Relax, non vi parlo del disastro di Fukushima Daiichi. Ieri ho rispolverato un mio vecchio registratore, uno di quegli apparecchi che ai più sembrano desueti, e che in effetti ha i suoi begli anni sulle spalle. Il vecchio Technics-Panasonic RS-741US con bobine da 1/4 di pollice, dopo una ripulita ed una doverosa oliata sembrava splendere come nuovo. Infilata una bobina, il 4 tracce che usavo per registrare gruppi musicali di amici nei primi anni ottanta, è onestamente partito senza fare una piega. La piega l’ho fatta un po’ io nel riascoltare le ancora perfette 4 tracce di flauto, acustica, ritmica e voce di un amico che tristemente ci ha lasciato un anno fa, ma che nel nastro sembrava essere ancora lì, vivo, e pareva surrealmente di essere catapultati indietro di venticinque anni. Insomma la solida macchina, che per certi versi è una sorta di macchina del tempo, con le sue romantiche bobine rotanti, sembrava in perfetta forma. Se non ché, superato il momento dell’emozione, ho iniziato ad ascoltare con attenzione. Il suono caldo che solo queste macchine sanno riprodurre, ha anche un certo fondo di rumore, ed ero curioso di analizzarlo, è stato così che prestando maggiore attenzione laddove vi era il silenzio ho udito l’immancabile ronzio della rete elettrica, ma assieme ad esso l’emergere di mille nuovi rumori. Il gracchiare di un telefonino, un sibilo misterioso, dei toni ritmici che parevano discendere da una nave aliena, parole incomprensibili sussurrate nel brusio di un etere denso di rumori e …radiazioni.
Questa vecchia macchina, curata nei dettagli e dotata di grandissima sensibilità, tuttavia non considerava nel suo progetto l’ipotesi di un ambiente “ostile”. Diversi anni fa le norme europee sulla suscettibilità e la emissione elettromagnetica avevano imposto ai costruttori dei criteri di base per poter mettere in commercio i nuovi apparecchi, norme nate dalla constatazione del continuo innalzamento del livello di rumore elettrico che le tante apparecchiature che ci circondano quotidianamente emettono. Il batticuore di tanti piccoli e grandi dispositivi che si propaga nell’etere, silenzioso ai nostri sensi, ma non meno insidioso, e che questo vecchio apparecchio riesce a captare semplicemente orientandolo, come fosse un’antenna, o semplicemente passando una mano vicino ai sensibili circuiti d’ingresso, non certo dotati di filtri RF come ormai tutti gli apparecchi odierni sono costretti ad impiegare. Eh già, in fondo trentanni fa con solo 2 watt di potenza emessi da una radio trasmittente amatoriale costruita in garage riuscivamo a coprire l’intera vallata e sconfinare addirittura nel fondovalle in confluenza con l’altra grande vallata dell’Agno, dove il nostro segnale se pur debole poteva essere udito ed avevamo anche qualche ascoltatore da quel luogo “lontano” ben 7 kilometri. Oggi con 2 watt non riesci nemmeno a superare 300 metri. Tutto ciò mi richiama alla mente un grande cartello che alcuni hanno affisso ad un traliccio della luce, dice: “No, no no all’elettrodotto!” Quale ingenuità! Nelle case di oggi tra computer, telefonini, televisori, apparecchi per riprodurre, console di gioco, videocamere, fotocamere, forni a micronda, router wi-fi, e tutta l’energia elettromagnetica emessa dalle emittenti radio e soprattutto televisive, dove non solo l’emissione portante (il carrier) ma soprattutto la modulazione ora spesso caratterizzata da transizioni ad onda (quasi) quadra dei segnali digitali estende, con la produzione di armoniche, lo spettro della radiazione elettromagnetica (seppur distribuito in potenza) al punto che ormai siamo avvolti da un continuo rumore elettromagnetico. Così è, e al mio vecchio amico a bobine dovrò fare una protesi con una buona schermatura, e magari l’aggiunta di un filtro RF.
Buona Pasqua a tutti.
Claudio G.
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