Per comprendere meglio la difficoltà che molti hanno ad accettare la dissoluzione di ITA e la relativa creazione di 20 (forse meno) Stati indipendenti e sovrani, l’unica forma di salvezza possibile per 60 milioni di disperati, occorre affrontare brevemente un tema che può apparire secondario, ma che tale non è.
I vari, tristi e tetri regimi che hanno costituito l’essenza e la spina dorsale di ITA dal 1861 ad oggi – con l’intermezzo di due guerre devastanti, una dittatura durata 23 anni, un’invasione tedesca e una alleata, cui si aggiungono sciagurate ed atroci imprese coloniali e la deportazione di 27 milioni di “italiani” oltreoceano o anche solo aldilà delle Alpi, e di qualche migliaio di ebrei ad Auschwitz, tutto all’ombra del trick-olore – hanno cercato di confondere le acque, con l’aiuto di un manipolo di intellettuali prezzolati a pane raffermo, e ogni tanto graziati con qualche caramella.
Ovvero, hanno creato un sistema di identificazione, a livello di propaganda e quindi di coscienza individuale, tra l’Italia quale universo geografico e culturale, linguistico e storico, con ITA, ovvero un governo sabaudo trasformato in regime romano, una mera sovrastruttura rispetto alla geografia (milioni di anni) e alla storia umana (migliaia di anni) che ha riguardato e riguarda il suolo italico, questa “Penisola” con diverse isole vagamente separata dal resto d’Europa dalla cornice alpina e dal mare mediterraneo.
Infelici interpreti di Hegel, che leggevano magari in traduzione, ma di cui intuivano il potenziale ideologico (nella misura in cui riguarda l’asservimento dei popoli ai loro governanti) hanno visto in ITA, in uno Stato non nazionale (“fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani” diceva forse il D’Azeglio: il contrario si può dire per veneti, sardi, liguri etc., sono stati “fatti” da millenni), il compimento, l’”inveramento”, la “terza fase della dialettica”, la sintesi, insomma, dell’Italia millenaria per popolazioni e milionaria, in termini di anni, per geografia. Si leggano le pagine turpi di storici “patrioti” zelantissimi come Salvatorelli, che in un libro del 1963 (ahimè funesta il mio anno natale!) si fa portavoce arrogante di tale idea.
Per cui molti cittadini veneti, liguri, sardi, si dicono fieri di “essere italiani”, ma in questa fierezza confondono il miglio (la bellezza dei paesaggi, la ricchezza d’arte, la splendida lingua “dove il sì suona”, le tradizioni agricole unite a quelle mercantili, lo splendore della civiltà comunale e quello ancor più corrusco di quella rinascimentale), con il loglio, la malerba di ITA, che è solo uno Stato e un apparato coercitivo, qualcosa di fortunatamente transeunte. Dunque, per parafrasare Sergio Salvi, forse l’Italia esiste, ma è ITA che non esiste, che è una formazione tumorale pronta ad asservire ai propri scopi la bellezza dei luoghi, la varietà delle genti, lo splendore di una lingua. Creando un “loop”, un corto circuito concettuale e coscienziale che per fortuna dei delinquenti ha funzionato per un secolo e mezzo (abbastanza) bene. Italia è espressione geografica come, poniamo, Scandinavia, o Penisola Iberica. Dell’Italia, poi, ITA si è servita, usurpandone il passato, e facendone al contempo scempio. Hanno scempiato, i tenutari del bordello ITA, l’unico al mondo da cui si esca senza aver goduto affatto, ma avendo speso un patrimonio, i monumenti e i documenti, il passato e il presente, e la lingua stessa, poi, proprio ciò di cui si sentono e si dicono più fieri.
E’ forse italiano il burocratese dei ministeri, delle circolari, delle leggi, degli storici e dei letterati e dei politologi e dei giornalisti “patrioti”, dei cronisti del calcio, delle veline e dei ciarlatani RAI, degli amministratori locali, degli zelantissimi alfieri di ITA sparsi per il mondo universo? O questo è solo la sua immonda caricatura? Quando qualche giornalista RAI da mamma Roma ci racconta le vicende del potere, compiacendosi del fatto che ne è parte, e che lì siede per essersi “seduta” spesso altrove, dalle sue gonfie labbra esce forse una sola frase della lingua di Dante?
No, l’italiano è la mia lingua, non madre, ché tale è il genovese, né compagna, ché tale è il veneto, neppure nonna, che tale è l’ebraico, ma diciamo amante di lunga data, vezzeggiata anche fin troppo, e ora troppo spesso tradita con lingue altre, soprattutto l’inglese.
Scrivo in versi e in prosa, in questa lingua, che è la MIA, non la LORO. ITA ha reso un pessimo servizio all’Italia. Ha sfruttato un marchio e una storia non protetti da alcun copyright, per permettere a qualche centinaio di privilegiati di vivere alle spalle, ignominiosamente, di decine di milioni di cittadini coatti.
