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L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ

di Alessio Morosin

Mi viene chiesto un “parere” su “crisi finanziaria” e “sviluppo etico”, ma data la complessità e delicatezza dell’argomento posto in dibattito, mi limito a qualche semplice annotazione e riflessione con attenzione soprattutto ai profili etici che, in generale, devono interessare ogni cittadino ed in particolare quei cittadini che sono chiamati o si propongono alla gestione della res publica.

1. PREMESSA.

L’appello all’etica nei comportamenti economici, finanziari, politici, sociali, etc. è sempre più forte, ma non è ancora sentito come dovrebbe essere, ovvero un imperativo morale naturale.
Le molte emergenze sociali, politiche, economiche che il mondo “glo-cale“ ha portato alla ribalta negli ultimi lustri ci trovano spesso impreparati perché non abbiamo né un robusto supporto culturale, né la conoscenza dei nuovi strumenti istituzionali da approntare ed ideare per gestire le nuove realtà.
La globalizzazione dei sistemi relazionali e produttivi -ma non solo- ha trovato tutti (istituzioni e cittadini) gravemente in ritardo ed impreparati all’emergenza. Da un lato (guardando ai fatti) si è constatato che sono saltate sia le tradizionali frontiere statuali sia i molti meccanismi di regolazione delle transazioni e degli scambi e, dall’altro (guardando alle cause), si è constatata sia la mancanza di regole comuni, ovvero di regole di “etica sociale” tout court, sia di un’etica che ponga sempre al centro e prima di ogni altra cosa “la persona”.

2. QUALCHE INTERROGATIVO E QUALCHE RIFLESSIONE PRELIMINARE.

Ma cos’è l’etica?
E ancora, perché sentiamo sempre di più il bisogno di esigere che i comportamenti delle persone -nel privato come nel pubblico- siano ispirati all’etica?
Innanzitutto, l’etica non è altro che un comportamento auspicato, cioè un comportamento che dovrebbe essere sentito spontaneamente nella coscienza di tutti e, quindi, essenzialmente un costume morale nel senso alto e nobile del termine, ovvero legato al valore delle norme morali naturali che vedono l’essere umano, le persone al centro e prima di ogni altra cosa.
Se questa è la concezione dell’etica, è di tutta evidenza ed immediatezza che si deve collegare (direi quasi sposare) subito il concetto dell’ “etica” col concetto della “responsabilità” perché parlare di “etica”, senza gravare di “responsabilità” il relativo concetto, si fa mera astrazione dialettica.
Invero l’etica è una vera e propria esigenza morale di tenere –nei fatti– comportamenti e relazioni che valorizzano –concretamente– l’affermazione del principio enunciato.
Ribadisco: bisogna stare attenti a distinguere ciò che è etichettato come etico da ciò che è realmente attuazione concreta dei principi dell’etica delle responsabilità.
Nel mondo ci sono enti e corsi di “business ethics”, iniziative di “finanza etica”, e perfino “certificazioni etiche”, ma già appare evidente che dell’aggettivo “etico” vi è spesso un uso distorto ed improprio tanto da confondere i soggetti meno attenti e meno difesi.
E allora non basta compiacersi di sentire parlare o enunciare comportamenti etici, ma occorre in concreto verificare ed accertare che tra le enunciazioni e le condotte reali non vi sia contraddizione!

