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La libertà si chiama Ticino.

Cronaca di una giornata nella Svizzera italiana

In memoria di Andy Hug

Un buon camminatore raggiunge dal centro di Como in meno di un’ora la frontiera di Chiasso. Ma basta accomodarsi sui lindi treni TILO (Ticino-Lombardia), per transitare in pochi minuti in un altro Paese.

Spesso sentiamo italiani parlar male degli svizzeri e della Svizzera. Credo che una buona spiegazione la possa dare un autore che certamente non amo. Freud.
Contrariamente ad Adorno, non credo che le uniche cose vere della psicanalisi siano le sue esagerazioni.
Ecco qui un concetto utile, anche per la nostra lotta per l’indipendenza della Venetia. Freud parla di “narcisismo” in relazione alle “differenze minori”. Ovvero, ci irrita enormemente, irrita il nostro io, non tanto la differenza radicale, l’alterità assoluta, quanto le differenze cosiddette minori, parlare (quasi) la stessa lingua, vestirsi (quasi) allo stesso modo, arredare (quasi) identicamente le nostre case, avere (quasi) le stesse targhe automobilistiche.
Un bel verso da una canzone di Peter Gabriel: “he looks like we do, he talks like we do, but he’s not one of us…”.

Uno dei palloni gonfiati del “politically correct” internazionale, Michael Ignatieff, campione “liberal” pronto a servire ogni padrone, purché statalista, tanti anni fa interpretava la guerra civile yugoslava sulla base del narcisismo delle differenze minori: serbo e croato ad esempio sono la stessa lingua, ma essa viene scritta in alfabeti diversi, latino e cirillico (e vi sono poi altre differenze). Utile la voce su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_serbo-croata

Ora, in realtà credo che la Yugoslavia avesse ben altri problemi. Era una debole invenzione politica, affatto strumentale, un coacervo di popoli differenti tenuti insieme, finché è durata, dalla mano di ferro di un dittatore spietato. Che contava non pochi ammiratori anche in ITA; tra cui molti politici che si sono resi protagonisti della vera e propria compravendita di italiani sancita dal Trattato di Osimo. Un tanto al kilo.
Insomma, YUGO come ITA.
Noi siamo nella Yugoitalia.
Pan-itagliani!

Quindi Ignatieff quando espose le sue teorie, ed io ero presente, presso l’Università di Southampton nel 1996, se ne tornò a Londra assai sbertucciato dai colleghi inglesi, che gli avevano detto che forse le cause della guerra in Yugoslavia erano differenti dal narcisismo delle differenze minori.
E tuttavia su queste piccole irritazioni occorre riflettere, anche per il futuro della Venetia, dove alla lingua veneta si dovrà affiancare, ne sono convinto, anche l’italiano (ricordiamoci di Pietro Bembo!) e l’inglese.
Sono irritazioni che nascono dalla violenza lungamente esercitata su di noi da tutti gli apparati di Stato, che ci fanno credere che solo la lingua che ci viene insegnata a scuola, la lingua dei “classici”, sia l’italiano. Per cui l’italiano parlato in Ticino irrita molti ancor più delle lingue locali, che in genere i saccenti italioti, e molti cittadini, tollerano come monumento vivente del passato che non vedono l’ora di seppellire, chiamandole sprezzantemente “dialetti”, con il beneplacito delle loro sublimi grammatiche avallate dall’Accademia della Crusca (dove va a finire appunto tutta la farina linguistica del diavoletto ITA).

Forse fa sorridere la lapide che a Bellinzona è stata posta sotto la stele che ricorda i moti costituzionali del 1803, forse l’italiano non è perfetto (come se lo fosse nella maggior parte delle sgrammaticate, torve lapidi ingrigite dal tempo collocate qua e là da amministratori locali di ITA per far tornare i conti ai loro parenti marmisti e scalpellini), ma forse dovremmo anche pensare che quel che dice, la volontà di essere un popolo unito (quando gli svizzeri sono divisi per lingua e non solo) e di rimanere tale nei perigli del tempo, questo scopo loro lo hanno realizzato.

Noi nella Venetia e nella Liguria e nella Lombardia ancora no, anche se le forze, soprattutto giovani, che ferventi nutrono questo purissimo desiderio crescono ogni giorno.