Mi dispiace, ma l’Italiano è il mio, non il vostro. Il senso del passato e del presente di questa terra è il mio, e non il vostro, padroni di ITA. Mia è la Liguria e lo sguardo che l’abbraccia e il cuore che la ama come la mia terra; mia è una tradizione di scrittura quasi millenaria, mia la comprensione degli autori e dei tempi che ad essa diedero vita e forma.
NON VOSTRA; SERVI DI ITA!
Quando la Venetia sarà libera, e saranno libere tutte le terre aggiogate da un’associazione a delinquere di sfruttatori, tutto questo apparirà molto più chiaro. E allora accanto al veneto e al sardo e al genovese, rifiorirà anche e proprio l’italiano, proprio perché i fedeli servitori di ITA che lo hanno storpiato fino a renderlo irriconoscibile, saranno scomparsi.
L’Italia delle opere d’arte e di sapere rinascerà, risorgerà davvero proprio quando ITA sarà scomparsa. Questo scrivo per le coscienze lacerate di molti: si può essere orgogliosi, legittimamente, di essere italiani, solo nel momento in cui ITA, che l’Italia non è, sarà scomparsa. L’italiano era visto come koinè, come lingua comune di scambio, da Pietro Bembo, un grande veneziano, nel fiorire del Rinascimento. Ma non era certo la premessa per la nascita di ITA, era se mai la premessa per la nascita di un mondo globale libero, in cui, per mera praticità, ma anche per la sua estrinseca eleganza, l’italiano venisse usato da tutti.
Una lingua dolce che non avrebbe avuto, di per sé, alcun desiderio di farsi carnefice delle lingue locali, di pari dignità e di storia talora più diuturna, e che non a questo fine era stata concepita. Da chi la creò, donando alla toscana favella il tocco del genio.
ITA è uno Stato marcio; l’Italia e l’italiano, rispettivamente, una terra magnifica e la lingua che forse sola porta su di sé, come voleva Vittore Branca, l’eredità del greco e del latino. Una eredità immensa, che proietterà i popoli liberi di Venetia, Sardegna, Sicilia, Liguria, Lazio, e tutti gli altri, in un futuro luminoso.
Paolo L. Bernardini
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secondo me sarebbe ideale uno scenario post-ita con questi stati:
Veneto
Friuli
Trentino-sudtirol
Padania occidentale (piemonte-lombardia-liguria) visto che quelle tre regioni si vantano tanto di avere il “triangolo industriale”
Val d’Aosta
Centro-Italia (Emilia romagna-toscana-lazio-umbria-marche-abruzzo)
Napolitania (tutto il sud)
Sicila
Sardegna
Valsesia
questo è un buon rapporto tra stati italici, magari ci fosse.
allo stato attuale i veneti o sono assenti (ita) o hanno il dente avvelenato. questi ultimi vorrebbero l’indipendenza senza rendersi conto che in realtà la loro è solo una fuga portata avanti dall’odio e dalla rabbia (per fortuna pochissimi intendono invece l’indipendenza una “comunione libera”).
quella dell’articolo è una vera indipendenza: essere libero ma integrato con gli altri, non perdere l’identità nell’unità (cosa estremamente difficile ma non impossibile).
purtoppo la stragrande maggioranza cerca “isolamento dentro il gruppo” (visto che, oggettivamente, dal gruppo è impossibile staccarsi a meno che si vada ad abitare sulla luna).
la ricchezza che gli stati italici hanno prodotto e ci hanno lasciato in eredità è stata rubata da nepoleone (il “grande protettore dell’arte”), non solo ma anche lo stato italiano ha collaborato allo sfacelo. si è in oltre dimostrato incurante delle opere archittettoniche e paesaggistiche, ha favorito la sanguisuga del turismo succhiando la poca linfa rimasta a quelle città storiche (venezia ne sa qualcosa) riducendo le case a musei o bed and breakfast (naturalmente i cittadini hanno la loro parte di responsabilità collaborando, miopi forse, a questo piano distruttore).
abbiamo ereditato una ricchezza che non possiamo negare. non solo nell’arte ma anche di vicissitudini storiche. una ricchezza accumulata in secoli di relazioni, pacifiche o di guerre, tra stati italici.
certo c’erano scambi anche con l’estero (la serenissima manteneva contatti con l’intera europa), ma è innegabile l’alta percentuale di rapporti con il vicinato italico e le opere d’arte o innovazioni scientifiche che ne sono nate, sono ancora oggi una grande testimonianza di un passato di popoli distinti ma in comunione.
l’opera d’arte più grande è la nostra genuinità, una moltitudine di popoli che non devono essere mischiati ma essere distinti, cioè liberi di relazionarsi secono le proprie caratteristiche e modalità.
però questa relazione ormai è stata distrutta, i big l’hanno potuta distruggere annientando la “distinzione” di un popolo (l’identità) e mettendolo dentro nel marasma ita.
e ci sta pure bene se non riusciamo a farci rispettare.
allora, prima di tutto dobbiamo saperci guardare allo specchio e riconoscerci distinti dai vicini (non estranei) e uniti. questo è il passo difficile, ma questo è quello che i grandi big non vogliono che succeda in una “grande nazione” (grande solo in termini di superficie e densità di popolazione).
anche se loro non vogliono: È necessità et non si può far de manco!!!
ottenuto questo si potrà parlare cosa significhi Indipendenza.
