I divoratori di PLUSvalore e la soluzione
Nel Veneto manifatturiero, attuale colonia dell’Italia, tutti coloro che sono impegnati nella produzione del valore, nella trasformazione di materie prime assemblate e lavorate in prodotto finito da vendere ed esportare coincidono con le classi sfruttate, assieme.
Gli sfruttatori stanno dall’altra parte.
Gli imprenditori non detengono più o quasi capitali, se non in quantità minimale, sono oggi tutti quei titolari di piccole e medie imprese cosiddette sottocapitalizzate.
Il capitale è detenuto da alcune grosse banche nazionali e da altri veri sfruttatori.
E’ un male della nostra regione si dice, è uno stato inevitabile del sistema, io dico, in quanto in tutti i paesi del mondo i venture capitalist affidano agli imprenditori il compito di far fruttare il capitale in una impresa, in Italia invece i detentori del capitale coincidono con alcune classi protette, la grande impresa del grande capitalismo famigliare che poi controlla anche l’informazione essendo proprietaria delle testate e di tasse ne paga poche, ma le decide per gli altri, e gli altri noti poteri forti. Una sorta di aristo-oligarchia.
La produzione di plusvalore oggi si divede a metà tra l’operaio e il proprio padrone – ora chiamato imprenditore, ex ricchi e da sempre poveri, tutti insieme appassionatamente: artigiani piccoli industriali insieme ai loro dipendenti nonché il relativo indotto dei colletti bianchi, dei quadri ed il relativo terziario che serve a far funzionare la macchina della produzione, ovvero i vari professionisti, i detentori di partita IVA, ed i commercianti, tutti uniti e tutti sfruttati.
La produzione di plusvalore quindi persiste. Ma ora detto plusvalore finisce nelle tasche delle banche, i capitalisti attuali e delle grandi e poche imprese dal grande capitalismo famigliare che tutto controllano .
Costoro non hanno nessun interesse che cambi questo status quo, e ciò vale anche per le classi dei mantenuti vari che sono tutti gli altri che non sono impegnati nella produzione, direttamente od indirettamente, ovvero le altre “caste” protette .
Il prelievo del plusvalore avviene mediante una tassazione abnorme ed assassina che nulla lascia o quasi nelle tasche degli imprenditori e dei loro operai e impiegati che fanno parte della macchina della produzione, condita dalla carenza di servizi che devono quindi essere pagati una seconda volta.
Il contorno è una burocrazia asfissiante che amalgama e rallenta in questa gelatina informe ed appiccicosa qualsiasi innovazione e cambiamento, parole vietate in questo stato chiamato Italia.
In questo modello l’imprenditore resta perennemente sotto-capitalizzato, in quanto la sua impresa naviga perennemente sul “filo del rasoio”, senza utili particolari post-imposte che possano comportare in un certo numero di anni la creazione di capitale di “ sgancio” dal meccanismo di schiavitù di pagare mutui leasing ed operai. Se invece esiste un piccolo capitale, questo viene lentamente ma inesorabilmente eroso, riducendo la propria capacità e libertà di fare impresa.
Per mantenere tutto immutato le caste protette alimentano la visione e la contrapposizione effimera ed artificiosa di destra-sinistra, oggi superate, e lo stato “emozionale” ( cit. L. Schenato).
Usano la persuasione della retorica (cit. C. Michelstaedter) che al travaglio dell’intelligenza preferisce i tortuosi percorsi dell’apparenza. La retorica come arte del sedurre e convincere più che il pensiero finalizzato alla verità.
La “teatrinocrazia” televisiva, il dominio della chiacchera sul pensiero (cit. Neil Postman).
Nelle more sistemiche ci troviamo di fronte ad un vero problema sociale, di imprenditori che lavorano 12 ore al giorno senza avere guadagni corrispondenti all’impegno ed al rischio, e la classe operaia sfruttata con stipendi inferiori alla media europea,entrambi vanamente impegnati nella ORAMAI impossibile impresa di salvare la propria azienda dalle fameliche fauci dei divoratori di “plusvalore”.
