prime pretese fu infatti l’immediata abolizione dei linguaggi delle diverse specie e la contestuale introduzione del chiasso del nuovo branco, integrato da imprecazioni e da una inconfondibile agitazione di ali.- “Parlare la lingua materna è come vivere”, era stato spiegato, “e la vita invecchia, consuma, fa male alla salute. Perché allora insistere?- Perché rimanere arretrati usando parole logorate e dal suono barbarico?”- Se rimaneva solo l’idioma dei nuovi venuti, tutti i pennuti resi subalterni avrebbero invece compreso gli ordini impartiti e non c’erano pretesti per insubordinazioni o equivoci. Questa era la strategia, o meglio la voce del predone. Quanti non si adeguavano erano oggetto di minacce e di aggressioni. I piccioni viaggiatori si incaricarono subito di comunicare a tutti gli interessati le nuove disposizioni. L’informazione fu completata da un’assicurazione: il nuovo starnazzamento aveva già avuto un certo successo in passato durante un famoso assedio di una città costruita su alcuni colli.
Le anatre mute decisero che la cosa non le riguardava. Facessero tutti un poco come volevano. Esse si servirono del loro interprete di fiducia per comunicare l’estraneità alle nuove disposizioni. Il traduttore era un vecchio barbagianni che abitava in un anfratto del cimitero. Non si pensi che fosse una fatica di poco conto fare l’interprete. Intanto questi doveva conoscere, nel caso di specie, anche la lingua dei segni usata dai muti, appunto. Inoltre, come in tutte le parlate, anche la lingua dei segni ha i suoi dialetti.
Le oche domestiche grigie o tutte bianche, non volevano dispiacere alle loro congeneri. Come è noto, le oche, tranne alcuni esemplari che si sottraggono alla consolidata classificazione grammaticale, sono femminili per definizione. Bisognava vederle come sbirciavano gli ingombranti ospiti! Soltanto loro e qualche ragazza del paese, comprese quelle con garanzia ormai scaduta e altre in età da zampe di gallina, sapevano occhieggiare strabicamente in quel modo, a capo basso per carico peccaminoso, quando arrivava qualche estraneo da quelle parti. Tutte accettarono subito e di buon grado gli ordini. In fin dei conti non dovevano sforzarsi poi molto per imparare.- Le papere seguirono l’esempio senza nemmeno una pernacchietta. Che resistenza avrebbero potuto fare le poverine contro quegli intrusi determinati e prepotenti, probabilmente appoggiati da chissà quali protezioni?
Qualche difficoltà derivò dai germani reali dal becco lungo verdastro, con piedi di color arancione e un paio di riccioli sulla coda. Alla fine anche loro dovettero assoggettarsi ai nuovi ordini, ma istituirono delle scuole per gli anatroccoli, affinché non dimenticassero il linguaggio materno. Le lezioni, frequentate anche dai pulcini dei “marzhorìn”, si tenevano in un luogo appartato, dove le rose selvatiche sanguinavano libere nel profumo di tanti ricordi di spine. Se fossero stati scoperti, sarebbe stato un guaio. Il pericolo era reale: c’erano molti confidenti, o spie, in giro. I corvi erano tra i più sospetti. Certe cose sono come gli anni di scuola: bisogna attendere che passino. I prepotenti sono comunque destinati a provocare crisi di rigetto prima o poi.
Le gallinelle d’acqua, più piccole del colombo, nere di sopra e grigio ardesia di sotto, erano molto perplesse. Appartenevano anch’esse ai palmipedi?- Le loro tre dita anteriori lunghissime e verdi lo escluderebbero, ma la loro abilità nel nuoto e nel tuffo dimostrerebbe una certa affinità. Decisero di guadagnare tempo e, per il momento, far finta di niente.
I gabbiani invece si ribellarono. Questi uccelli hanno certamente uno sguardo da sciocchi, ma proprio insensati non sono. Il loro grido rauco somiglia a uno scroscio di risate. Sembrano convinti che, se il Regno è nei cieli come è stato autorevolmente sostenuto, gli uccelli del creato siano avvantaggiati rispetto agli umani. Decisero quindi di migrare, attirandosi lo sdegno dei cigni simili a bianchi punti interrogativi.- Oh, l’emigrazione! Non si va via per stanchezza del proprio paese ma, poiché prima o poi si deve morire, è possibile intanto fare esperienza con una morte finta. Ecco.
Il fiume esiguo non sapeva più cosa pensare. Si spogliò, fece il bagno nella propria acqua e annegò.
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