In quest’ultimo periodo va di gran moda parlare della crisi economica e allora non ho paura a dire come la penso, almeno da un punto di vista politico.
Come d’incanto, infatti, dopo che il governo di ITA ha dispensato gran dosi di ottimismo mentre il resto del mondo ballava sull’orlo del precipizio finanziario, oggi all’improvviso anche questo orribile e impresentabile stato ha iniziato a dire un pò di verità ai suoi sudditi drogati da troppa televisione da terzo mondo. Sembra che all’improvviso tutto sia nato dalla crisi greca, ma in realtà questa è stata solo la scusa che ITA ha colto al volo per uscire allo scoperto e mettere le mani avanti. Sarebbe infatti stato troppo ridicolo anche per lo stato-burlone che non ha mai finito una guerra dalla parte dove l’aveva iniziata festeggiare il proprio 150° compleanno nel bel mezzo di una bancarotta.
Già, perché di questo si tratta. Di rischio-paese, di default, di collasso dei conti pubblici. Oggi tutti noi sudditi invece sappiamo che anche ITA fa parte di quei paesi che rischiano. E tra di essi svolge un ruolo drammaticamente particolare, per la propria dimensione. Un fallimento di uno stato di 60 milioni di abitanti non può essere evitato infatti con nessun aiuto da parte di BCE, FMI, UE, USA, o anche da un insieme di queste grandi organizzazioni che d’un tratto decidessero di diventare prestatori di ultima istanza nei confronti di un’ITA insolvente. Insomma, il crollo di ITA sarebbe l’equivalente da un punto di vista geopolitico, del crollo della Lehman Brothers a livello finanziario. Ecco spiegato perché ogni giorno un’economista famoso, un commentatore autorevole, un leader internazionale si affretta a dire che ITA non rischia il collasso dei conti pubblici.
Allora diciamolo chiaramente, mantenere l’unità italiana comporta dei rischi globali che per noi veneti non vale la pena di correre. Anche se oggi purtroppo a tenere insieme questo improbabile stato ci stanno pensando politicamente proprio i veneti. Siamo noi paradossalmente che, mentre rifiutiamo di prendere coscienza della nostra enorme potenzialità come stato sovrano e indipendente, ci ostiniamo a voler dare la direzione di cammino a chi non ci pensa proprio a venire da questa parte. Pensiamoci, i ministri con maggiori responsabilità politiche sono proprio i ministri veneti, o di origine veneta. Da Tremonti, a Brunetta, a Sacconi e volendo lasciar perdere Zaia prima e Galan ora con il ministero dell’agricoltura che garantisce tradizionalmente il maggior serbatoio elettorale.
I tagli al settore pubblico, che in ITA ha assunto proporzioni quasi-sovietiche per dimensione e oltre-kafkiane per vessazione, sono di responsabilità politica veneta. Con Brunetta prima, che pur non facendo nulla di concreto, ha preparato “culturalmente” per un paio d’anni il settore pubblico ad essere per la prima volta un agnello sacrificale e con Tremonti poi, che sta cercando di usare le forbici da vendemmia per autoamputare lo stato di pezzi di mostro, forse inconsapevole degli effetti collaterali che ne seguiranno. Infatti Tremonti, da bravo commercialista di provincia, con la cultura non ha grande affinità, al punto che si vanta di leggere poco, ma se solo sapesse ascoltare qualcuno che gli sta vicino forse ci penserebbe due volte a tagliare i fondi alla cultura di regime tricolore. Senza quel collante posticcio, infatti, questo staterello insignificante non potrebbe resistere ai colpi di una recessione economica che forse deve ancora entrare nel vivo. Sacconi infine ha ora il compito più ingrato, quello di tagliare le pensioni (già lo stanno facendo, pur nel silenzio generale), aumentando l’età pensionabile da un lato, in primis agli statali e alle donne, diminuendo quindi i diritti previdenziali acquisiti.
Tornando alla cultura dell’italietta, possiamo ben dire che senza gli inni di Mameli (che come ben ha messo in evidenza Eva Klotz esprimono una volontà di occupazione), le parate di stato, i film insulsi, le prime pagine dei giornali che si beano di un’italianità inesistente e inconsistente non ci sarebbe proprio nulla che può tenere insieme un mostro di burocrazia e oppressione a tutti i livelli. ITA è infatti uno stato profondamente illiberale. Non c’è alcuna libertà che rispetti, perché le libertà cozzano con il suo dna centralista, dittatoriale, da un lato fascista e dall’altro comunista, corporativista e brancaleonesco. Non ci sono libertà economiche, oppressi come siamo da una tassazione incivile che grava in primo luogo sul costo del lavoro. Non ci sono libertà di informazione, costretti come siamo in un regime dittatoriale mediatico in mano a gruppi che controllano ITA dalla sua malaugurata nascita. Non ci sono libertà di sognare, obbligati come sono i nostri giovani a scappare all’estero, per non rassegnarsi al grigiore dell’asservimento e della pusillanimità. Non c’è la libertà di vivere sereni, terrorizzati come siamo da un regime giudiziario che premia i delinquenti e vessa gli innocenti. Non ci sono libertà di crescere, rinchiusi come siamo nel peggiore tra i peggiori regime gerontocratici che godono nello schiacciare le giuste ambizioni di emergere dei giovani. Non c’è alcuna libertà di assumersi la responsabilità, umiliati come siamo nel doverci rassegnare alla mediocrità che uccide innanzi tutto la dignità di ognuno di noi.
