A me son incorto de on fato. Ti te pol parlar de economia, de cultura, de vie par rivar a l’independensa, te pol parlar de chel che te voli ma puntuale riva senpre coeo che te fa on apunto so la lengoa. Senpre. L’è senpre cusita. Te pol parlar de tuto ma riva senpre coeo che te dixe: “ah però non sono d’accordo sull’uso del dialetto”. L’argomento el scalda el cor e par ca tuti i gavia el dover da dirte che te si on fià baùco e fora dal tenpo. Sicome a son convinto che solo el mona el sa senpre tuto, dopo on poco calche dubio me vien anca a mi. Com’ela? Tanti i me dixe che el veneto l’è on dialeto, che semo anacronistici a doparar (e scrivar!) sta favela: vuto vedar che l’è vera? A go pensà sora e go mandà na email a on me amigo de Mestre che se ciama Daniele Russo.
Daniele l’è on lenguista, on storego de la lengoa. On tipo che, par la storia de la so fameja e par i so studi, te fe prima a domandarghe le lengoe che no’l conose mia. Daniele no l’è mia iscrito al PNV e me sa tanto che l’è on fià sietico sora l’opsion independentista; ma vedarì che in sto ano a forsa de post a rieso a tirarlo drento 🙂
Daniele coindi no’l xe “de parte” e par coesto, par lo so obietività e la so conpetensa, a ghe go fato calche domanda par sciarirme na scianta le idee.
Luca: Il veneto è una lingua?
Daniele: Dei rapporti tra “lingua” e “dialetto” (qualsiasi cosa si intenda) si occupa una branca della linguistica che si chiama sociolinguistica: uno dei concetti basilari di questa disciplina è quello di varietà (o per alcuni autori dialetto), ossia le caratteristiche assunte dalla lingua in determinati contesti sociali (luogo, genere, istruzione, status sociale, età ecc.). Quindi ogni lingua è costituita da diverse varietà (o dialetti), che si distinguono in:
- varietà diacroniche, che riguarda l’evoluzione storica delle lingue, e di cui si occupano gli storici della lingua;
- varietà diatopiche (topoletto), ossia le differenze della lingua nelle diverse aree geografiche occupate dai parlanti;
- varietà diafasiche, legate alla situazione comunicativa (stile e registro, formale, informale, colloquiale ecc.) o alla funzione (il linguaggio “scientifico”, “amministrativo”, “giuridico” ecc.);
- varietà diastratiche (socioletto), che identificano la classe sociale di appartenenza del parlante;
- varietà diamesiche, contraddistinte dal mezzo comunicativo usato per comunicare (scritto o parlato, principalmente).
La prima “varietà” è fortemente discussa, perché la sociolinguistica ha un’impostazione prettamente sincronica, ossia legata all’attualità e perciò è inappropriato considerare i diversi stadi evolutivi di una lingua come “varianti” di qualcosa (anche perché una lingua in ogni tappa evolutiva presenta a sua volta varianti diatopiche, diasafiche, diastratiche e diamesiche). Lasciando perdere questo caso particolare, ogni varietà può essere caratterizzata da differenze nella sintassi (disposizione degli elementi nella frase e nel periodo), nella morfologia (formazione di parole), nel vocabolario (lessico) o nella pronuncia (fonologia).
Tutto questo serve per definire che cos’è un “dialetto” in linguistica e sociolinguistica, che come puoi vedere è ben diverso dalla nozione istintiva di dialetto che ci è stata trasmessa. Un principio sostanziale del concetto di “varietà” è che la struttura di base della lingua si preserva in modo tale da mantenere la mutua intelligibilità tra gli appartenente della comunità linguistica, anche perché spesso un parlante possiede più varianti. Esempi: un americano e un britannico parlano due varietà (diatopiche) della stessa lingua, perché le differenze non sono sufficienti a rendersi incomprensibili; un docente universitario e una persona con un’istruzione inferiore parlano la stessa lingua, perché grosso modo si capiscono, ma impiegano distinte varianti diastratiche.
