Pino Aprile a Como
di Paolo Bernardini
Il giorno 6 dicembre 2011 Pino Aprile ha tenuto una splendida lezione alla mia classe di “Storia moderna e contemporanea” all’Università dell’Insubria, a Como. Non ostante la neve e il gelo, un centinaio di studenti lo osservavano e ascoltavano assorti, ed emozionati. Anche i miei occhi, e quelli di Laura, mia moglie, confusa tra gli studenti – ma in fondo sempre studenti siamo, studiamo sempre, è il nostro lavoro e la nostra vita – si sono velati di lacrime. Perché Pino ci ha narrato della violenza bruta dei Savoia nel Regno delle Due Sicilie, degli stupri, degli assassini, degli incendi e delle deportazioni. Ci narrato come uno stato florido sia stato lentamente ucciso, trasformato in una colonia, svilito, umiliato. In ogni possibile modo.
Il mio pensiero è andato al Veneto: forse la violenza è stata minore, ma anche il Veneto, sei anni dopo Napoli e Palermo, è diventato colonia sabauda. E quanti milioni di Veneti hanno dovuto emigrare, meno forse degli ex-sudditi borbonici, ma certamente, tanti.
Ora, poiché da tempo si è avviato nel mondo il processo di decolonizzazione, è opportuno che si completi con la libertà delle colonie italiane; non è più sabaudo il Corno d’Africa, la Libia, e così via, non dovranno più esserle né la Venetia, né la Sardegna, né la Sicilia, né molte altre parti di ITA. Aprile ha spiegato e illustrato con riferimenti a documenti precisi, e con passione e coraggio civile una storia tristissima, ponendola in perfetta linea con tutte le imprese coloniali europee ottocentesche; nello spirito di ogni impero, anche di quello, ben più glorioso, anche se non meno violento, che fu di Roma: “parcere subjectis et debellare superbos”. Lo cantava, succubo della potenza romana, Virgilio.
E così la vicenda coloniale non può che concludersi con la nostra libertà, per festeggiare insieme a libici ed eritrei e somali la fine di una dominazione che per noi è stato ben più lunga che per loro.
In questo, credo che le posizioni mie e di Pino divergano. Perché con l’onestà e il morale rigore che lo caratterizzano, egli ha dichiarato di non essere contro l’unità d’Italia, ha semplicemente detto che da quel sangue – ma anche dal sangue dei vinti della II guerra mondiale, da tanto, troppo altro sangue, dal sangue dei 600.000 (seicentomila) bambini mandati al macello nella I guerra mondiale, delle centinaia di migliaia di abissini ed etiopi sterminati – non è mai nata una Nazione. Nel sangue della guerra civile si sono forgiati gli USA, nel sangue delle guerre di religione prima e della rivoluzione francese poi (dal 1789 al 1870, la “lunga” rivoluzione), la Francia, nel sangue dell’età della creazione del II Reich la Germania.
Ora, nel mostrare in tutta la sua tremenda tragedia la storia dell’occupazione del Regno delle Due Sicilie, Aprile offre, paradossalmente, ad ITA l’unica sua vera via di salvezza: la Riconciliazione nazionale. Ovvero, la necessità che tutti riconoscano il male fatto, che la Storia sia tutta riscritta, a partire dal capo dello Stato, dal governo, dagli intellettuali, e si ricominci tutti insieme.
Insomma, la nazione che non vi è mai stata, finalmente nasca, sulla base della presa di coscienza di tutto il male immenso che da 150 anni il governo ha fatto subire ai cittadini, tutto il tributo di sangue (immenso) e poi di denaro (inquantificabile) che ha loro ingiustamente, violentemente richiesto. Ma ITA potrà mai far questo? Lo vorrà mai fare, lo potrà mai fare?
Capisco che sarebbe l’unica sua sopravvivenza, ma per arrivare a questo dovrebbe rinunciare a se stessa, perché non vi è anno, decennio, secolo, momento, gesto, legge, decisione, che non richieda una richiesta di perdono, e la relativa riconciliazione.
Tutto quel che è stato fatto, con gradi diversi di intensità, è Male.
Per questo se Pino Aprile è favore del mantenimento dell’Italia unita (per rispetto a lui non la decurto qui in “ITA”), io desidero ardentemente che essa finisca. Perché non credo – e lo dico prima di tutto sulla base dell’intuito, ma non solo – che nessuna conciliazione sia possibile. Perché vedo papi vescovi e cardinali che si mettono tutti ridenti, come vecchi rincoglioniti dal troppo uso del potere e dallo scarso uso della Carità (e del cervello) il cappello dei bersaglieri di Porta Pia, di quelli stessi che avevano appena finito di stuprare e torturare donne e bambini, fucilare vecchi innocenti, e bruciare vivi uomini nelle case nel regno delle due Sicilie.
