di Lodovico Pizzati
Questo Lunedì 8 Agosto alle ore 21 presso la sala parrocchiale a Farra d’Alpago (BL) illustrerò il percorso indipendentista di Veneto Stato. Può sembrare come uno dei tanti incontri che abbiamo fatto in un anno di attività in giro per il Veneto, ma il calibro degli altri relatori che mi accompagneranno fa pensare altrimenti: Giustino Cherubin, Alessio Morosin, Antonio Guadagnini e Gianluca Busato. Infatti la serata di presentazione Lunedì sera a Farra d’Alpago sarà il più importante appuntamento che Veneto Stato ha affrontato finora.
Dai primi mesi dopo la fondazione del 12 Settembre 2010 abbiamo lavorato per raccogliere adesioni e far conoscere non tanto l’obiettivo, ma il percorso. L’obiettivo di completa indipendenza politica è già riassunto nel nome stesso, Veneto Stato, e non ha bisogno di ulteriori aggettivazioni: o piace, o non piace (e alla stragrande maggioranza di veneti piace). Ma è stata la coerenza del nostro percorso, riassunta nei nostri volantini e discussa nelle nostre serate a farci decuplicare come numero di soci iscritti e paganti. Protestare perché il punto A è brutto, o idealizzare i potenziali del punto B proprio non basta. Molti altri movimenti si basano su slogan semplici in protesta del punto A, e a favore del punto B. Veneto Stato è andato oltre esponendo il percorso per lasciare A e arrivare a B. È un percorso coerente, dettagliato, legale, democratico, ma anche ambizioso e difficile da raggiungere perché richiede una massa critica di adesioni. La coerenza e i dettagli hanno prevalso sulle mille difficoltà e hanno convinto molti ad aderire, anche perché viene smascherata l’incoerenza di altre alternative all’interno del contenitore italiano, tipo l’eterno voler ‘negoziare’ per un piatto di autonomie.
Tuttavia Veneto Stato rimane un partito marginale nel panorama politico veneto. In parte è così perché abbiamo ancora tanto lavoro da fare per farci conoscere, ma in buona parte credo sia anche dovuto al fatto che un elettore non vota solo su un punto programmatico o per protesta, anche perché i partiti di protesta sono tanti. A differenza di un referendum, eleggere un rappresentante politico vuol dire affidarle l’amministrazione pubblica e per questo serve riempire di contenuti il nostro programma andando oltre lo slogan Ve-neto Sta-to Indi-pen-dente. L’appuntamento di Lunedì sull’Alpago è importante per questo. Il comune in questione sarà piccolo, ma non ci mettiamo in gioco per il consenso di una frazione dell’elettorato, qui stiamo parlando di convincere della serietà e necessità del nostro percorso la maggioranza di quella comunità per così avere un primo cittadino di Veneto Stato. Questo significherebbe cambiar marcia, e poter mettere in atto il percorso indipendentista referendario con monitoraggio internazionale.
Una volta dimostrata la fattibilità in un singolo comune sono convinto dell’effetto domino per tutti gli altri comuni. Per fare ciò non basta lo slogan di protesta, ma occorre dimostrare il cambio di qualità dal sistema Italia parlando di contenuti.
If you liked my post, feel free to subscribe to my rss feeds
Ho alcune obiezioni a questo articolo.
Nell’articolo leggo: “Solo una classe imprenditoriale fenomenale come quella veneta riesce a sopravvivere con dei costi aziendali il 25% più elevati della concorrenza europea.”
Beh, io potrei dire che di fenomenale c’è la classe dei lavoratori dipendenti che accetta a testa bassa una retribuzione compressa sia dalle tasse, sia da quelle tasse che gli sono occulte (la cosidetta parte datoriale) che è scaricata come impegno sull’impresa, sia per il differenziale, cioè quel 25% che per essere concorrenziali le imprese fanno pagare ai loro lavoratori.
Il guaio di questa storia è che i sindacati, di tutte le sigle, non puntano mai il dito sulla piaga che costringe i lavoratori a simili trattamenti, perché da quella piaga essi stessi traggono nutrimento sia in forma di consenso di spicciola demagogia, sia attraverso la differenziazione tra categorie di lavoratori “privilegiati” e categorie di lavoratori “sfruttati”.
Nell’articolo per parlare di “infrastrutture pubbliche” sono citate le strade (la viabilità) ed anche la connettività Internet e i costi energetici.
Io obietto affermando che se le strade possono appartenere alla sfera del pubblico in quanto giacciono su spazi che sono di tutti, la connettività Internet, a parte la occupazione di spazio pubblico per la posa dei cavi, è praticamente nella totalità gestibile da un soggetto.
Ebbene io critico il fatto che si faccia confusione tra ciò che non può essere individuato come singolo soggetto (sia esso giuridico, es. società, sia esso una persona), e ciò che NON può essere individuato come singolo soggetto, ovvero l’ambito pubblico vero e proprio.
In pratica leggendo l’articolo si evince una sorta di inefficienza nella gestione delle infrastrutture, peraltro lasciando intendere a forme di nazionalizzazione di attività che non hanno certo bisogno di esserlo, quando invece il punto è che non è un problema di inefficienze ma di ruberie legalizzate.
Io credo che non sia l’infrastruttura statale ad essere essenziale per il futuro delle imprese venete, ma anzi una drastica riduzione dell’invadenza dello stato sugli affari dei singoli (imprese incluse).
Ma aggiungo un’ulteriore osservazione.
Andrea Tomat ha fatto una dichiarazione sibillina, dicendo “vogliamo ancora far parte di questo paese” (sic) ha implicitamente lasciato intendere cosa impugnava l’altra mano mentre la prima mostrava il ramoscello d’ulivo della trattativa per una “sostanziale autonomia economica”.
Ecco cosa rischia di diventare Veneto Stato, uno strumento da usare come spauracchio contro la politica romana.
Claudio G.
P.s. A proposito dello “spauracchio”, certo si portà dire megio che niente, ma la cosa dimostra il grado di aspirazione e di volontà di alzare la testa dei Veneti, che sistematicamente si dimostrano essere un popolo di servitori.
a go idea che te me ghe’ comenta’ l’articolo sbalia’ 😀
A parte cuelo condivido le to oservasion, solo che volendo eser concixi tanti conceti no i xe svilupa’ e spiega’ puito. Ma son d’acordo co cuel che te dixi.
Accidenti, si, ma non capisco come sia finito su questo articolo invece che sull’altro!