Intervista a Michela Marzano, intellettuale e filosofa.
Di Claudia Zanatta, giornalista e redattrice de “IlPiave”
Testata veneta indipendente ed internazionale di politica cultura attualità
Mandatario resp. : Gianluca Panto
La realizzazione personale attraverso il lavoro è l’imperativo della nostra società. Nell’era dell’ “impresa dal volto umano” e delle “carte etiche aziandali”, possono le moderne teorie del management condizionare in modo devastante la dimensione più intima della nostra esistenza? Ne è convinta Michela Marzano, autrice di “Estensione del dominio della manipolazione dall’azienda alla vita privata” (Mondadori), filosofa e ricercatrice presso il CNRS di Parigi, dove l’abbiamo incontrata per un approfondimento della sua feroce analisi dei meccanismi del mondo economico.
D. Da dove parte la sua ricerca?
R. Sono interessata alle caratteristiche del linguaggio. Ed ho osservato che negli ultimi decenni quello manageriale tende sempre più ad avere le caratteristiche dell’ambiguità e della contraddizione. Un tranello concettuale che consente ai manager di pretendere dai loro impiegati al tempo stesso autonomia e conformismo alla cultura aziendale, creatività e adesione ad obiettivi prefissati, specifiche competenze e continua flessibilità. In una parola: di sentirsi realizzati a livello personale aderendo ad ambiziosi obiettivi aziendali.
D. Quali conseguenze hanno secondo lei questi meccanismi dell’impresa nella vita di ciascuno?
R. Risultati deleteri sull’equilibrio psichico. L’individuo contemporaneo è sempre più convinto di acquisire dignità e valore solo attraverso il lavoro. Il concetto di uomo cui sottende la logica manageriale di oggi è quello di un uomo senza qualità. Un camaleonte continuamente obbligato alla flessibilità. Un essere ridotto a “competenza”, a “dover essere”.
D. Non ritiene di essere troppo feroce e radicale in questa visione delle moderne teorie di management?
R. Esistono certamente anche piccole realtà imprenditoriali in cui i meccanismi sono diversi, isole felici che vanno individuate, salvaguardate, imitate. Io ho voluto piuttosto analizzare un certo modello di management che andrebbe sconfitto.
D. Non è forse attraverso il lavoro che l’uomo ottiene un riconoscimento sociale? Il lavoro non è un modo per realizzarsi e per ricevere gratificazione da se stessi?
R. Certamente. Ma la nuova visione della società è più orientata ad attribuire al lavoro la capacità di dare valore alla vita, più di ogni altra cosa. Un peso preponderante come esso fosse l’unico valore. Cosi che, di fronte agli inevitabili limiti e difficoltà in ambito tanto professionale quanto personale, sempre più assistiamo ad uomini e donne incapaci di gestire queste esperienze negative.
D. Assenza di solidarietà in ambito professionale. Difficili equilibri psichici. Fino ad un aumento impressionante di suicidi a fronte di fallimenti. Intende forse questo?
R. Senza dubbio siamo di fronte ad una manipolazione che sottilmente passa dalla realtà professionale alla vita privata. Per cui l’uomo arriva a considerare se stesso come l’imprenditore della propria vita, sempre in bilico tra un successo ritenuto obbligatorio e un eventuale fallimento. Questo spiega il proliferare di teorie sulla gestione della dimensione intima della nostra esistenza in termini di successo e di efficienza, con uno sguardo totalmente imprenditoriale sulla nostra vita privata. Tutto deve essere gestito, controllato. Con la conseguenza che ognuno deve assumersi la responsabilità del proprio sviluppo. Pena, restare escluso dal flusso continuo del mondo contemporaneo o crearsi laceranti sensi di colpa a fronte di insuccessi o fallimenti.
D. Per lei allora “volere” non è più “potere”?
R. Il linguaggio dei nuovi “coaching” è ambiguo; rischia di confondere il benessere personale con l’idea di un successo uniforme e universale. Si puo’ avere successo in modi diversi. Dobbiamo inoltre ammettere che nella vita esistono limiti indipendenti dalla nostra volontà: esperienze e sofferenze passate, condizionamenti psicologici, economici, sociali, ambientali. Non tutto è controllabile e gestibile. Tantomeno in termini di successo e felicità.
D. Quali istituzioni dovrebbero allora restituire senso alla società? In quali altri ambiti l’uomo dovrebbe orientarsi per realizzarsi?
R. Ritengo dovrebbero ricrearsi i presupposti per dare valore ai legami: la famiglia, l’amicizia, la coppia, il senso di ciò che siamo attraverso uno sguardo più profondo e partecipe alle nostre radici, a ciò che eravamo. Ed anche un legame più partecipativo alla politica, al Bene comune.
D. Cosa dovrebbe cambiare allora nella società di oggi, e nel mondo aziendale in particolare?
R. Dovremmo ricostruire un tessuto sociale e politico di impegno, di responsabilità personale, di sacrificio per il raggiungimento di qualcosa di migliore, perché la Società possa migliorare. Dovremmo recuperare la capacità di assumerci le conseguenze (tanto positive quanto negative) delle nostre scelte autonome e libere. Il coraggio della differenza contro l’omologazione. Ma l’uomo contemporaneo ha paura. Preferisce uniformarsi, adeguarsi al gruppo piuttosto che scegliere un cammino di crescita personale autonoma. E le conseguenze di questa mancanza di coraggio le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Nell’Azienda, come nella Scuola, nella Sanità, nel mondo disimpegnato dei Giovani, nella Politica, nel Sociale. Con situazioni non rosee in Italia come, molto allarmanti, anche qui in Francia.
8-4-2010
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Forse occorrerebbe essere un po’ realisti.
