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INVESTIRE SULL’INFRASTRUTTURA STATALE

di Lodovico Pizzati

Un bravo imprenditore sa pianificare per il futuro. Non basta guadagnare oggi, ma occorre anche investire per il futuro dell’azienda e assicurarsi un benessere continuo. Un investimento consiste nell’impiegare risorse e capitale per migliorare la prestazione della propria attività negli anni a venire. Si può per esempio investire su nuovi macchinari o sulla formazione dei  dipendenti per migliorare la prestazione di questi fattori, per il bene della ditta stessa. C’è però un insieme di altri elementi che incidono sulla prestazione della propria impresa che non sono sotto il diretto controllo del singolo industriale. Dalla viabilità alla connessione internet, dai costi energetici alla prassi burocratica, questa è la componente pubblica in supporto all’attività economica. L’infrastruttura statale altro non è che un servizio che i cittadini e le imprese pagano tramite le tasse allo stato per ricevere indietro quell’indispensabile servizio pubblico. Con l’aumento della competitività globale l’efficenza del servizio statale si fa sempre più essenziale. Le nostre ditte competono con aziende in Austria, in Svizzera, e in Slovenia, paesi che offrono alle proprie imprese un servizio pubblico migliore a minor prezzo, grazie all’inferiore pressione fiscale.

L’infrastruttura pubblica è però un fattore che non è sotto il controllo aziendale, e solo con delle azioni politiche si può pretendere di migliorare questa componente. Per questo il presidente di Confindustria Veneto, Andrea Tomat, lancia un appello al mondo politico locale. Il nostro Veneto paga ogni anno settanta miliardi allo stato italiano, e ne riceve indietro nemmeno tre quarti in forma di servizi pubblici, dalla sanità alle pensioni, dalla difesa all’istruzioni. O paghiamo troppo per il servizio pubblico che riceviamo, o non riceviamo abbastanza infrastruttura statale per permettere alle nostre imprese di competere, non tanto con la Cina e l’India, ma nemmeno con la Carinzia o la Baviera. Solo una classe imprenditoriale fenomenale come quella veneta riesce a sopravvivere con dei costi aziendali il 25% più elevati della concorrenza europea. E la differenza tra tasse e servizio pubblico è decisamente un costo aziendale, ed è quello preponderante.

Tomat non solo sprona i nostri politici veneti a tagliare i costi della politica, ma li invita a negoziare con Roma per ottenere più autonomia. Un businessman esperto sa benissimo che non ci si può presentare al tavolo delle trattative disarmati, se no anziché negoziare si finisce per elemosinare. Non è certo la prima volta che i veneti  riescono a far squadra tentando di farsi valere, e abbiamo visto come Antonio Guadagnini riuscì a coinvolgere 400 sindaci veneti per richiedere solo quel minimo per ripristinare le casse comunali ai livelli degli anni ’80. Come qualche anno fa con i sindaci per il 20%, anche oggi qualsiasi tentativo di negoziare senza alternative credibili sarà deludente. Non ci sarà mai alcuna trattativa proficua con Roma se la nostra classe politica e la nostra classe imprenditoriale non si munisce di un’alternativa coerente. Se paghiamo per un servizio, e tale servizio non ci viene dato, non siamo obbligati a continuare a comprare quel servizio. Negli affari non funziona così, e non funziona così neanche in politica in altri paesi d’Europa. L’alternativa politica, democratica e legale secondo diritto internazionale esiste, basta solo avere, non il coraggio, ma la saggezza di farla valere. L’infrastruttura statale è essenziale per il futuro delle nostre imprese e della nostra economia, e sta alla nostra classe imprenditoriale investire non tanto capitale, ma risorse e volontà per sostenere l’unica alternativa concreta al tavolo delle trattative.

Veneto Stato.

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