Ero in macchina ieri quando ho sentito la notizia dell’eliminazione di ITA dai mondiali. Ovviamente sono stato molto felice, già il pane non lo abbiamo più, ma nel momento in cui ci vengono sottratti anche i “circenses” (il prezzo dei quali è molto molto pane, altrimenti nostro), ci si domanderà a qual scopo ostinarsi a mantenere in vita un morto che non ci fa neppure più divertire (son pochi i morti che divertono, peraltro), uno zombie che per non tradire la propria natura fa solo paura, ribrezzo e angoscia. Ma chissà che questa sconfitta, che tutti noi abbiamo salutato come una grande vittoria, non sia, se non altro, uno stimolo per farci un viaggetto, in Slovacchia. Io ci sono stato l’ultima volta nel maggio 2004, era il primo maggio, giorno dell’ingresso della Slovacchia nella UE – non si sa se sia stato un bene o un male, ma allora era percepito come un grande bene – ed in treno, con Laura, Diego, e tanti miei studenti americani, abbiamo varcato il confine dall’Austria, un breve viaggio da Vienna. Conservo ancora il mio vecchio passaporto con quello “storico” timbro, apposto da una bionda agente di dogana, altissima e ilare, anche se temo che alla lunga l’ingresso nella UE non sarà così positivo. In ogni caso, Bratislava era in festa. Birra ovunque, palloncini colorati, stelle su fondo blu, allegria. Un singolare contrasto con Vienna, dove la cosa passava, o sembrava passare, affatto inosservata. Se non altro in festa erano gli agenti immobiliari, i prezzi degli immobili avevano di colpo superato quelli di Vienna. Ora, sei anni dopo, se si guarda all’Index of Economic Freedom, la Slovacchia si trova al 35° posto, molto sopra ITA non solo calcisticamente. E’, come è stato scritto, una specie di Veneto per quel riguarda il numero di abitanti (un milione circa in più), anche se più estesa come territorio. E viene, storicamente, da una divisione naturale, la secessione della repubblica ceca da quella slovacca, che avvenne con una stretta di mano, essendo ormai insostenibile l’ircocervo “Cecoslovacchia” partorito dopo la prima guerra mondiale. E trasformato in obbrobrio comunista all’indomani della seconda. Ora, la Slovacchia è un altro stato ex-comunista, come l’Estonia, che è economicamente cresciuto a dismisura dopo la liberazione, il suo PIL pro-capite, di 22.000 USD, è sorprendente visto che essa è uscita dalla miseria nera, maggiore anche di quella sofferta dalla parte ceca dell’ircocervo. Certamente, se la Venetia fosse la metà di ITA, la separazione sarebbe più facile, anche a noi avremmo il “velvet divorce” che ebbe luogo tra le due repubbliche nel 1993. In ogni caso, gli slovacchi godono di un bella flat-tax al 19%. Al 35°, pur dignitoso posto nell’IEF, la tengono due parametri non brillanti, la libertà dalla corruzione (duro a morire il sistema!), e anche l’inefficienza del sistema giudiziario (sarà penoso come quello di ITA?). Insomma, il Laar slovacco, Mikulas Dzurinda, agì molto bene all’inizio degli anni Novanta, con politiche fortemente, ma oculatamente liberiste. Meno liberista in questi anni il premier Fico, non certo un gran figo per noi libertari, che sta usando pesantemente (per quel che vuol dire per un piccolo Stato) lo strumento dell’intervento pubblico. Ma si sa, di Dzurinda, di Fico, da noi non si parla, si conoscono solo i premier stranieri che contano nei rotocalchi, in preda a priapismi sardi, o deliri libici di onnipotenza: insomma, di politici stranieri seri da noi non si parla, riservano, i pennivendoli di ITA, grande attenzione solo allo “scum of the scum” del mondo. W la Slovacchia, dunque. Tornino gli “azzurri”, coloro che han reso l’azzurro, davvero, secondo le parole di Guccini, “color di lontananza”. Tornino a casa (loro). E cominciano a costruire intanto i muri portanti della nostra.
Paolo L. Bernardini
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