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Il buon governo nella terra di mezzo

Tólto da NebbiaTerra

di Daniele Rostellato

LO SCENARIO

I popoli che hanno lottato uniti per giungere in fretta all’ottenimento di un obiettivo comune, storicamente, hanno dovuto temporaneamente abdicare alle loro differenze interne, abbattendo ogni divisione ideologica in virtù di una “fratellanza di intenti” che tra fazioni prima particolarmente ostili tra loro, si tramutava in un patto di alleanza temporaneo e di comodo.

E’ stato il caso della Polonia nel suo processo di emancipazione culturale e politica dal regime oppressivo che la soggiogava, è stato il caso della Persia nel suo divenire Iran: per un istante lungo a piacere, una popolazione eterogenea, politicamente e socialmente, si è ritrovata sotto uno stesso simbolico stendardo, si è sentita unita e quasi come un sol uomo ha preteso ed ottenuto (in tempi relativamente brevi) la realizzazione del suo obiettivo. Stiamo parlando di popolazioni fortemente necessitate all’azione, di genti sovente portate all’esasperazione, di pressioni politiche manifeste e di diritti negati in modo palese.

Veneto, 2010. Come Alessio Morosini ricordava in modo intelligente: “attualmente Repubblica Italiana”. Al momento non possiamo sicuramente affermare che le condizioni di libertà di pensiero, di pressione intimidatoria delle forze di polizia, di condizioni di vita in genere della popolazione siano simili, per quanto riguarda la nostra terra, ai succitati esempi. E, sicuramente, notandolo ci si sentirà sollevati. Certamente questo comporta una serie di considerazioni necessarie per un soggetto politico che voglia puntare in alto.

Ci sono gioghi di ogni tipo che si possono vedere imprigionare le vite di una popolazione. Questi non sempre sono evidenti ed hanno le riconoscibili e quindi più additabili forme delle armi, della violenza manifesta, della minaccia palese o della galera arbitraria. Il carcere migliore è quello di cui non si vedono le sbarre: è una prigione mentale dove la libertà sembra caratterizzare completamente la vita dell’individuo.

La società moderna ci ha rapidamente abituati a questo tipo di violenza: più subdola, più efficace, dalla fonte meno individuabile, infinitamente più potente ed, ovviamente, non cruenta. La società moderna ci ha perciò abituati all’illusione dell’assenza della violenza quando invece essa è presente ed applicata in modo chirurgico. Il tema della violenza e delle punizioni è complesso, affrontato, tra gli altri, magistralmente da Foucault, quindi non mi dilungherò su questo. Ciò che mi preme sottolineare è invece l’effetto ottundente che queste recenti condizioni di “benessere” (almeno in Occidente) e di “progresso culturale” (gestione e banalizzazione dell’informazione) hanno significato nel condurre ad una generalizzata percezione falsata delle proprie condizioni di vita.

Questo non percepire il proprio stato, questo immaginare (che grazie alla televisione diviene un “vedere”) se stessi come gli abitanti di un mondo (quasi) perfetto e comunque molto colorato, accattivante e mobile, questo essere educati sulla base di una storia (quella italiana) così palesemente finta e così ampiamente oscurata dei suoi capitoli bui da sembrare semplicemente un rimaneggiamento del celeberrimo “Cuore” di De Amicis, hanno a quanto pare convinto le genti che non è più necessario lottare, che non è più attuale subire, che c’è chi decide in modo efficace per tutti e che non è più sensato arrabbiarsi.

Lo stato di passività che si è creato, associato alla mancanza di motivi manifesti per divenire cittadini attivi, ha portato alla perdita del potere da parte del popolo, vanificando completamente la democrazia: i cittadini (i veri governanti) non si interessano più del potere e lasciano che il sistema divenga qualcosa di simile ad una malsana oligarchia.

IL FUTURO PROSSIMO

E’ facile immaginare che non vi sarà una ascesa in tempi rapidissimi per un partito indipendentista veneto, ma contemporaneamente, basandoci sui sondaggi recenti e sugli errori madornali dei partiti teoricamente federalisti, è possibile prevedere una qualche capacità di penetrazione nell’elettorato.

Questo porterà certamente, presto o tardi, un amministratore di Veneto Stato al governo di una qualche realtà, più o meno piccola, più o meno grande. Si aprirà allora una questione spinosa, che, è opinione di chi scrive, sarebbe saggio chiudere sin d’ora.

Un popolo che si unisce sotto una sola bandiera ideologica, mette temporaneamente da parte tutte le altre questioni che lo riguardano, per raggiungere un obiettivo comune in tempi rapidi. Lo si è già detto, ma preferisco sia tenuto presente: se i tempi non saranno rapidissimi, per quel popolo si apriranno due strade ben distinte. Una è la frammentazione, l’altra è una coesione de facto, persistendo comunque il mantenimento delle differenziazioni ideologiche. Tali aspetti dialettici, è necessario sempre rimarcarlo, sono una profonda ricchezza, non un qualcosa da cui guardarsi, ma una forza da utilizzare, certo, nel modo corretto.