Una sola terapia d’urto composta di tre medicine, di cui due amare e dolorose, potrebbe oggi dare speranza politica di sopravvivenza a questo gigante malato e che noi speriamo crepi al più presto. Non vorremmo essere cattivi profeti, ma se le cose continuano ad andare come stanno andando, probabilmente il chirurgo che dovrà operare d’urgenza questo stato in coma non è veneto, ma è vicino al Veneto, per la precisione è di Mantova. E’ donna, è giovane e di nome fa Emma. Ed ecco la terapia d’urgenza che Emma potrebbe proporre a ITA.
Primo. Una forte dose di coraggio politico che permettesse un taglio drastico e immediato del peso fiscale alle imprese.
Secondo. La creazione di un’infrastruttura digitale moderna che ci permetta di superare il gap tecnologico tragico che ci pone a metà strada – in un terribile isolamento come mostra il grafico riportato – tra il mondo evoluto e il terzo mondo.
Terzo. Spezzare la colonna vertebrale di ITA, che, insieme alla “cultura”, è costituita dal sistema bucrocratico-dittatoriale centralista, di derivazione savoiarda.
Possiamo quindi dormire sonni tranquilli, perché tutte queste medicine, anche se assunte, porteranno l’ammalato guarito a capire che gli conviene dividersi in tanti stati indipendenti e più rispettosi delle libertà di tutti noi. E magari a ritrovare la propria età dell’oro, proprio come è avvenuto nel rinascimento per gli stati indipendenti della penisola.
Gianluca Busato
PNV Treviso
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La tua ricetta mi sembra ottima. Aggiungerei un paio di punti ma non lo dico altrimenti poi ci copiano tutto.
Unica osservazione.
Marcegaglia non mi sembra la persona adatta.
Essa è infatti la rappresentante di qual capitalismo famigliare da grande industria monopolista che ha solo l’interesse di mantenere sostanzialmente inalterato lo status quo.
Vedrei molto meglio un Tomat , sempre che mantenga quella grinta dimostrata quando era presidente a Treviso.
Far finta di cambiare per non cambiare niente. FFF = Finto federalismo fiscale, mancanza di investimenti, nessun taglio fiscale , no credito, no infrastrutture.
Anche a costo di mandarci in malora.
Lo dico da iscritto alla sua associazione, ma l’aria che respiriamo è questa , e lo pensano anche molti miei colleghi industriali delle PMI Venete.
L’interesse dei piccoli ( il 98% degli iscritti) a rivoluzionare lo stato oramai è assodato, anche a costo di correre dei rischi . Perchè quando hai l’azienda spacciata, o sul procinto di chiudere , tanto vale provarci. O la va o la spacca.
I grandi invece no, hanno altri interessi, e la Marci è tra questi.
Ergo , per quanto mi riguarda, non mi rappresenta più, affabile fin che vuoi, simpatica, aggressiva , competente , ma difende altri interessi , o serve solo ad esibire delle belle pettinature.
E non sono il solo a pensarlo.
Così come da qualche mese appare molto invecchiata e col volto tirato.
Ti spiego perchè :
Il suo gruppo in ITA è preso mica tanto bene in prospettiva.
Ora per tentare di salvarsi si appresta ad investire 120 milioni di euro in Cina per avviare una produzione di tubi in acciaio .
Chiamarla internazionalizzazione è patetico. Si tratta di delocalizzazione bella e buona , primo passo verso una smobilitazione progressiva ( e io dico totale) delle sue produzioni italiane,insostenibili con la concorrenza del resto del mondo globalizzato.
Ed ha una fretta indiavolata. Ed è molto molto preoccupata .
L’acqua sale per tutti, grandi e piccoli.
Te gà raxon, ma credo che ITA no posa afidarse a altri che ad ela, proprio parché a xe “sicura” e incatijada co forti intaresi a cuelo che giustamente te ciami capitalismo familiar de na grosa industria monopolista. Ormai ghe resta ben poche alternative e Tomat par lori no xe afidabile. Masa Veneto. Masa diverso da lori.
E la riceta no la xe sicuro cuela che ela metarìa in pratica, ma cuela che mi consilio 🙂