Sono a Bellinzona a presentare un libro bellissimo, la storia di un ebreo italiano nell’India inglese e poi libera tra 1941 e 1948, prima prigioniero di guerra, poi utilizzato come geologo e ingegnere, in posizioni di sempre maggior prestigio, a Jaipur. Si intitola “La libertà si chiama Jaipur”, e l’ha scritto una gentile signora non più giovanissima, insigne ebraista, Gabriella Steindler Moscati. La biografia di Gabor Dessau. Classe 1907.
Quando c’è da parlare di libertà, vado in capo al mondo. Bellinzona poi è solo ad un’ora di treno da Como.
Ma siamo in un altro mondo.

Lasciando perdere il narcisismo delle differenze minori – che proveranno senz’altro gli abitanti della libera repubblica lombarda attraversando il confine con la libera repubblica veneta, ma apprezzando senz’altro le speciali tariffe telefoniche telesforza o lionphone – proviamo un poco a vedere le differenze maggiori.
Nell’Index of Economic Freedom 2010, la Svizzera è al sesto posto. La precede la Nuova Zelanda, e la segue il Canada.
ITA invece sta giù, come si merita, con i brutti e i cattivi. Per la precisione è 75esima. Ma sono da notare predecessore e successore. La precede la Grecia (…); e la segue la Bulgaria, ex paese comunista. Che se non fosse per la tutela bassissima dei diritti di proprietà (viene dal comunismo) e per la percezione di corruzione diffusa, starebbe molto meglio di ITA.

Anche perché in Bulgaria c’è una flat-tax del 10% sia per le imprese, sia per gli individui.

Ma ignoriamo pure questo IEF così contestato da tanti (i nemici del pensiero liberale e gli economisti al servizio dello Stato); andiamo a vedere ad esempio l’IMF (neutralissimo) cosa dice sul GDP per capita (PPP).
Nel 2009 la Svizzera era al settimo posto con 43.007 USD. ITA? Eh, giù giù, al 27esimo, con 29.109 USD. Considerando la diversa pressione fiscale e il resto, gli Svizzeri, detto così brutalmente, sono circa un terzo più ricchi di noi.
Ma stanno lì a due passi, ci arrivo a piedi da casa!

Caro Freud, il “narcisismo delle differenze minori” ora diventa “incazzatura delle differenze massime”. Cos’hanno loro di più di noi? O piuttosto, cosa non hanno?
Non hanno ITA, il melanoma politico che ha ricoperto di nero le verdi terre d’Italia da un secolo e mezzo.
Dunque, da amante del viaggio in treno, concludo con due episodi ferroviari.

Vicino a Lugano salgono un gruppo di studentesse del liceo, carine e allegre. Siccome mi vedono leggere un libro di economia, mi chiedono: “Lei è un prof.?”, “Sì”, “Allora ci aiuta?”, “Su cosa?”.. E si mettono a ridere: “Non capiamo niente di seni e coseni!”. Rispondo trattenendo un sorriso tra l’ironico e il divertito: “Ahimè, su questo so poco” (e penso tra me e me, “Insegnatemi voi!”). Ma noto una cosa: i loro libri di matematica e chimica sono in francese. Nelle scuole svizzere si insegna in francese, tedesco, italiano, inglese. Questi i vantaggi di un piccolo stato dove si parlano tante lingue, e si sa che anche quella che “nazionale” non è, l’inglese, è importantissima.

Dulcis in fundo, scendo dal treno a Bellinzona. Per raggiungere la città, pulita, ordinata, immersa nel sole di fine maggio, tranquilla, si sale ad un ponte sopraelevato, che passa sopra i binari.
Con pochissime eccezioni, in ITA ci sono solo i sottopassaggi.
Come dire: “Siete arrivati fin qua, abituatevi a diventar tutti topi!”.
Con le lacrime agli occhi e una certa dignità, cerchiamo ancora tutti, invece, di attraversarli in piedi, a busto eretto e non a quattro zampe.

Prima o poi, ci chiederanno anche questo. E ci faranno spuntare la coda.

Paolo L. Bernardini

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