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Stresssss

Al primo di Agosto entra in vigore il nuovo Testo unico sulla sicurezza del lavoro, il numero 81 del 2008, e tra le particolarità che la nuova normativa impone alle imprese spicca l’obbligo da parte delle stesse di dover fare la valutazione dello stress dei lavoratori dipendenti.
La norma discende da una direttiva europea del 2004, che a sua volta pare sia stata mutuata da pratiche adottate in America.

Da una piccola ricerca che ho fatto, pare infatti che in USA queste metodologie fossero state implementate dalle grandi aziende, con lo scopo di dimostrare la loro qualità nel lavoro per imbonirsi i clienti. Le grandi aziende europee in effetti da tempo avevano seguito quelle tracce, inserendo nell’organico psicologi aziendali. Tutto parte infatti dal filone della psicologia aziendale, nato in USA, che ha sapientemente fatto il suo buon lavoro di marketing per vendere il suo prodotto alle grandi imprese, fameliche di indossare un buon vestito agli occhi di un’opinione pubblica spesso abbastanza critica nei confronti delle “multinazionali”.

I burocrati di Brussel, sempre proni a fare dei cittadini degli assistiti inetti e incapaci di badare a sé stessi idealizzando un nanny-superstate, se la sono bevuta ed hanno pedissequamente seguito questa strada, mentre i legislatori italiani hanno fatto il resto della pizza.

Infatti la legge entra in vigore senza alcuna linea guida, pertanto è obbligo degli imprenditori di adeguarsi su una cosa che …non si sa come gestire.
Gli unici ad avere qualche idea in proposito sono quelli di alcune grosse imprese che, come detto prima, già da tempo avevano implementato queste misure, molto costose, molto aleatorie e con fini completamente di immagine piuttosto che di concreta utilità (ma loro spergiureranno il contrario!)

Ma cosa sono questi stress che i lavoratori subiscono? Vorrei tanto tagliare corto con una battuta: in fondo il lavoro è uno stress! Punto.

Ma dalla provincia autonoma di Bolzano l’istituto AFI-IPL ha individuato due categorie di stress: quello da fatica e quello psicologico. Hanno documentato che il 25% dei lavoratori sudtirolesi patisce stress da fatica, il 37% da tensioni fisiche (restare in piedi per molto tempo), e il 22% in circostanze sfavorevoli (rumore, aria inquinata). Dal punto di vista psicologico invece il 60% lamenta la pressione di dover svolgere più compiti contemporaneamente, di cui il 45% con tempi pressanti. In testa dirigenti e impiegati.

Io ho avuto una breve esperienza in una fabbrica americana, dove l’assicurazione per mantenere un premio ragionevole aveva imposto che ogni mezz’ora alcuni impegnati in certi lavori che li vedeva seduti su una sedia per molto tempo, interrompessero il lavoro per fare 5 minuti di ginnastica lenta di stiramento che ricorda un po’ la ginnastica che fanno i cinesi alla mattina molto presto.
I cinesi però dopo quella ginnastica mattutina passano 14 ore seduti su una sedia o letteralmente dentro una pressa.

E’ evidente che un ambiente di lavoro sano e condizioni di lavoro buone sono auspicabili, e che in un mercato libero nel momento in cui le opportunità di lavoro aumentano saranno i lavoratori stessi a migrare verso le imprese che offrono migliori condizioni. E’ anche noto che un buon ambiente di lavoro favorisce la produttività (che in China è abbastanza bassa per esempio), pertanto imprenditori accorti saranno i primi ad interessarsi di avere lavoratori efficienti e più produttivi, perché costano meno.

Ma allora serviva tanta regolamentazione? Sia chiaro, una regolamentazione di base che imponga condizioni non vessatorie è ragionevole, perché il mondo è pur sempre popolato anche da idioti, ma vi pare ragionevole una normativa come quella approvata? E soprattutto, se lo stress fisico è qualificabile e le cause ben individuabili, per quello psicologico possiamo fare lo stesso?

Per capirlo ho intervistato il Dottor Enrico Toscan, psicologo che per molti anni ha praticato come psicoterapeuta ed ha partecipato a numerosi convegni anche internazionali. Dottor Toscan, è possibile fare una misurazione dello stress psicologico legato ad attività lavorativa, come richiesto dalla nuova normativa? “Prima di tutto occorre ben leggere tutta la normativa, che io non conosco. Certo che, parlando da psicologo, posso dire che è ben difficile determinare una simile misurazione riferendosi alla sola attività lavorativa.” Per quale motivo, dottore? “Perché le cause di uno stress, o di una sofferenza, possono essere anche endogene, o determinate da una moltitudine di fattori, molti dei quali completamente estranei all’ambiente di lavoro.

