E’ un periodo di transizioni quello che stiamo vivendo, questo è sicuro. Non ho idea degli esiti, ma di certo è in corso un moto che ha avuto inizio con la metà dei primi dieci anni del 2000, che stà lentamente smuovendo assetti che prima parevano consolidati. A dirla tutta in realtà la prima grande crepa si ebbe ancora con il crollo del muro di Berlino nel 1989. Viviamo un era di telecomunicazioni rapide e fatti che un tempo richiedevano lunghi tempi oggi avvengono più rapidamente, ma non così rapidamente come quest’era di comunicazioni immediate vorrebbe farci credere, perché in ogni caso il messaggio deve essere assimilato ed accettato dalla popolazione che è quella a cui ultimatamente l’azione è determinata.
Eppure le telecomunicazioni sono anche il cuore delle recenti dimostrazioni avvenute in vari posti del mondo, ed i vari governi hanno reagito in modo diverso. Se in Iran vennero eretti controlli che rallentarono le comunicazioni ma non le arrestarono, come avvenne durante i disordini avvenuti in Grecia alla fine del 2008, o in Turchia dove alcune aree furono isolate dalla telefonia cellulare, altri hanno scelto opzioni più drastiche come in Bangladesh dove l’unica linea a fibra ottica che allacciava il paese fu tagliata per 24 ore e tutte le comunicazioni interne interrotte, mentre nella Tunisia nei recenti scontri ha bloccato parte del suo sistema di telecomunicazioni pilotato dal colpo di stato realizzato dai militari, in Egitto è avvenuto qualche cosa di spettacolare perché il governo ha ordinato di interrompere ogni servizio Internet e di telefonia.
Una analisi realizzata da Renesys , società di analisi di rete con sede nel New Hampshire, USA, ha infatti dimostrato che i cinque principali operatori del paese hanno interrotto nell’arco di poco tempo ogni comunicazione con il mondo. Ogni utente, ogni casa, ogni bar, internet cafe, banca, azienda, sito web, scuola o ambasciata sono stati tagliati dalla rete. Nell’articolo pubblicato l’autore in Renesys si chiede come può un paese di oltre 80 milioni di abitanti tagliarsi fuori dal mondo nelle telecomunicazioni, se ciò sia economicamente sostenibile.
Apparentemente l’unico operatore Internet che non aveva interrotto le comunicazioni era la piccola Noor, che peraltro gestisce la borsa egiziana, la quale poteva comunicare con il mondo passando per le dorsali di Telecom Italia.
Ma Venerdi notte anche questa azienda ha interrotto le comunicazioni ed il sito della borsa egiziana (www.egyptse.com) risulta irraggiungibile, come sono irraggiungibili tutti i suoi 4 percorsi differenziati (ho io stesso fatto un test questa mattina mediante un ping e un traceroute).
(nella figura il grafico, realizzato da Renesys, mostra l’interruzione delle comunicazioni in Egitto)
Il governo che ostentava elezioni ma che per trent’anni è rimasto immutato con Mubarak al potere ha deciso le maniere forti anche a costo di un suicidio finanziario. Ma l’interruzione delle comunicazioni che inizialmente attraverso twitter sui telefoni mobili consentì l’organizzazione dei manifestanti non ha fatto altro che intensificare le proteste portando fuori anche quelli che prima erano rimasti a guardare.
BBC informa questa mattina che nella notte il coprifuoco deciso dal governo è stato sfidato, carri armati dell’esercito sono stati assaltati e dati alle fiamme, i palazzi del governo assediati, la protesta estesa a gran parte delle città egiziane.
Mubarak ha promesso una riforma democratica, e stamane la rimozione del primo ministro egiziano, in un precipitare di eventi.
Ma l’Egitto isolato tocca i pensieri degli occidentali, e del resto del mondo (e i loro portafogli).
Il presidente USA Obama interviene stamani con una dichiarazione che rompe le ambiguità pur con tocco diplomatico, sostenendo dapprima i sentimenti degli egiziani, che sono quelli che stanno a cuore a tutti, americani inclusi: pace, libertà, prosperità. Ed invitato il governo egiziano a considerare queste esigenze e rispettare le promesse fatte.
Perché l’Egitto è un luogo chiave per gli USA, e per il mondo intero. Alleato degli USA è la base per le mediazioni in un’area del mondo molto sensibile e soggetta a continue turbolenze, tra mondo arabo e israeliani ma anche tra arabi stessi. Consentendo di essere anche base logistica militare, è un paese che è rimasto freddo nei confronti dell’estremismo islamico. Queste proteste non sembrano indirizzate verso una islamizzazione ma verso una democratizzazione, tuttavia non è da sottovalutare la possibilità di intrusioni di gruppi teocratici che potrebbero dirigere la rivoluzione verso una via iraniana.
L’Egitto è anche un paese che rappresenta un discreto centro economico del medio oriente, ed ha una via di comunicazione chiave per le merci che transitano dall’Asia verso l’Europa e l’America del nord: il canale di Suez.
Dispone di discrete riserve petrolifere, e di minerali. Inoltre è un grosso produttore agricolo per il nordafrica (e quindi consumatore di articoli per l’industria agricola).
E parlando di telecomunicazioni è la via cruciale attraverso cui passa una importante linea a fibre ottiche che connette l’Europa con il medio oriente e l’Asia, che pare non sia stata toccata dai provvedimenti governativi.
Come si comprende l’Egitto non è la Tunisia, e se i disordini spaventano gli investitori, l’isolamento spaventa ancora di più, e le borse mondiali lo hanno mostrato con gli indici in caduta e la crescita del petrolio.
Le telecomunicazioni restano un punto chiave in questa vicenda. Mentre il governo USA avrebbe stanziato US$ 30 milioni nella libertà di comunicare via Internet, essi sono principalmente indirizzati ad aiutare attivisti di tutto il mondo ad aggirare e superare le restrizioni imposte dai governi alle telecomunicazioni, ma più precisamente gli attivisti con i cui paesi gli USA hanno relazioni tese, come l’Iran e la Cina.
Infatti l’Egitto è stato ignorato da questo programma, e il poco che è stato fatto viene tacciato dagli stessi attivisti come una sorta di boomerang per cui potrebbero [gli attivisti] essere identificati dai loro stessi sostenitori o accusati dai loro detrattori di essere considerati come dei burattini nelle mani degli americani, poiché come visto sopra il governo americano ha glissato su molti aspetti della conduzione di Mubarak (come del resto aveva fatto con Saddam Hussein in Iraq, con il governo tunisino, e con gli stessi talebani quando essi combattevano contro il “nemico russo”).
E’ la classica politica “dell’apprendista stregone”, che però i Veneziani dovrebbero non criticare troppo visto che l’avevano praticata per secoli con eguale pragmatismo, dovizia di spie, e macchinazioni ai danni delle varie controparti che entravano nella partita.
L’Egitto è ancora chiuso per rivoluzione in corso, ma già si possono trarre diverse informazioni interessanti.
Claudio G.
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