Chi può fugge e delocalizza, chi se ne accorge chiude precipitosamente, chi resta agonizza, altri falliscono.
Nessuna nuova attività può oggi essere avviata, al massimo si possono faticosamente e penosamente mantenere le posizioni, senza certezze, senza futuro.
Le imprese venete, sono come delle scatole, ignorando le storie personali e le persone in esse contenute si prendono, si usano, si buttano. Sono diventate delle entità monouso, -usa e getta-.
Fuori dal gioco una massa di benpensanti e moralisti, ognuno con la propria ricetta per sconfiggere la crisi, ma certamente senza aver mai visto una fabbrica, indossato un casco antinfortunistico, risolto un problema, gestita un’emergenza. Costoro stanno al caldo d’inverno, al fresco d’estate, ma incurante l’orda, la fiera, puntualmente si presenta famelica a reclamare la propria grassa dose di “plusvalore”, e chi non è d’accordo con loro diventa un evasore fiscale da mandare alla gogna, da torchiare da uccidere.
La divisione del plusvalore è cominciata ieri, persiste oggi e viene pianificata già per il domani. Paradossalmente si litiga non sulle risolse attuali ma su quelle ancora da produrre, semmai ce ne saranno.
Alla luce di ciò non si capisce dove stia oggi la destra o la sinistra e se ancora si possa fare questa classificazione .
Cos’altro non sono se non buccie e residui di vecchie ideologie, frammenti che galleggiano nel magma di un liberismo piu’ o meno zuccherato con zaffate di welfare.(Cit. M Veneziani) .
Questa è una società fragile che non pianifica il futuro, non si interessa dell’avvenire, ma investe la propria massima attenzione per escogitare soluzioni non strutturali nel cieco presente, potenti analgesici per traghettarsi la sedia del potere da una tornata elettorale all’altra e lenire la condizione del momento.
Una esistenza multiforme, fluttuante (cit. Sigmund Barman) che ci porta ogni 2-3 anni come degli ipocondriaci a cambiare la fonte dei nostri problemi e ad ingurgitare un successivo anestetico.
Analgesici economici per coprire provvisoriamente i buchi (Tremonti ed il rientro dei capitali), analgesici emozionali per illuderci ancora un po’ di poterne venir fuori (la Lega ed il federalismo ).
Nel frattempo gli eventi ci capitano e viviamo nella eventualità, non riusciamo a pianificare un progetto imprenditoriale e di vita perché la diade ottimismo e pessimismo ha un’incidenza forte nei processi politici finanziari e sociali. (cit. Veneziani).
Basta una nuova bomba da qualche parte e le borse crollano, la disoccupazione sale, la fiducia scende, l’azienda chiude.
Senza risorse non ci sono strategie possibili, senza il tempo rubato dal produrre non ci sono sviluppi di idee per il futuro.
Qualcuno si culla ancora nell’illusione che l’Italia sia riformabile e che con questi divoratori si possa trattare: peccato che siano equamente distribuiti sia che governi il centro destra che il centro sinistra.
No. Qui si deve riscrivere tutto, trovare una nuova via, se non la terza una quarta.
Cosa ci serve ? Non un certo fanatismo, non certo il cinismo, non il paradiso in terra, che non esiste, non il mondo nuovo dell’uomo nuovo dell’ordine nuovo.
Non ci resta che l’indipendenza, essa è la chiave per spezzare questo meccanismo, l’idea progenitrice che costituirà la
nostra nuova forza elettromotrice.
Non è un’utopia e nemmeno una scorciatoia quindi, ma un laboratorio di opportunità, una piattaforma di certezza.
Se non la facciamo velocemente, tutto il tessuto produttivo veneto morirà in pochi anni.
Gianluca Panto
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AREO INSEMENIO ! VA IN CUEO DE TO MAR!