Dinanzi alla sempre maggiore immunità, ovvero impunità dei nostri deputati, ministri, consiglieri regionali ed insomma di tutte le più alte caricature (ops…cariche!) dello Stato, dinanzi al dilagare della corruzione che ormai ha assuefatto troppi, impedendo quel che sarebbe una necessaria disobbedienza civile, vien da domandarsi, ma è sempre stato così? Ebbene, sì. Dall’inizio, addirittura da prima dell’unificazione sabauda, dal 1848, è sempre stato difficile, ad esempio, se non impossibile, giudicare un ministro dello Stato. Per tutto la seconda metà dell’Ottocento le vaghe indicazioni sulla imputabilità, perseguibilità, ed effettiva sanzione nei confronti di un Ministro del Regno, contenute nello Statuto Albertino, sono disattese, non applicate, ritenute confuse e perciò stesso ignorate. Eppure l’ITA dei “notabili”, nota bene, notabili e notevoli per corruzioni e concussioni, degni antecedenti dei correnti senatori e deputati (ma almeno allora avevano l’accortezza di ammazzarsi tra loro talvolta in duello), è colma di scandali. Ministri del calibro di Crispi, Giolitti e Nasi vennero coinvolti in scandali finanziari notevolissimi, al tramonto del secolo. Generalmente legati a banche: la Banca Romana nel 1889-1893 (Giolitti); quella di Napoli, con Crispi pesantemente coinvolto (1896-1897). Solamente Nasi pagò di persona, ma certamente non con pene maggiori: 11 mesi di arresti domiciliari, 4 anni di interdizione dai pubblici uffici. L’ITA subito creò un regime di eccezione per i ministri, li sottrasse alla giustizia comune, e dunque al giudizio ideale del popolo, creando per loro un tribunale speciale, ovvero il Senato stesso, che vedeva trasformate in giudiziarie le sue funzioni eminentemente legislative, diveniva una Alta Corte di Giustizia. Ora, che la tradizionale tripartizione dei poteri costituisca al contempo una salvaguardia per il cittadino ma allo stesso tempo renda granitica e tetragona (considerando dunque anche il potere amministrativo, il vero quarto potere) l’onnipotenza dello Stato, è un fatto, storicamente accertato (prima di esserlo dalla dottrina). Ma nel caso di ITA nella sua oscena infanzia, ebbene, era chiaro il progetto di autotutela, tramite la non perseguibilità, delle più alte cariche, già da allora. Non stupisce che salvo eccezioni in fieri, non sia molto la ricerca sui “processi politici”, ovvero i processi dei politici, nei primi cinquant’anni di ITA. Ma un testo ancor vivo per certi aspetti, anche se per altri datato, è quello di Maurizio Sesta, Il processo politico. Modelli storici e sua evoluzione normativa, del 1982. L’immunità delle alte cariche dello Stato è garanzia di assoluta, immorale impunità.
Paolo L. Bernardini
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