…”distinti e uniti”? E’ il risultato di una equazione che non riesco a formulare.
Sorry.
in realtà pare un gioco di parole 🙂
è un pò come essere in famiglia:
il figlio deve essere cresciuto come un essere con le proprie caratteristiche totalmente differenti dagli altri (distinto).
il genitore (quello saggio) nota le potenzialità del figlio che sono differenti da quelle degli altri ma anche da quelle proprie.
sa anche che la ricchezza della propria famiglia va di pari passo con lo sviluppo (dato dall’educazione) totalmente diversificato dei propri componenti (perchè unici a sè stessi) che coscienti -forti- delle proprie qualità, appunto uniche, possono creare un nucleo unito molto potente e soprattutto in libero arbitrio.
con “distinti” intendo:
io mi distinguo da te perchè ho caratteristiche, qualità, difetti, vizi, ingegno… unici (come essere una mosca bianca).
in realtà non siamo dei cloni.
chi ha chiara la propria indentità e si unisce ad altri non può “perdersi”, cioè pur essendo nel gruppo il suo valore non viene inglobato in un brodo di carni umane.
è come godesse di una impermeabilità.
viceversa chi si unisce non avendo scoperto il proprio valore (che è unico), finisce per essere risucchiato in quanto non “impermeabile”.
in tutti e due i casi c’è comunque una unione (come esseri umani in un pianeta o in uno spazio, abbiamo capito che “fare gruppo” è una forza).
solo che nel caso del “distinto” dipende dalla propria volontà sia l’unirsi sia il distaccarsi (per unirsi altrove), nel’altro caso si è inglobati e trainati dai gruppi dai quali non ci si riesce a distaccare.
“non perdere l’identità nell’unità”.
questo mi ricorda molto la modalità non solo nei rapporti ma anche in caso di guerra della serenissima. gli altri stati italici ci guardavano come gente “senza disciplina”, “senza comando” (specialmente nelle galee).
i realtà la serenissima aveva fiducia nelle qualità di ogni veneto come fosse lui stesso la serenissima (cioè indipendente, distinto).
(poi, come sappiamo, a quelli che erano dei “molli brodosi” gliela faceva pagare).
spero di non avere fatto più confusione di prima. 😉
uniti, sì, come lo sono i finlandesi e gli svedesi tra loro, oppure i catalani e i portoghesi, i bulgari e i romeni.
Si, sicuramente l’unione per propria volontà è un valore.
Ma prima di preoccuparmi di questo dovrei preoccuparmi di poter esercitare tale libera scelta di aggregarmi …e poi io amo sempre i contratti dove si possa recedere senza troppi problemi.
E nel momento di dover aggregarmi, beh, in genere preferisco coloro con i quali sento maggiore affinità, e in Italia (quella geografica) ne trovo molto pochi. Senza alcun rancore, si intende, questione di mera percezione personale.
claudio:
“Si, sicuramente l’unione per propria volontà è un valore.
Ma prima di preoccuparmi di questo dovrei preoccuparmi di poter esercitare tale libera scelta di aggregarmi”.
certo, infatti intendevo proprio che l’unione è solo la conseguenza finale o di una scelta (per chi riesce a distinguersi individualmente dagli altri -pare un paradosso-), o del “lasciarsi trascinare” (questo è uno dei motivi, almeno per me, di allontanamento da persone così “instabili” -sempre per i miei gusti-).
giane:
ti credo in parola perchè non essendo io vissuto in quei popoli, non avendo condiviso nulla con loro, non ne conosco gli scopi gli intenti e le modalità (ho letto solo qualcosa).
(anche se sinceramente, non per contraddirti, ho dei dubbi. è già un equilibrio “difficile” quello che c’è all’interno di un popolo… non so in due o più).
non dispero comunque che un giorno noi serenissimi possiamo vivere in ottimi rapporti con slavi germanici italiani (o chi fa per loro) facendoci rispettare senza perdere il nostro valore antico e presente.
Articolo molto interessante. In effetti la maggior parte delle ricchezze storico-culturali è databile a prima del 1861… i turisti vengono a vedere opere pre-unitarie… Da separati si riusciva meglio ad esaltare la bellezza del proprio territorio.
Solo un piccolo appunto: il veneto (come anche altre regioni, e non solo le isole) non fa parte della penisola italica…
@ Giane:
non capisco il commento… su 2 esempi su 3 citi lingue di ceppo diverso…