Dove si colloca il veneto in questo quadro? Ecco, il veneto è una lingua che supplisce a certe varietà che mancano nell’italiano per ragioni storiche.
Perché dico che è una lingua? Per questi motivi:
1) Un parlante di milanese, ma anche uno di italiano standard, e un veneto hanno un’intelligibilità reciproca inferiore di un parlante di italiano e uno di spagnolo;
2) Il veneto ha specificità grammaticali che non possono essere ricondotte a forme alternative dell’italiano standard, faccio qualche esempio:
- Il soggetto obbligatorio (persino doppio), mentre in italiano non lo è
- Il pronome clitico soggetto, quando in italiano sono clitici solo i pronomi riferiti all’oggetto e al complemento indiretto (Łori i magna el pomo)
- I participi in -esto
- Nella forma interrogativa, i pronomi posposti che si fondono al verbo (Gało fredo?)
- Costruzioni come: me fradeł no’l xe mia rivà, con il pronome clitico soggetto inserito tra la negazione e il verbo (in italiano un soggetto non si può inserire in questa posizione)
3) Come storico della lingua, anche se non sono un italianista, posso assicurarti che il veneto non si può considerare una “forma corrotta” dell’italiano fiorentino (appartenente al gruppo linguistico italoromanzo), ma è l’evoluzione locale del gruppo linguistico retocisalpino, ossia del latino parlato sotto l’influsso gallico-celtico (ma non dai celti, come nel caso dei “dialetti” occidentali come il lombardo, il ligure ecc.).
Ora passiamo alla seconda parte della mia affermazione «supplisce a certe varietà che mancano nell’italiano». Siccome l’italiano è una lingua quasi congelata dal ‘400 e fino allo scorso secolo era appannaggio delle classi colte, soprattutto nel nord dell’Italia non ha prodotto vere e proprie varietà diastratiche (NdL: cioè di classe sociale), e anche le varianti diatopiche (NdL: cioè delle varie zone geografiche) non sono altro che influssi “dialettali” nell’italiano parlato in una determinata zona. Perciò la lingua locale, il “dialetto” si è inserito in questo contesto grazie alla sua maggiore duttilità, pagando il prezzo di una progressiva perdita di prestigio. Di fatto, in Veneto abbiamo una situazione di diglossia, ossia la compresenza di due lingue differenziate dal punto di vista situazionale (perlopiù tra àmbito formale e familiare, scritto e parlato).
Contrariamente a quanto si pensa, la vera mazzata ai “dialetti” è avvenuta non all’indomani dell’unità, ma durante il fascismo, la cui politica linguistica contraria al bilinguismo o alla diglossia continua a influire sull’atteggiamento prescrittivo di quelli che sarebbero gli esperti linguistici (maestre, insegnanti, editor, curatori…).
Luca: Come mai molte persone (anche molti Veneti) negano così fortemente lo status di lingua al veneto?
Daniele: Come hai visto dalle reazioni ai tuoi post, per gli italiani la lingua è un elemento fortemente identitario. Questo per il semplice motivo che l’italiano è parlato solo in Italia, senza scomodare le comunità italofone in Svizzera, Slovenia e Croazia (anche se talvolta si parla di “italiano svizzero”, queste comunità non sono demograficamente rilevanti per dare luogo a una varietà di peso politico); inoltre c’è sempre l’impronta fascista (fortemente contraria all’uso delle lingue locali) sulla percezione linguistica che permane in modo silenzioso. Pochi comprendono che parlare una lingua non equivale a una firma su un contratto di adesione a una comunità. Il ragionamento esposto dai critici che ti fanno arrabbiare è questo: “Se loro hanno una lingua, sono diversi da me, dalla mia nazione, quindi sono un’altra nazione e possono essere un altro stato”; perciò l’attacco allo status di lingua equivale a un attacco allo status di nazione (ricordati tra l’altro che in Italia si confondono i concetti stessi di “stato” e “nazione”). Il ragionamento può anche essere ribaltato così “se parla il mio dialetto, è della mia nazione, altrimenti è diverso da me e questa non è casa sua”, ed ecco che abbiamo l’atteggiamento dei leghisti, ma non è nient’altro che l’altra faccia della stessa medaglia (vedi le proposte demenziali come l’esame di dialetto per gli insegnanti).