Perché vedo politici, e sono tutti, totalmente privi non solo di coscienza storica, ma perfino di cognizioni storiche elementari; perché vedo storici, vecchi arnesi del regime, e loro giovani filiazioni accademiche, continuare a perpetuare vergognose menzogne, i vari Panebianco, Craveri, Galasso, Galli della Loggia, tutti i servi che volentieri al tempo della conquista borbonica del Sud avrebbe fucilato i “briganti”, molti loro compatrioti, se solo avessero avuto la forza di imbracciare un fucile; perché vedo soprattutto, una cosa:
L’utilizzo delle colonie “interne” NON E’ FINITO. Il Veneto è la colonia che dà sostentamento al marciume, insieme a Lombardia, Emilia-Romagna, e anche lo stesso Piemonte. L’interesse dello Stato centrale è che il Sud (e la Sardegna) rimanga come è, perché la mafia – potente alleata da sempre di Roma – garantisce ottimi introiti e perfette alleanze: e i giovani del Sud, che muoiano di fame!
Sono mutati i tempi e i modi, ma è tutto come nel 1860 nel Regno delle due Sicilie, è tutto come nel 1866 nella Venetia.
Per questo, un libro come “Terroni” è grandioso. Non solo perché offre basi di acciaio per la liberazione, ma anche, paradossalmente, perché offre l’unica, sofisticata e insieme passionale, possibilità a ITA per continuare a vivere.
Ma la Riconciliazione è impossibile, perché è sulla base delle premesse coloniali che ITA TUTTORA si regge. Quali grandi statisti ci vorrebbero, per farla davvero, per porsi il problema. Invece il problema degli “statisti” attuali è mangiare finché ce n’è. Se cominci a riscrivere la storia dal 1860, devi arrivare anche al 2010. E allora non la storia va riscritta, ma il PRESENTE. E sarebbero cavoli molto amari.
Se la Liberazione è il futuro, la Riconciliazione è un nobilissimo ideale, che solo da un grande uomo come Pino Aprile poteva venire. Ma anche un’Utopia. Bella, e per questo la scrivo in maiuscolo.
Quando la Venetia sarà indipendente, e la Sicilia, la Napolitania, la Sardegna, allora riparleremo della Riconciliazione, come quella terza fase della dialettica, la Sintesi, appunto, che non è avvenuta. Perché non poteva avvenire. Il fatto che “sarebbe potuta avvenire” in alcuni forse lascerà un’ombra di malinconia.
Un ombra, appunto, a fronte di quelle luce corrusca che da quel giorno in poi, il giorno dell’Indipendenza, illuminerà il nostro cammino.
Paolo L. Bernardini
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sulle violenze nel sud niente da dire ma per quanto riguarda il “sud prospero “è una bella barzelletta di certi signori meridionalisti tipo l’autore pino aprile ,consiglio invece il libro “brandelli d’italia”.
avrei bisogno di un chiarimento per favore:
avevo letto altrove che i veneti emigrati erano in proporzione superiori a quelli delle altre regioni itagliane.
in questo articolo invece viene detto:
“E quanti milioni di Veneti hanno dovuto emigrare, meno forse degli ex-sudditi borbonici, ma certamente, tanti.”
ho letto dati falsati io oppure l’articolo si riferisce a tutto il meridione senza distinzione di regioni?
non è una questione di “supremazia” nei disastri ricevuti (che risulterebbe alquanto infantile), ma non vorrei avere certezze storiche strampalate.
grazie 🙂
All’amico che parla di barzellette, consiglio di leggere «L’invenzione del Mezzogiorno» di Nicola Zitara e tutta l’opera di questo. Non parliamo di semplice storia in questi libri. Ma di un lavoro monumentale di ricostruzione dell’economia e delle finanze degli ex stati.
Voialtri avete una visione parziale della storia. Tendete a guardarla da dentro e non da fuori.
Cambiamo prospettiva, guardiamo all’Europa intera. Ecco. Ora ricordiamo una cosa: quello che rendeva uno stato cattivo a quell’epoca erano essenzialmente due cose: a) il fatto o meno di essere una monarchia cattolica; b) il fatto o meno di essere al passo e/o accettare il cambio radicale dell’economia, che con l’avvento del capitalismo selvaggio invertiva il rapporto tra economia e popolo. Il secondo, nel capitalismo, diventava servo della prima, e non più viceversa.
Europa: due soli erano gli stati veramente avanzati secondo il concetto odierno di avanzato, ovvero «al passo col sistema capitalistico», con mercati sviluppati, macchine nelle industrie, esportazioni cospicue, circolazioni monetari allucinanti. Quegli stati erano Francia e Regno Unito. Un po’ la Prussia, ma ben lontana dall’essere la grande Germania che oggi conosciamo.
