Nel suo articolo “Quanto vale la caccia all’evasione” (Gazzettino del 3 settembre 2011), in riferimento alla possibilità dei comuni di incamerare fino al 100% dei tributi evasi, da loro stessi scoperti, Vespa ad un certo punto afferma: “poiché è la fame che muove il cacciatore (cioè i comuni stessi ndr), vuol dire che i tagli ai servizi locali sono serviti a qualcosa”.
Non vediamo l’ora di assistere alla caccia grossa in certi comuni “mafiosizzati” del nostro mezzogiorno! Ma temiamo che la preda si papperà il cacciatore.
Ironia a parte, ricordiamo sommessamente che l’invidia sociale, il clima di sospetto, l’oppressione fiscale, sono tipici di uno stato autoritario e illiberale, quale purtroppo sembra diventare ogni giorno di più questa repubblica delle banane.
La metafora “venatoria” del Bruno nazionale ci è però stilisticamente piaciuta e ne traiamo spunto per proporne un’altra sotto forma di favola che narra di uno splendido esemplare di leone alato e della sua amicizia con un gruppo di uomini pacifici ed operosi. L’incontro tra queste creature così diverse si verificò parecchi secoli or sono e da allora uomini e leone hanno sempre vissuto assieme. Quell’animale maestoso era accudito e rispettato. Ed in cambio garantiva agli uomini protezione e prosperità. Poi un giorno accadde un fatto. Un parassita, un vermiciattolo brutto e peloso, si attaccò al collo della bestia, nascondendosi tra i peli della criniera. Il leone non se ne rese conto, e nemmeno gli uomini, tanto era insignificante e minuscolo quel verme. Ma quello giorno dopo giorno, cresceva, cresceva, nutrendosi del sangue del leone. Questo continuo salasso non poteva non avere conseguenze. E infatti il leone si sentiva più debole, più stanco e non capiva perché. Allora chiamò gli uomini in aiuto: questi accorsero e finalmente videro! Al collo del leone era appesa una creatura rivoltante. Un verme grasso, lungo e nero, con dieci bocche e con uno stomaco enorme. Capirono subito che il loro amico era in serio pericolo. Avvicinarono l’essere orribile e tentarono di convincerlo a lasciar stare il leone. Ma quello non volle sentir ragioni. Anzi succhiò ancor più voracemente.
Ma così uccidi il nostro amico! – gridarono gli uomini.-
Non m’importa! – rispose lui.
Ma sei così ottuso? Se lo uccidi, muori anche tu!
Non m’importa! – fece lui ancora.
Bene, a questo punto della storia, entriamo purtroppo nel triste presente. Noi donne e uomini veneti, che abbiamo a cuore e nel cuore quel leone, abbiamo capito che c’è un solo modo per salvare il nostro amico. Staccargli di dosso il parassita.
Cominceremo la cura ad Arzignano, sabato 10 settembre 2011.
Il leone ha bisogno di noi. Ci saremo.
Gianfranco Favaro
Veneto Stato – Quinto di Treviso
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