Siccome questa mentalità è prevalente e radicata anche nei veneti stessi, credo che sia difficile che il veneto possa emanciparsi dall’etichetta di “dialetto”, solo una rivoluzione politica potrebbe cambiare le cose, come una reale autonomia o l’indipendenza, perché la lingua diventerebbe in poco tempo il principale elemento fondativo della “nuova identità”, così come è successo per catalani e baschi in Spagna.
Luca: Una grafia standard semplice, e non la inadatta (per me) GVU, potrebbe stimolare la scrittura di questa lingua?
Daniele: Credo che l’idea della grafia “potabile” sia prematura, perché la gente è perlopiù pigra, quindi non avrebbe particolare stimolo a impadronirsi di un nuovo/ulteriore codice scritto, se non per importanti questioni politiche o economiche. Tornando all’esempio della Catalogna, l’attuale grafia del catalano è stata fissata nella sua forma attuale successivamente all’acquisizione dello status di “comunità autonoma”, perché la gente aveva interesse a ritrovare la propria specificità (proprio come è stato per l’inglese rispetto al francese nel ‘500).
Coindi la me concluxion, che se podarìa ciamar politica, l’è che na olta otegnua l’independensa, el status de el veneto el sarà nobilità parché, fà go senpre pensà, le difarense tra “dialeto” e “lengoa” le xe ponpà dal poder politico. Co el Veneto el deventerà on Stato, la sarà finìa, sta olta dal bon, la politica fascista de l’italian. Co la lengoa veneta la sarà libarà, a vedaremo on so rinasimento che indeso no podemo nianca imaginarse.
Liberi di parlare il veneto e liberi di parlare l’italiano. Nel libero mercato veneto delle lingue non ci saranno più i monopoli forzosi dell’italiano che ora costringono i Veneti. Il bilinguismo e, meglio ancora, il plurilinguismo sono un vantaggio e non il contrario. Nel futuro Stato Veneto, cittadinanza inclusiva vorrà dire non discriminare chi parla in veneto e non discriminare chi parla in italiano. Vorrà dire anche sentir parlare sempre più spesso il figlio di un foresto in veneto perché sin da piccolo sentirà l’ambiente veneto attorno a lui. Potete non essere d’accordo con tutto quello che ha scritto Daniele Russo, ma non potete non accettare il fatto che il veneto è una lingua e che è una componente che ci sprona a conquistare l’indipendenza.
La lengoa la xe una conponente e dal me ponto de vista (el ponto de vista de uno che’l scrive so sto sito coasi senpre in veneto) no l’è nianca la pì inportante. El Stato italian, meso a le strete, el podarà anca darghe al veneto la oficialità de lengoa co tuti i onori e bla bla bla. El podarà anca darne na tv publica in veneto, i cartei stradai in veneto, etc etc. Par farne star boni i podarà darne tuti i contentini lenguistici che volemo. Ma saresimo libari?
No. La libartà la gavaremo co saremo deventà independente.
Luca Schenato
Pnv Verona
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Beh, pa sdramatixar poden xontarghe anca sta batuta :
Sabo el jornalista del ANSA ca xè vegnest ala presentasion del candidà a on serto ponto , travolto da na ondada de termini diti in inglese ( running mate, ticket, found raising ,benchmark) ga sbotà :
” piano piano , per favore ritornate a parlare in dialetto, altrimenti così non capisco ..”.
A xè sta da sganasar .
Apprezzo molto le considerazioni svolte dal linguista.
La più importante, paradossalmente, mi sembra quella legata solo indirettamente alla lingua, e cioè l’incapacità italiana (di matrice fascista e, più in dietro nel tempo, giacobina) di non saper distinguere, o meglio, di non accettare la distinzione, fra i concetti di “nazione” e di “stato”.
