Preso da Privatseminar
Nel 1819 un inglese dalla vista lunga, Sir Stamford Raffles, fonda nell’isola alla fine della penisola di Malacca la moderna Singapore; che in lingua malese si chiama Singapura e vuol dire “città del leone”. Lo scopo di Sir Raffles è quello di creare un porto libero in una zona strategica che possa anche rompere commercialmente le palle agli olandesi stabiliti anch’essi nella regione. Il porto libero di Singapore si rivela un enorme successo e attira cinesi, peranakan, malesi, arabi, indiani, occidentali, etc etc che lì si incontrano (e scontrano) dando vita a una vibrante comunità multiculturale. Oggi la maggior parte degli abitanti di Singapore è di origine cinese (74%), seguita dai malesi (14%), indiani (9%) e altre provenienze (3%). Tutti gli abitanti di Singapore sono almeno bilingui; infatti parlano la loro lingua familiare e l’inglese. Le lingue ufficiali sono quattro: inglese, cinese mandarino, malese e tamil. Nella mia esperienza di viaggio a Singapore ho visto una città affascinante, viva e…strapiena di gente! Non so se la concordia interculturale sia una cosa effettiva o solo una facciata. ogni gruppo ha più o meno le proprie zone e guardando le persone per strada non ho visto molti gruppetti misti. Tuttavia è dagli anni ’70 che non ci sono più stati episodi di conflitti etnici; anche perché il governo ha speso molte energie per “l’armonia sociale”.
Nel 1965 Singapore viene espulsa dalla Federazione Malese per evitare conflitti razziali e affinché quest’ultima possa portare avanti in modo migliore l’agenda delle discriminazioni positive verso i malesi. Un futuro mediocre sembra dover aspettare Singapore: piccola, senza risorse naturali (dipendente dall’estero persino per l’acqua) e con striscianti conflitti etnici. Le cose invece vanno in modo decisamente diverso. Questo per un semplice motivo: libertà di mercato (anche se esiste una importante fetta di capitalismo di stato, tanto che molti parlano di “modello Singapore”). Oggi Singapore è una delle più importanti piazze commerciali al mondo, la sua economia è una delle più aperte e più competitive, il suo porto è uno dei più trafficati e il suo PIL pro capite è il sesto a livello mondiale.
Singapore è trenta volte più piccola del Veneto ma ha lo stesso numero di abitanti: poco meno di cinque milioni. È uno stato sovrano che ha trovato la sua strada e la sua attrattiva. L’esempio di Singapore ci mostra come la tara mentale della necessità di stati pachidermici sia, appunto, solo una tara presente nella mente di persone dalle vedute un po’ antiquate. Singapore può essere considerata un esempio di quella famosa disintegrazione politica spesso citata qui. Di certo Singapore non è il modello che piacerebbe a me per uno stato veneto indipendente. Infatti la repubblica del sud-est asiatico tende un po’ troppo verso l’autoritarismo e ha la spiacevole abitudine di intromettersi paternalisticamente nella vita delle persone multandole per atteggiamenti che non dovrebbero tenere (tipo masticare le gomme). Non per niente gli abitanti di Singapore chiamano simpaticamente la loro città-stato fine city dove fine sta per multa. Per un libertarian come me, questa ingerenza è intollerabile anche se lo stato in questione è uno dei più liberisti al mondo.
Pensiamo ora una moltitudine di stati piccoli come Singapore o giganteschi, al confronto, come il Veneto aperti al mercato globale che si fanno concorrenza tra loro. Frederic Sautet ha scritto di un aspetto molto interessante nella sua esperienza viaggiando con Singapore Airlines:
On long-haul flights, one can watch ads before the on-demand movies (you can actually skip the ads if you want). One of the ads is for Silversea which is a luxury condos company aimed at expats. The ad shows a video of the place with gorgeous Westerners doing some shopping, sunbathing, and having a good time. And the caption reads: “No capital gains tax; no currency controls; no restriction on foreign ownership; no inheritance tax; no withholding tax for sale of properties; no value added tax”. That’s all. Nothing is said about the place itself. Clearly, businesses in Singapore know what a difference the island-state’s tax system can make to foreigners desiring to invest their money. This is global tax competition at work for you. Actually, one should rather call it “institutional competition.” This is the way Singapore Inc. establishes its name and reputation.I can’t imagine such an ad on Olympic Air, Air France, Iberia, Alitalia, British Airways, or United, just to name a few.
Immaginiamo ora invece quante e quali potrebbero essere le proposte sempre più allettanti messe in piedi da una moltitudine di stati, anche e soprattutto confinanti tra loro, per attirare quelli che “votano con i piedi”, ossia quelli che cambiano residenza per trovare condizioni migliori. Più nuovi stati nascono, più concorrenza si crea, più commercio globale si alimenta e più la pace prospera. Gli stati pachidermici inefficienti e tassassini come quello italiano resistono solo perché le classi politiche parassite riescono a far leva su un bizzarro sentimento irrazionale e autolesionista di “unità”, come se da questa unità, e non dalle libere interazioni degli individui tra loro, dipendesse la concordia tra i popoli. Singapore ci insegna al contrario che piccolo e aperto ha molte possibilità in più di essere sinonimo di bello e ricco.
Luca Schenato
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Ho commentato nel blog da cui è stato tratto l’articolo:
http://www.privatseminar.net/2010/12/29/republik-singapura/
Pochi lo sanno ma la fortuna industriale di Giorgio Panto nasce a Singapore, allorquando ci mandò un parente ( non si fidava di nessuno) in pianta stabile per vent’anni , a presidiare ed accaparrarsi in esclusiva le partite del miglior mogano del mondo, da cui la proverbiale somma qualità delle sue finistre, che lo hanno reso famoso.