Zoomiamo: penisola italica e dintorni. Situazione completamente diversa. La stragrande maggioranza dell’Italia era ferma all’epoca precapitalistica. Nemmeno aveva iniziato un’opera di accumulazione primitiva, primo passo necessario per abbracciare il capitalismo. L’economia era ovunque di sussistenza, non c’era mercato (nella definizione odierna di mercato), non c’erano grosse esportazioni, la circolazione monetaria era debole. La condizione dei contadini era pessima ovunque, spesso peggio al Nord che al Sud (vogliamo parlare dei contadini veneti o piemontesi? una vita di merda come poche). L’unica metropoli a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento era Napoli. L’unico stato ad aver intrapreso l’accumulazione primitiva e l’abbraccio (a suo modo, per diversi motivi che non posso spiegare qui, non c’è spazio e tempo) del capitalismo erano le Due Sicilie, inizio 800. Nel 1818 viene rivitalizzato il Banco delle Due Sicilie, nel 1830 si inizia una industrializzazione secondo i “moderni” canoni, sebbene ce ne fosse già una precedente secondo i vecchi canoni. A parte alcune eccezioni come i cantieri di Castellammare, Mongiana e poche altre realtà, il resto delle Due Sicilie, Napoli e dintorni eccettuati, era in epoca pre-capitalistica, sebbene lo stato si avviasse a un proficuo sviluppo. Il resto dell’Italia stava nella stessa situazione in media. Peggio, nei dettagli, poiché era governata molto peggio.
Secondo l’Enciclopedia Bancaria, alla voce Banco di Napoli (di Quarta Gaetano), il sistema bancario napoletano era «uno dei meglio affinati al mondo».
La circolazione monetaria era altissima, anche grazie al suddetto sistema bancaria, e alle leggi intelligenti che il governo promulgò. Più alta di tutta quella del resto d’Italia messa insieme.
Ciò detto, la circolazione monetaria del Regno Unito era dalle 10 alle 15 volte superiore. Questo per farvi capire chi aveva le mani sul timone dell’Europa (e non solo) intera e decise dove bisogna dirigere l’economia globale.
Quindi quando si parla dell’arretratezza del Sud, etc. etc., si sta ripetendo a pappagallo la retorica risorgimentale. Bisogna parlare dell’arretratezza del resto d’Europa, stati italiani in primis, eccettuato un crescente Regno delle Due Sicilie, rispetto ai veri stati capitalistici dell’epoca: UK e Francia.
Ovviamente parliamo di arretratezza secondo un termine di misura oggi comunemente accettato che è quello dell’equazione stato-non-imperial-colonialista-capitalista=stato-arretrato.
Questo termine di misura non era comunemente accettato all’epoca. La società era profondamente diversa, ed è questo che sfalsa tutti i giudizi che si danno oggi affrettatamente sulla realtà dell’epoca.
Ciò che avvenne è che l’Italia, uno stato sbagliato a prescindere da quando e perché sia stato fatto o verrebbe rifatto, poiché la nazione italiana non è mai esistita e mai esisterà, venne creata per un motivo solo: permettere alla classe dirigente piemontese (che dopo 150 anni è ancora quella Italia, con poche variazioni) di iniziare quell’accumulazione primitiva necessaria a far partire un vero capitalismo nelle proprie zone. Quell’accumulazione primitiva è stata ottenuta con colonizzazione manu militari dell’unica parte del‘“Italia” che aveva le risorse a disposizione; e quello status quo è mantenuto ancora oggi.
Unico motivo di creazione dell’Italia. E non solo dell’Italia. Rendersi conto di questo è importante, perché aiuta a ragionare in termini diversi. Che non si guardi agli altri stati come se avessero un popolo unito. Gli spagnoli non esistono. I francesi manco sono un solo popolo (e non mi si venga a raccontare la farsa della prima rivoluzione francese, per favore – il revisionismo in merito è ormai comunemente accettato da tutti), E manco i tedeschi sono “unici”; però per come è stata fatta la Germania, si è dato decisamente meno adito a movimenti separatisti e indipendentisti.
Gli stati attuali sono il prodotto di una necessità comune all’epoca per diventare “moderni” nell’accezione attuale del termine: diventare una corporazione, una macchina accumula-soldi, un’azienda, in pratica.
Questo ha avuto un costo altissimo: tantissimi popoli, minoranze etnico-culturali, etc. sono state represse, non rappresentate, colonizzate e usate. Non siamo gli unici in Europa.
Gli idealisti dell’Europa Unita, poi, pensarono che perseguendo questa via si sarebbe potuto porre rimedio ai danni di tale tipo fatti tra l’800 e il 900, creando un Europa dei popoli. Ovviamente la cosa è andata di nuovo a puttane: l’Europa di oggi è l’Europa delle banche. Non è cambiato niente, se non l’economia che è stata ancora di più stressata, accelerata, producendo un apparente benessere che nasconde una catastrofe che ben presto diventerà palese a tutti. Una parte di essa già lo è: la catastrofe ambientale.
scusi simpatizzante, da indipendentista duosiciliano e da amico degli indipendentisti veneti, vorrei, senza rancore, spiegarle le nostre ragioni.