Per intenderci: inglesi, americani, canadesi, australiani, neozelandesi, sono parte di una stessa grande nazione che è quella anglosassone. Da questa matrice comune potentissima essi hanno tratto e tuttora traggono il senso delle loro istituzioni giuridiche e politiche, improntate in ognuno di quei paesi ai principi di autogoverno, di responsabilità individuale, di primato della società sull governo ecc. ecc.
E proprio in virtù di tali principi essi si sono dati istituzioni statuali del tutto indipendenti le une dalle altre, non solo oggi che sono Stati sovrani in senso moderno, ma anche prima della conquista delle varie indipendenze, quando comunque il peso del potere centrale era di fatto molto limitato.
Nello Stato italiano invece l’incapacità di cogliere la distinzione di cui sopra è la fonte principale dell’incapacità di accettare le istanze autogoverniste che da decenni sono protagoniste sulla scena politica.
Gli italiani (inclusi moltissimi nostri concittadini lombardi e veneti), non accettano l’idea di poter avere stati diversi pur appartenendo alla stessa “nazione italiana”.
Questo a mio parere è uno dei temi fondamentali su cui battere: al di là dell’identità, va rivendicato il sacrosanto diritto a governarsi da sè, innanzitutto per ragioni economiche e di buona amministrazione.
La Lega ha sin qui fallito proprio perchè a fronte di mille rivendicazioni identitarie (molte anche raffazzonate) non è stata in grado di conquistare uno straccio di reale autogoverno, che poi nel Lombardo-Veneto dovrebbe concretizzarsi in primis in una diffusa e massiccia diminuzione del carico fiscale.
Ci sarebbero ancora molte cose da aggiungere, ma mi astengo per non monopolizzare lo spazio.
Luca mi sento di ringraziarti. E ringrazia anche il tuo amico. Cortesemente postate questa discussione a stampa e tv così finalmente tutti quelli che scrivono stronzate sull’uso del dialetto o si lavano la bocca della “lingua veneta” per soli scopi di tornaconto politico come il signor Zaia avranno qualcosa da imparare.
Grazie ancora Luca !
Credo che -almeno qui- siamo tutti d’accordo nell’affermare che il veneto sia una lingua e ci piange il cuore a pensare di come quasi un secolo e mezzo di dominazione sabauda abbia imposto l’uso della lingua italiana nonchè diffuso, attraverso il controllo della “kultura”, lo stereotipo della lingua locale come l’espressione del popolo ignorante (tipico esempio è il ciociaro…). Siamo stati vittime di un’ingiustizia, non si può negare, e questa ingiustizia ci ha penalizzati. Ma io sono dell’idea che “il passato è passato” e molto pragmaticamente considero la lingua un mezzo, non un fine. La lingua è principalmente uno strumento che serve a veicolare le nostre idee, certo non si può negare che abbia anche un effetto legante: il parlare la stessa lingua unisce in maniera speciale due persone indipendentemente da cosa comunicano con quella lingua. Capisco che spesso si possa scegliere di scrivere anche in Veneto perchè si vuole con questa scelta veicolare il messaggio del Veneto Nazione, ma ritengo che pensare che la gente si sforzi a parlare o a scrivere veneto perchè condivide questo messaggio è secondo me un’illusione.
Essendo la lingua essenzialmente uno strumento, la gente preferisce usare lo strumento che risulta più efficace nel veicolare il messaggio che vuole trasmettere. Anch’io mi comporto così, in molti contesti io parlo veneto perchè ha una ricchezza e un’immediatezza maggiore in quei contesti (tipicamente di amicizia e familiari). Quando l’argomento è tecnico invece mi esprimo sempre in italiano, principalmente perchè la fonte delle mie argomentazioni è in italiano. Nello scrivere adotto sempre l’italiano. Scrivere e leggere il veneto è per me, e credo per la maggior parte delle persone, uno sforzo che potrebbe essere evitato. Avendo tutti imparato a leggere e a scrivere in italiano, dobbiamo ammettere che siamo più veloci a scrivere in italiano che in veneto, non c’è dubbio. Ma allora, se quando si scrive non si ha come scopo quello di far vedere che si sa scrivere o di rendere partecipe il mondo del fatto che viene usato quella lingua, ma l’unico scopo che abbiamo è quello di comunicare più efficacemente possibile il nostro messaggio, allora dovremmo scegliere la lingua in cui scriviamo solo in base all’efficacia di questa lingua nel trasmettere il messaggio, cercando di non essere influenzati dalle ideologie.