Non voglio giudicare, ma personalmente se faccio un filo di filosofia, e lo si fa sempre quando ci si pongono domande, lo faccio guardando il bagaglio di venticinque anni di lavoro.
Occorre essere realisti, dicevo, ed essere critici con questa frase: “Per cui l’uomo arriva a considerare se stesso come l’imprenditore della propria vita, sempre in bilico tra un successo ritenuto obbligatorio e un eventuale fallimento.” significa essere fuori dalla realtà, poiché questo è l’essere naturale di ogni essere vivente su questo pianeta.
Si è imprenditori di sé stessi quando si cerca di arrangiare il cibo cacciando pesci con una fiocina, per non morire di fame. Si è imprenditori di sé stessi quando si pianifica la semina prevedendo il raccolto mesi dopo. Si è imprenditori di sé stessi sempre comunque ovunque nel percorso della nostra vita!
Questa è la realtà. Stop.
E’ un vero peccato dunque che l’avere colto le seppur vere contraddizioni dei manager (particolarmente quelli delle grandi aziende) ci si sia persi in questioni prive di alcuna sostanza perché aliene dalla realtà.
La semplice verità è che questi signori sono stati addestrati a fare ginnastica con le parole per imporre condizioni di lavoro talvolta (mica sempre, intendiamoci) al limite della truffa, se non proprio del tutto.
Poi è anche vero che esiste l’altro aspetto, quello della cura delle relazioni con altri. Ma questo non è necessariamente una questione legata al lavoro, e non credo che vi sia un indottrinamento oltre la misura di quello che è effettivamente per motivi ovvi naturali e reali come ho detto prima.
Semmai questa trascuratezza avviene proprio fuori dal tempo di lavoro. Invece di curarsi dei propri figli, di stare insieme a loro, e parlarci, o di dedicarsi alle relazioni con amici o nell’impegno sociale, si guarda la tv. E per cosa? Per programmi idioti.
No. Io credo che invero vi sia una mancanza di cura dello spirito, di fare filosofia anche. Ma non cercherei di incolpare qualcuno, salvo chi non è causa del suo stesso male.
Mi sembra che tu abbia estrapolato una frase singola da un articolo , decontestualizzandola , impugnadola, mentre il tema stesso in fondo è molto più vicino a quello che poi affermi , mi sembra.
Cioè ti rivolti ma poi attraverso un diverso percorso ti avvicini ad una visione analoga.
Salvo il fatto che non si deve incolpare , una sorta di antidirigismo anche qui ,non manchi l’occasione per mettercelo dentro. Ok!
In parte hai ragione GLP, in parte solo però: è vero, ho preso una frase e l’ho impugnata, ma non è del tutto decontestualizzata. L’articolo si intitola “può l’azienda manipolare la vita?” e si incentra sul lavoro e sulla condotta di taluni manager.
Allora non è affatto decontestualizzata la frase ed ancora meno la mia osservazione.
Cosa ci vuol dire Claudia Zanatta? Che è il lavoro il problema? Riduciamo ai minimi termini la questione, e scopriamo che è proprio quello il messaggio. Quello cioè che accusa il lavoro di essere una sorta di leviatano che succhia le nostre esistenze.
Ebbene io ho osservato che dire questo equivale di lamentarsi della gravitazione terrestre che ci fa sentire il peso e ci fa faticare.
Insomma, il lavoro non centra niente. E neppure il comportamento discutibile di molti manager. Perché sarà pur vero quello che ha detto Claudia, ma è completamente decontestualizzato dal problema che cerca di individuare.
La mia impressione invece è che le persone si rifugiano nel lavoro perché sul resto hanno scelto di alienarsi.
Il focus quindi andrebbe spostato da un’altra parte e non confondere il sintomo con la malattia.
Io sono un antidirigista, questo è vero e sono il primo a dirlo, ma qui proprio non mi pareva di averne fatto cenno.
L’ARTICOLO MI TROVA PIENAMENTE D’ACCORDO. E’ NELLA SOSTANZA SEMPRE IL SOLITO SCHEMA LOGICO DELLA CAROTA CHE VIENE SVENTOLATA DAVANTI AL “MUSSO”: LA PROSPETTIVA DI CARRIERE, L’AFFERMAZIONE ALL’INTERNO DELL’ORGANIZZAZIONE IN BASE AI RISULTATI PRODOTTI PER L’AZIENDA, IL BUDGET CHE SI TRASFORMA NELL’UNICO CREDO AZIENDALE E SOCIALE. IN OGNI AZIENDA SI E’ PORTATO ALL’ESASPERAZIONE QUESTO CONCETTO E LO SI RITROVA NELLA SOCIETA’: TU NON VALI PER CIO’ CHE PORTI COME “PLUS” NELL’ORGANIZZAZIONE, MA VALI IN FUNZIONE DEL DELTA IN AUMENTO CHE PORTI ALLA TUA ORGANIZZAZIONE…E SE POI ANDIAMO A VEDERE ANCHE RAGGIUNGENDO GLI OBBIETTIVI, QUANTO TI VIENE RICONOSCIUTO ? SEMPRE IL SOLITO PIATTO DI CECI…LA MIA AZIENDA HA GUADAGNATO 324 MILA EURO NETTE NEL 2009 IN PIU’ RISPETTO AL 2008 CON IL MIO LAVORO E CON QUEL GUADAGNO HA PAGATO IL MIO STIPENDIO E LO STIPENDIO DI ALTRE 5 PERSONE, SOLO CON IL MIO LAVORO. COSA PENSATE CHE MI SIA STATO RICONOSCIUTO: NIENTE, HAI FATTO SOLO IL TUO DOVERE, TI SENTI RISPONDERE ! “homo homini lupus” MI VIENE DA DIRE…