Se per la #italianrevolution è possibile mettersi comodi in attesa del prossimo treno, in Spagna le cose si vanno a fare sempre più serie con la sfida da parte del popolo degli “indignados” alle autorità che avevano imposto lo sgombero a partire dalla mezzanotte di ieri, che invece è stata salutata dalla piazza di “porta del sol” in Madrid con un boato di gioia e applausi di una folla che la riempiva all’inverosimile, e con la polizia che saggiamente è rimasta nei suoi ranghi.
Chi volesse può vedere le immagini in diretta su UStream, e seguire i richiami su twitter usando le hash #Indignados, #acampadoviedo ma che sono diventate #democraciarealya (democrazia vera adesso) e sempre più inneggiano a una #spanishrevolution. Ed è così che con la velocità del pensiero e della rete presto si sono accodate #germanrevolution, #europeanrevolution, #catalanrevolution.
Molti parlano che è necessario un cambio della politica vigente, un cambio del sistema. Quale in alternativa non mi è dato di sapere. Ma d’altra parte è sempre così, nelle rivoluzioni (ammesso che questa lo divenga) la massa si accoda, ha speranze ha amarezze e desiderio di cambiare come ingredienti propulsivi, ma non ha idee che solitamente arrivano da piccoli gruppi elitari che hanno capacità di poterle elaborare. Come dire, ad ogni uno il suo mestiere. Il rischio è che in questo marasma si possano insinuare soggetti che di mestiere fanno i guastatori o che semplicemente si dia maggiore risalto a chi la urla più grossa.
Ecco che tali elites si manifestano con articoli come quello apparso su El Confidencial, dove l’economista Luis Garicano suggerisce dei punti, e soprattutto sottilinea di non demonizzare il mercato portando certo dei validi argomenti a suo sostegno.
Perché dal minestrone delle rivendicazioni sono emerse anche alcune tesi quanto meno sconcertanti. Se in alcune di esse si invoca maggiore democrazia, con richiami alla necessità che sia la popolazione a decidere anche su norme internazionali ed europee (e qui un campanello d’allarme dovrebbe suonare nei palazzi di Bruxelles), per altre si cade in argomenti che spesso sono privi di concretezza e sono il frutto di tesi ideologizzate che si scontrano con il senso della ragione o meglio tendono a negare quei principi di libero mercato (come neppure Luis Garciano riesce ad esprimere) che per poter essere applicati negano in una clamorosa contraddizione il diritto di libertà e di espressione dei cittadini tanto invocato nella facoltà di determinazione delle scelte politiche, come se potesse esistere un essere comune che interpreta l’equalità di tutte le persone; cosa palesemente impossibile.
Se di questi temi si discute e si suggerisce nella piazza spagnola, in quella italiana si fa un fritto misto e si assumono interpretazioni molto singolari, come ben riportate in questo articolo da La Voce di Trieste. In esso per la verità pare si menzionino quelle degli Indignados spagnoli, ma avendo udito e letto direttamente alcune di quelle rivendicazioni, mi pare che nella salsa italiana siano state un po’ alterate e indotte ad argomento ancor più fuorvianti e che in pratica si scollano dal sentimento popolare. Guardate questo video di SestinaTv sul tentativo di manifestazione a Milano, e capirete meglio.
Questa è forse una delle ragioni del perché la Italianrevolution può attendere, e forse non si farà mai. Esistono anche altre ragioni. La Italianrevolution è impossibile perché più che di rivoluzione si finirebbe a parlare di guerra civile. Affinché si possano cambiare gli assetti infatti sarebbe necessario che due parti della popolazione si scontrassero su interessi che sono diametralmente opposti, e che vengono mantenuti in piedi a spese del debito pubblico prorogato ai pronipoti.
Il principale problema dell’Italia è infatti la contrapposizione dell’interesse di chi vive a spese di una parte della popolazione, e crede pure di essere importante e produttivo. Esiste in Italia gente che crede che il loro lavoro sia utile e necessario, per esempio inutili agenti per la raccolta di rifiuti che non lavorano per questo e lasciano Napoli sommersa di rifiuti, fatto ancora di attualità benché taciuto dai media italiani. Autisti di politici (ci centinaia di auto di stato in Italia, diverse volte più degli US) e una professione strana che si chiama “portaborse”. E’ stimato che circa il venti per cento della popolazione attiva lavori in entità che sono parassitarie al sistema produttivo. Tutta questa gente, e parliamo di milioni di persone, sono chiaramente in contrasto di interesse con i loro vicini di casa che invece sono anche vessati da un sistema illiberale che è difficile da immaginare per chi vive in US o in Canada. Se le due fazioni possono trovare un punto in comune nell’indignazione per il comportamento dei politici e della corruzione che grava nel paese e che lo ha divorato fino a raggiungere anche le parti che ne erano rimaste relativamente indenni come le Venezie, Friuli e le Valle d’Aosta, e c’è un sentimento trasversale di ribellione su questi temi, la linea del culo viene quando si devono considerare le ragioni che sostengono economicamente questo stato di fatto. Quando avverrà la guerra civile sarà inevitabile. Nel frattempo non attendiamo la #italianrevolution.
Claudio G.
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