Anch’io considero la lingua uno strumento e non un fine. Infatti non sono un protezionista della lingua 🙂
Noi qui scriviamo in veneto non per ideologia ma, almeno per quello che mi riguarda, per stimolare nel lettore veneto uno “shock culturale”, per provare a fargli capire che non è un contadino boaro. Per alzare il livello insomma.
Quando Daniele dice che il veneto e l’italiano si sono divisi i compiti in familare e formale secondo me dice una cosa non completamente esatta perché io, per esempio, con un buon 70% dei miei clienti uso il veneto; sia con i tecnici, che con l’ufficio acquisti, che con i titolari.
Scrivere in veneto è più difficile, sì, all’inizio. Si tratta solo di pratica, te lo posso assicurare. Pratica come con tutto il resto delle lingue. Un anno fa per scrivere una frase in veneto ci mettevo un’eternità; oggi, con la pratica, mi viene naturale.
Hai ragione quando dici che però bisogna comunicare efficacemente nella situazione nella quale siamo immersi ora e infatti io negli articoli del pnv non eccederei troppo nell’uso del veneto; ci vuole un giusto equilibrio.
Avrei tante cose da scrivere perché l’argomento è interessante come sempre, però devo partire per una fiera in un Paese vicino al quale dovremmo guardare ogni giorno per prendere ispirazione 🙂
Si efetivamente inte’l tenpo a lengoa de noilatri la gà perdesto de autorevoesa, soratuto come lengoa de scritura.
Invese no so dacordo ca la se dòperioa sol ca in famejia o coi amisi a livel coloquial e ca no la sipia tecnega o de laoro ai alti livei.
Ansi, el contrario, co te vè dal mediator a tratar canpagne chi parla italian xè marcà cofà on mona da infenociàr.
E co te ve in banca a tratar el taso te si drio montar on impianto industrial o a far manutension de on makinario se parla rigorosamente veneto, tra veneti. Anca kive , elo , el parlante italian xè suito clasefegà on fiol de popà bon da gnente.
E Bepi De Longhi i CDA li porta senpre vanti in lengoa venesiana.
Saria ora donca de cavarse via sti conplesi de inferiorità.
Bilengoismo gualivo me par na bona solusion, sensa tanta fufigne e discorsi. Sen veneti, punto.
Oltre al comento de glp, mi voria anca dire che in canpo de tratar canpagne, serti termini in talian no savaria gnanca doe ndarli sercare…vedi: caveagna, mostacio, ecc.
A mi quando che laoro, se un arkiteto o n’altro ingegnere me parla in talian, so sà prevegnuo nei so confronti, perche so portà a pensare ”ecoeo qua, xe rivà el renso piano del paeù de onara”
Salve a tutti,
per completare quanto detto nell’intervista mi sembra doveroso fare una precisazione: il concetto di diglossia non implicauna mera divisione tra “lingua colloquiale” e “lingua formale”, ma l’alternanza di due lingue a seconda della situazione comunicativa, e nulla toglie che questa situazione possa essere specialistica, come suggerito dai commenti precedenti. Faccio un esempio, io non ho una competenza completa del veneto, eppure la maggior parte dei nomi ittici che conosco è in veneziano, per alcuni termini non esiste nemmeno un corrispondente italiano; quindi posso dire che nel campo lessicale ittico (specifico) posso esprimermi solo in veneziano. La differenza (teorica) tra bilinguismo e diglossia sta proprio nel fatto che con il primo si ha una competenza completa e indistinta in ogni àmbito, mentre con la seconda le lingue hanno domini di preferenza. Spero di essermi spiegato meglio. 😀
tutte le persone che conoscono il dialetto veneto conoscono l’italiano (salvo qualche anziano che tra poco morirà), pochi italiani conoscono il dialetto veneto (e la maggior parte male), quindi il dialetto a che serve in un mondo globale? sarà più importante l’inglese o il dialetto veneto ormai in piena rovina visto che ormai. A cosa serve aggiunge una lingua in più per dire più o meno le stesse cose.