La norma infatti riguarda la sicurezza del lavoro, e sarebbe difficile addossare all’impresa responsabilità derivanti da fattori esterni, che con il lavoro non hanno nulla a che fare.

Dubbi sulla applicabilità della norma e sulle linee guida da seguire erano similmente stati già rilevati dalla dottoressa Anna Maria Moro, consulente delle Risorse Umane, per il PSIDL, come si può rilevare dal sito stesso.
Ne traggo alcuni punti dell’articolo che potete leggere qui: “Il primo aspetto riguarda l’intero sistema di lavoro: l’insieme costituito da operatori, attrezzature, ambiente di lavoro e le azioni dei lavoratori stessi” – “Eventuali problemi di stress non possono non tenere conto delle caratteristiche psico-attitudinali del singolo. Ognuno di noi ha sensibilità stressogene differenti, perché influenzato dalla propria personalità, dal rapporto con il capo, dai problemi familiari ed ambientali esterni differenti.”
“Il lavoro a turni, il lavoro straordinario indesiderato, il ritmo di lavoro accelerato, le variazioni del lavoro assegnato, la possibilità di interagire o meno con i colleghi e molti altri fattori vengono vissuti in maniera diversa.”
“Non credo esista un misuratore di stress lavoro-correlato, ma ritengo sia necessaria una buona gestione dell’impresa ed in modo particolare delle risorse umane”.

Mi pare che con quest’ultima frase si sia toccato un punto importante.
Si parla infatti di lavoro accelerato, di variazioni di lavoro, di straordinari (ma anche di mancanza di lavoro, aggiungo io). E si conclude con l’esigenza di una buona gestione dell’impresa.

Il punto è infatti che l’impresa non è un hotel, né un luogo per vacanze. Non deve attirare lavoratori come un impianto balneare; anche se per i burocrati, abituati alla culla dello stato bambinaia, ciò sia difficile da immaginare.
Una impresa ha come primo scopo produrre profitto, dal quale deriva benessere.
Benessere per la soddisfazione dei bisogni dei clienti, con il prodotto/servizio realizzato.
Benessere per chi operando supplisce tali prodotti/servizi mediante il ricavo della quota di profitto.
Benessere per la comunità che da tale profitto vede una ricaduta in investimenti locali (e riacquisto di altri beni e servizi).
Questa è una impresa. E mi pare che in Europa, e specialmente in Italia, questo si sia dimenticato.
E’ drammaticamente stupido lamentarsi dei concorrenti cinesi quando pretendiamo che il nostro lavoro sia remunerato per una cosa che non può essere: impegno rilassato.

Chi misurerà mai lo stress dei disoccupati? Perché quella è la categoria dei dimenticati. Colpevolmente dimenticati, perché uno stato asfissiante che uccide la libera iniziativa anche avallando norme da pizzaioli come quella di cui stiamo parlando, come da anni stanno facendo i vari governi italiani, è colpevole di questo disastro, come colpevoli sono tutti i cittadini che passivamente si lamentano ma che attivamente non fanno niente. Anzi, loro sono anche i più colpevoli. Malati di stress e stressogeni al tempo stesso.

Inoltre dopo la misurazione occorrerebbero interventi. Ma se, come leggiamo dalla ricerca condotta da AFI-IPL, il 60% dello stress dei lavoratori è determinato da svolgimento di più compiti e da pressioni sui tempi, non è forse perché la loro resa deve essere molto alta per potersi pagare? Se vi arriva a casa un idraulico che costa 28 euro all’ora, non sarete molto disponibili ad accettare la sua pausa ginnastica a vostre spese, no? E la domanda dovrà allora cadere sul perché quell’idraulico vi costa 28 euro all’ora. La risposta stà nel fatto che di quei 28 euro 21 sono di tasse e oneri gestionali. Allora, tanto per cominciare, riduciamo il costo del lavoro, così i lavoratori avranno meno fiato sul collo, e per ridurlo occorre ridurre tutti i costi parassitari tra i quali quelli dovuti a questa normativa ne sono una porzione più che rappresentativa!

La dottoressa Anna Maria Moro parlava di buona gestione. Ma questa gestione come può essere concentrata sul suo scopo se viene continuamente sviata da fattori normativi continuamente involutivi che implicano un continuo stress dell’imprenditore e dei dirigenti?

Chi misurerà mai lo stress degli imprenditori?

…e se loro un giorno scrollassero le spalle, come in Atlas Shrugged di Ayn Rand?

Claudio G.

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