di Gianluca Panto
Nessuno parla più del crocifisso, si o no.
Viviamo nella civiltà delle notizie. La notizia nasce, vive e muore nel giro di pochi giorni. Viene data in pasto al pubblico, questo la consuma e la divora avidamente. Poi la finisce e butta gli avanzi.Non ci sono più idee, al massimo fatti, ma di questi fatti interessa solo la possibilità di trasformarli in un mostro, di amplificarli di sensazionalizzarli, di “notiziarli”.
Dare la notizia è come riempire il serbatoio di una automobile. Quando finisce la benzina resti a piedi, e così devi subito trovarne un’altra.
La notizia è come una manovra finanziaria dello stato Italia, che prevede sempre interventi una tantum, mai interventi strutturali, mai riforme.
La fine e la mancanza delle idee penso che si possa far coincidere con la decadenza e la sconfitta dell’Illuminismo, che mi sembra sia stato accantonato.
Non so bene cosa possa aver causato questo, perché non sono uno studioso quale un sociologo, o un filosofo.
Ho solo la personale impressione che ciò sia dovuto a motivi di convenienza.
La civiltà dei consumi, il consumismo si adatta meglio ad una situazione irrazionale, allo sfogo di istinti basici, all’acquisto di impulso, al soddisfacimento di bisogni superflui, al populismo, all’opulenza costruita sulla vita comoda che vede l’impegno come un ostacolo.
In questa situazione le idee non servono, anzi sono un ostacolo per la società così costituita, trasportando questo rifiuto ai suoi componenti: la vita privata e pubblica, la politica, e ovviamente la comunicazione.
Nella comunicazione non contano le idee, ma gli istinti, quindi gli slogan.
“Guai a chi tocca il crocifisso”, per esempio.
Passati tre giorni, di crocifisso non parla piu’ nessuno.
La frenesia della vita, la necessità di far soldi ci induce a correre.
Finito il lavoro via in palestra per scaricare lo stess.
Il tempo è tiranno e chi avrebbe i mezzi per dotarsi di cultura non ha il tempo di farlo nè la voglia.
Questo degrado culturale colpisce anche e soprattutto i ceti elevati che dovrebbero fungere di esempio e guida. C’è il rischio che la cultura ed il saper fare diventi un fatto di nicchia, patrimonio solo di una fetta non particolarmente rilevante della popolazione.
In pratica staremmo finendo dentro un imbuto dominato da un nuovo oscurantismo.
Cadono i consumi e le nostre certezze di vita che sono solo costruite su questo si incrinano.
Nasce la rabbia e le paure. Cosi’ fa comodo lanciare slogan strumentalizzanti per “il crocifisso”.
Mai voi credete che qualli che vogliono mantenere il crocifisso vadano a messa?
Macchè, i veri credenti praticanti ( non i creduloni) sono una minoranza.
Perché è cresciuta la tecnologia che ci ha dato il benessere, ma è diminuita la cultura, portandoci verso una ateismo non solo religioso in senso stretto, ma anche ad una freddezza verso le passioni e la vita regolata da una qualche visione del mondo .
(Anche per questo quando posso vado a messa, sono un pò manipolato ed amo far contenta la moglie. Prendo ad esempio da Pascal, cioè intanto credo, poi ne riparliamo.)
E’ infine interessante osservare che se le idee ci sono arrivate dall’illuminismo che si opponeva al clericalismo bigotto, ora queste ci sono state portate via proprio dalla civiltà consumistica di massa, contro la quale si è sempre opposto per esempio un papa come Giovanni Paolo II.
Beh, a questo punto che facciamo? Mi sa che siamo arrivati al punto di dire che ci serve una fusione. Credo si dovrebbe teorizzarte un nuovo illuminismo “soft” e meno radicale, che non condanni il clericalismo a priori, ma che sappia distinguere tra credenti e inquisitori.
Quanto al cattolicesimo secondo me servirebbe un nuovo papa moderno, un nuovo Vicario in grado di traghettare i suoi verso una piu’ serena accettazione della società moderna, a costo di rinunciare a qualcosa, a costo di qualche riforma impossibile.
Anche per darci delle nuove idee più facilmente praticabili, visto che oggi scarseggiano.
Diciamo che ci servirebbe una nuova filosofia per disegnare (disegnare all’inglese, cioè progettare) meglio il XXI secolo, non mi pare per ora di vedere ancora delle novità in questo senso, speriamo bene.
Concludo: il crocifisso si o no? Mi ricollego a Pizzati. Ritengo si dovrebbe avere il buonsenso di accoglierlo ma anche il buonsenso di non imporlo.
Treviso, 19 novembre 2009
Gianluca Panto
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Il consumismo è davvero sul banco degli imputati? Forse, non lo so, non ne sono sicuro. Poiché l’impianto della discussione avviene su questo punto, non esserne certi rischia di fondare una convinzione su una inconsistenza, il che sarebbe imbarazzante.