Un problema pratico, come quello che un amministratore potrà pensare di dover risolvere, si può approcciare semplicemente per quello che è: un insieme di dati, una necessità, un impegno economico, un effetto sul territorio e sulla popolazione. Punto. L’ideologia politica, nella stragrande maggioranza dei casi, si può (e si dovrebbe) lasciare da parte. Un esempio? parliamo di un inceneritore. Servirebbe ad evitare una nuova discarica? quanto inquinamento produrrebbe nell’aria? di che tipo di impianto stiamo parlando? Tutto dovrebbe essere studiato per evitare il più possibile un affronto alla nostra terra, bene sacro e comune che, tendiamo a dimenticarlo, abbiamo avuto in prestito.

Per questo, e per altri problemi “pratici”, non serve allineare tutte le posizioni ideologiche all’interno di un movimento già di per sé eterogeneo (e ricco), ma servono linee guida efficaci, che possano esprimere in modo chiaro un rispetto per ciò che abbiamo ereditato dai nostri progenitori e che lasceremo in eredità alla nostra progenie: il Veneto. Altro punto fondamentale? un codice etico efficace, chiaro, che possa servire da patto di garanzia per gli elettori: quante volte un’opera pubblica viene costruita per favorire una azienda che ha legami con la politica locale? quante volte un insieme di precari viene regolarizzato perché si formi un nuovo bacino elettorale monocolore? certo, queste casistiche non sono così frequenti in Veneto come altrove, ma vanno attentamente tenute in considerazione.

NEL DUBBIO

E nei casi dubbi? nei casi in cui la popolazione sia equamente divisa tra “si” e “no” rispetto ad un qualsivoglia problema che agiti in modo aspro le coscienze: in questi casi che cosa dovrebbe scegliere un buon governatore? dovrebbe decidere “in cuor suo” sentendosi legittimato a farlo proprio per la indecifrabilità della volontà popolare bene assestando così sulle sue spalle il potere o dovrebbe invece ricorrere ad un referendum?

Chi scrive è di questa seconda opinione: il popolo deve essere riabituato a decidere ed a partecipare, deve riprendersi il posto che gli spetta. Una popolazione più consapevole di sé è una popolazione più rispettosa di sé. Questo “chiamare in causa” ovviamente non deve riguardare ogni ambito, ma deve necessariamente interessare tutti i settori in cui il rumore di fondo del dibattito salga oltre una certa soglia. Se una discarica, una nuova base militare, un certo progetto altro sono invisi al popolo, questi progetti non dovranno generalmente ottenere l’avallo di chi il popolo rappresenta. Non dimentichiamoci (mai) che un sindaco ha sì ricevuto il potere, ma lo ha ricevuto per sua capacità di rappresentare il pensiero della maggioranza dei cittadini: un amministratore è prima di tutto un sottoposto ed un interprete della volontà popolare .

Nel suo lavoro un eletto dal popolo deve approfondire i problemi, tentare di informare le persone in modo corretto, prendere la decisione sulla base del buonsenso e della difesa dei diritti della popolazione, cominciando proprio dai più deboli. Un capace amministratore capirà anche quando è tempo di affrontare la volontà stessa dei cittadini, ragionando per il bene della società ed imponendo una decisione impopolare quando questa sia l’unica strada accertata per risolvere una questione. Amministrare è un lavoro complesso ed in qualche modo è un’arte: nessuno ha mai detto che debba essere anche qualcosa di semplice.

LA TERRA DI MEZZO

All’indipendenza di una terra, coccolata da una nebbia che purtroppo è stata spinta in profondità nella sua carne, si arriva con il giusto passo e con incrollabile determinazione. La terra di mezzo è questo: è il governo di un qualcosa che non è libero, ma che lo sarà. E’ una fase fondamentale che serve ad instillare una forte fiducia dell’elettorato in un movimento, che mi piace immaginare sempre composto di persone limpide, identificabili, fruibili dalla gente. Persone che gente sono e gente rimangono, sempre.

La terra di mezzo può durare un giorno, un anno o dieci (e speriamo non di più). Il passo indietro che domenica 12 settembre ha portato a Veneto Stato può essere vanificato in fretta: sappiamo tutti quanto una contrapposizione ideologica possa produrre all’interno di un partito politico. Per questo auspico il darsi, in tempi rapidi ma giusti, di un insieme di linee guida unitarie, non cavillose, non specifiche e di ampio respiro, che consentano, oltre al naturale obiettivo dell’indipendenza, di poter affrontare con serenità il dibattito politico quando questo possa essere animato da tematiche pratiche.

La dialettica di un movimento non deve essere limitata, imbrigliata. Deve essere favorita e solo parzialmente guidata: in modo soltanto da prevenire un suo eventuale danneggiare se stessa, distruggendo la base da cui nasce: l’unione delle persone che con il loro impegno creano la possibilità del dialogo. Da ultimo, ma fondamentale aspetto, è giusto ricordare che parlare “a titolo personale” è sempre possibile: in un matrimonio è molto più importante essere leali che essere sempre d’accordo su tutto.

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