la xente fa ti “oo” no la podarà mai capìr el significà ke ga l’uxo dea lengua local, basta vedare queo ke te ghe scrito… el mondo globalixà el farà on devasto de lengue e de culture, xè poco ma seguro, donca defenderle xè el minimo ke se ga da far.
Speravo ca rivase on ca come “oo” (ma gnanca on nome da cristiani?) …continuo in itajan se no magari no el me capise.
“oo”, con il suo intervento offre l’opportunità di dare una ragione all’uso della lingua veneta per i Veneti.
Iniziamo con il seguire il ragionamento del nostro visitatore, in termini globali.
L’italiano è una lingua parlata da 60 milioni di persone nel mondo, contro 6 miliardi. I parlanti della lingua italiana quindi rappresentano lo 1% della popolazione mondiale. Per contro lo spagnolo è parlato dal 5,5% della popolazione mondiale e l’inglese và tra 8,3% e il 30% se si considera anche l’uso corrente come seconda lingua (come accade ad esempio in Ghana).
Di fronte a questi numeri direi che ha ragione nel dire che occorre conoscere e magari usare come seconda lingua l’inglese, mentre per stare al suo ragionamento globalista, decisamente l’italiano è una lingua inutile e per di più molto complicata.
Tuttavia le popolazioni non sono globali, le popolazioni sono gruppi di persone con storia, destino, cultura …e lingua comuni.
La lingua è anzi proprio il “marchio di fabbrica” che distingue i parlanti che adottano quella cultura a cui quella lingua fa riferimento e vi deriva.
Allora perdere la propria lingua (dialetto, lo spiega Daniele Russo, è una variazione, quindi avremo i dialetti vicentino, padovano, mentre il dialetto dell’italiano ne è una versione alterata che nulla ha a che vedere con il veneto) diventa una pericolosa perdita della identità culturale, senza della quale non esiste più popolo.
Non sto con questo discorso dicendo che si debba chiudersi al mondo, anzi. L’economia che funziona meglio è quella che sviluppa maggiori traffici con il mondo, ed anche la cultura di una popolazione si arricchisce se può avere un interscambio con altre culture. Ma qui occorre fare attenzione alla terminologia. Per interscambio non si intende la forzata assimilazione di popoli con diverse culture ma la volontaria attitudine ad apprendere selettivamente ciò che si ritiene opportuno in un “libero mercato della cultura globale”.
Di fronte a questo scenario allora, di interscambi globali, è ancora più importante salvaguardare la propria cultura ed identità, e come avevo anticipato, la lingua è il mezzo principale con cui si tramanda e si comunica la propria identità culturale.
Una lingua se non si usa muore con chi la parlava. Per cui è importante poterla mantenere. Allora è bene che si ritorni ad usare il veneto, e che si impari ad esprimerlo in una forma codificata scritta.
Però prima che l’uso a scuola credo sarebbe meglio dargli spazio nell’uso veicolare: con la cartellonistica, la radio, la tv, i giornali, i libri, la pubblicità; altrimenti se si relega a scuola non si avranno risultati efficaci, e rischia di fare la fine del latino.
“Очень полезная вещь”
[…] a Medrano parché no se vergogna mia de doparàr el veneto (che lu però el ciama dialeto, e mi no so mia d’acordo) e el rende pop la nostra lengua. Vardè che no l’è mia na robeta da poco. A ne servirìa […]