Tra il farsi una cultura di notevole spessore, e non farsene affatto, esiste una sostanziosa differenza. Possiamo affermare noi che per la frenesia della nostra quotidianità ci viene a mancare lo spazio temporale per farci una cultura, del tutto?
Esistono poi i “bisogni superflui”? Queste due parole sono in sé un ossimoro: il bisogno come può essere superfluo? Se davvero verificassimo una condizione di questo tipo saremmo di fronte a casi di skizofrenia, dove un istante prima si vuole, ed un istante dopo un’altro IO non vuole più.
Io credo che più mediocremente ci si possa trovare di fronte a rari casi di banale errore: credevo mi servisse, ma poi rivedendo ho realizzato che invece no, non mi serviva, ho sbagliato.
Ma spesso l’accusa del superfluo viene scagliata contro oggetti che secondo un punto di vista esterno appaiono superflui, ma non lo sono affatto per chi quegli oggetti si è procurato. Calarsi nella valutazione del “bene degli altri” è purtroppo un brutto vizio molto diffuso, molto più di quello che si possa credere; a volte lo facciamo senza rendercene conto.
Quale diritto ha una persona di giudicare cosa serva o non serva ad un’altra persona?
Per me il trucco da viso è un acquisto inutile e superfluo, come lo sarebbe una borsetta, o delle calze ammiccanti, ma posso fare un simile giudizio sulle scelte di una donna?
Non è questo l’esatto equivalente di giudicare genericamente l’acquisto di un oggetto che a noi pare superfluo, ma che un’altra persona ha invece voluto avere?
E’ forse questo il consumismo? Se lo fosse, al massimo allora sarebbe meramente la soddisfazione di bisogni che altrimenti non ci saremmo potuti permettere, visto che negli anni cinquanta l’acquisto di un paio di calze ammiccanti era un lusso e dunque un desiderio per la quasi totalità delle donne, mentre oggi è routine. Siamo caduti nel desiderio di elidere il potere d’acquisto, la cosidetta “decrescita felice” che taluni ambiscono?
Signori, se il nostro problema è quello della cura dello spirito, che non è solo religioso ma anche e soprattutto culturale, allora dubito seriamente che una “decrescita” possa mai essere felice, e ritengo sia il miraggio ingannevole di una terra promessa.
Quale tempo disponibile avevano i nostri antenati dopo una giornata di “felice” (scusate l’ironia) e sfiancante lavoro nei campi? Eppure nessuno si sognerebbe di dire che loro avevano una vita frenetica. Era di una noia mortale, eppure così logorante da togliere ogni desiderio ed ogni ambizione di fare alcunché non fosse stato mangiare, dormire, e fare qualche cosa di molto istintivo animalesco e intimo.
Certo, dopotutto agli uomini per secoli è bastato molto poco. Appunto, null’altro.
Ma su una cosa ha certamente ragione Gianluca P., oggi assistiamo alla fine delle idee, e ci serve un nuovo illuminismo.
Tuttavia io credo che l’accusa vada rivolta ad un’altro imputato, un imputato dal sapore vagamente culturale, non per niente solo una controcultura può distruggere una cultura.
A mio modesto parere è la diffusione di una cultura della fazione, dello scontro, sanguigno, immediato, violento e dunque irrazionale. Sono alcune delle stesse parole usate da Gianluca, ma io le ho inserite in un contesto di “controcultura” o meglio di cultura massimalista*.
Un tipo di cultura che premia l’appariscente che urla, esaltando al massimo un vuoto inferiore ed interiore, ed ignora il ragionato che necessariamente non può urlare.
La televisione poi è semplicemente stato il mezzo per diffondere questa cultura, o non-cultura, che è partita da un disegno politico ben preciso, quello che per vincere ad ogni costo ha fatto il meschino calcolo di ridurre il numero di concorrenti, ottenendo magicamente di avere il 50% delle probabilità di vincere.
Questo è il vero imputato, a mio parere.
Lo stesso, dopotutto, che urla strumentalmente sui crocefissi.
*massimalista non nella accezione politica.
Anca se no semo dacordo sora de tuto so contento.
Se le discusion che sel pol far kive xè su sti livei, a ghemo a disposision purpio on bel laboratorio on bel motor.
Seitando laorar se podarà cavar fora dele idee vaide , seguro.
Naturlamente. La discusion la xe necesaria, se ghe fuse sempre el continuo acordo vol dir ca coalcosa no funsiona: o la controparte xe insulsa e fa sempre yes, o no ghe xe argomenti.
Inoltre, de le volte, no xe na coestion de dixacordo, ma la xe na coestion de punti de vista, ca i pol scondarne de le considerasion ca magari no gavevimo fato. Quante volte capita de no ponderar on aspeto de on problema e rivedarlo soto nantra luce dopo verlo vardà da nantra angolasion?
Xe normale.
El punto fondamentale secondo mi xe ca la discusion la ga da eser separà da la persona ca la esprime. Solo in coel modo se pol far na analixi sensa coinvolgere la partecipasion emotiva de la persona.