Dire che prima del 1861 il Regno delle Due Sicilie fosse il paradiso terrestre è sbagliato, e su questo ha ragione lei, ma non lo era neanche il Regno di Sardegna e soprattutto il “meridione” non lo sarebbe stato poi. Il modello di sviluppo economico che avevano intrapreso i BorbonE (il cognome non ha il plurale) era semplicemente DIVERSO da quello, di stampo liberale, dello Stato saBOIArdo. Mentre il Regno di Sardegna investiva molto nel pubblico (creando DEBITO, come un “moderno” Stato liberale, debito che fu prontamente appianato con la Cassa del Banco delle Due Sicilie), i Borbone avevano prediletto un modello economico votato al risparmio, con investimenti mirati a determinate aree del Paese, questo fino alla morte di Re Ferdinando II.
Con l’avvento di Francesco II, nel 1859, la svolta liberale era già in atto (tanto è vero che l’investimento pubblico che, nel 1859 era stato di 452mila ducati, sfiorò il milione nel 1860), il 23enne re “Franceschiello” aveva, nei nove mesi del Suo regno:
– approvato la Costituzione liberale del 1848
– varato la riforma della Pubblica Istruzione che prevedeva scuole primarie in ogni comune del Regno
– appaltato oltre 700km di ferrovie
– incentivato ulteriormente gli investimenti nei porti (avevamo la TERZA FLOTTA COMMERCIALE DEL MONDO, piccolo appunto: il mancato sviluppo delle ferrovie era dovuto anche al forte impulso del commercio marittimo, e smettiamola con questi falsi miti, GARIBALDI ARRIVO’ A NAPOLI IN TRENO DA SALERNO, E I BORBONE HANNO COSTRUITO LA PRIMA GALLERIA FERROVIARIA DEL MONDO, lamentare l’assenza di ferrovie nell’800 al “sud” è come criticare la Svizzera per l’assenza di porti marittimi, non ha senso)
Detto ciò, il Regno, NEUTRALE, fu invaso (senza dichiarazione di guerra) da Vittorio Emanuele II, CUGINO DI RE FRANCESCO e spoliato di ogni cosa. 443milioni di ducati-oro equivalgono a 200 MILIARDI DI EURO ATTUALI, che sono serviti poi anche ad invadere VOI FRATELLI VENETI (tra NAPOLITANI, abitanti delle Due Sicilie, e Veneti, c’è sempre stato un fitto scambio culturale e commerciale fino al 1861, quindi non posso che considerarvi FRATELLI).
le consiglio un libricino di Giacomo Savarese, nobile coevo agli avvenimenti, si intitola “I bilanci dello Stato Piemontese e del Regno delle Due Sicilie dal 1848 al 1860”, le spiegherà bene i motivi dell’invasione del pacifico Regno delle Due Sicilie.
@ Matteo
“(tra NAPOLITANI, abitanti delle Due Sicilie, e Veneti, c’è sempre stato un fitto scambio culturale e commerciale fino al 1861, quindi non posso che considerarvi FRATELLI).”
questo mi fa piacere. condivido questo sentimento che è comunque storia ormai nascosta dall’italia.
siamo stati cresciuti e abituati dalla politica italiana a coltivare pregiudizi tra nord e sud (la guerra dei poveri).
non c’è cosa migliore per tenere un popolo sotto controllo nel creare e mantenere differenze interne.
è difficile ancora oggi tra gli indipendentisti veneti essere “puliti” da questo inquinamento italiano e vedere i popoli italici con gli stessi occhi dei nostri avi.
personalmente confido più nei meridionali che nei tirolesi o austriaci (da sempre nostri nemici, invasori, provocatori dalla lingua di serpente, ingannatori. questa è storia non un mio parere).
italiani e austriaci sono stati i nostri invasori.
devo tristemente ammettere però che oggi come oggi le cose sono cambiate nel sud rispetto 200 anni fa.
tuttavia credo che la propria indipendenza sia possibile ottenerla se duosiciliani e veneti lavorassero all’unisono.
venezia aveva un ricordo speciale verso i napoletani (unici a combattere e morire insieme a lei per respingere gli austriaci nel 1848) ora relegato in soffitta e dimenticato dai veneti stessi(non solo quelli poveri d’animo ma anche quelli che la storia la sanno. non tutti ovviamente…ma sfortunatamente pochi).
…i veri veneziani che amavano la libertà sono spariti.
Simpatizzante e’ dura smaltire 150 anni di barzellette vero?
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