3. L’ETICA TRA INTERESSE PERSONALE ED INTERESSE COMUNE.

Per parlare di etica nell’economia non è necessario partire dall’enciclica papale “Caritas in veritate” del 29.06.09 perché in quel documento Benedetto XVI tratta dell’etica sociale in continua interazione con la visione teologica della dottrina della chiesa.
L’argomentazione del papa è certamente di altissimo profilo, da me apprezzata, studiata e rispettata, ma non per questo ritenuta culturalmente concludente almeno con riguardo all’esigenza di introdurre e pretendere condotte etiche nelle persone chiamate alla gestione della res publica ed al governo della polis.
Invero, gli stessi studiosi che hanno successivamente commentato l’enciclica hanno evidenziato che “Il vero tema dell’enciclica è il posto di Dio nel mondo” (Mons. Crepaldi, già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace) e “L’accento è non solo etico ma anche teologico” (Padre Edouard Herr s.i., professore nell’Istituto di Studi teologici di Bruxelles).
Insomma, l’argomento dell’etica e, come piace a me, dell’etica della responsabilità non è appannaggio della chiesa -la cui dottrina sociale offre senz’altro un rilevante contributo al dibattito- ma è -e deve essere- un argomento laico sentito soprattutto dal mondo secolare e da ogni individuo partecipe nella/della vita del mondo in tutte le sue manifestazioni e relazioni, siano esse private (volte alla soddisfazione del bene ed interesse personale), siano esse pubbliche (volte alla soddisfazione del bene ed interesse comune).
Ovvio che non basta una “certificazione etica” per ritenere soddisfatto il principio, così come non basta dare formale osservanza alle norme di un ordinamento positivo (la legge) atteso che non sempre (rectius: sempre meno) le norme di diritto positivo sono coerenti e compatibili con le norme dell’etica naturale.
E questo, da solo, è l’argomento che mi piacerebbe approfondire in altra occasione perché in esso si cela il segreto del concetto di “Giustizia”, concetto e valore che non può essere custodito e difeso dalla sola norma di diritto positivo.
Un grande giurista (Smith) diceva, infatti, che bisogna amare il Diritto e la Giustizia e diffidare della Legge! Egli enunciava, forse inconsapevolmente, un necessario, auspicato bisogno etico della giustizia. Ma ne riparleremo.
Ergo, un comportamento etico, coerente e responsabile, non sarà mai confliggente (perché ontologicamente non lo può essere!) con le norme morali naturali, ovvero quelle norme che vedono la Persona prima dell’Ente o Istituzione (Stato, Organismi economici, Governi, etc.) ai quali quella persona appartiene, mentre può esserlo (e spesso lo è) con le norme di diritto positivo.
Questo è però un grave busillis ed è la ragione per la quale non siamo ancora attrezzati, né culturalmente né organizzativamente, nel privato come nel pubblico, a difenderci dalla crescente onda speculativa (e, quindi, non etica ma tollerata o addirittura favorita dalla legge), onda che tanto a livello globale quanto a livello locale affligge l’Umanità in particolare nel campo dell’economia della finanza, della gestione delle risorse non rinnovabili, della politica, etc..

4. QUALCHE IDEA/PROPOSTA CON RIGUARDO ALL’ETICA NELLA GESTIONE DELLA POLIS.

Come prima proposta bisogna convincersi della necessità di darci nuove regole a livello mondiale e, da subito, elevare a fonti primarie regolatrici dei rapporti interpersonali ed interstatuali i principi del diritto naturale (principi in gran parte già enunciati nella Carta dell’ONU ma disapplicati) considerandoli direttamente operativi e prevalenti (ma poi anche difendibili concretamente!) sul diritto positivo interno dei singoli ordinamenti sovrani. In tal modo si può sanare la mancanza ed il vuoto del “precetto etico” e della relativa “sanzione concreta, mancanze che favoriscono vere e proprie azioni di pirateria e depredazione di risorse fondamentali (acqua, energia, materie prime in genere, etc.) sulla scena della operatività finanziaria internazionale, ma anche azioni di depredazione di spazi di libertà politica, di riduzione della partecipazione democratica alla vita della polis, di impedimento all’esercizio del diritto di autodeterminazione dei popoli (artt. 1 comma 2° e 55 Carta dell’ONU). Quest’ultimo argomento che mi sta molto a cuore è quello che riguarda le molte “realtà/Nazioni” che sono ostacolate nel diventare “realtà/Stato”.
Sul tema ho richiamato in un mio recente scritto “L’Italia è fallita” (Press News Veneto) il pensiero esposto davanti all’Assemblea ONU dal Papa Giovanni Paolo II il 05.10.1995 allorché, dopo aver detto che: <<il concetto di “Nazione” non si identifica a priori e necessariamente con lo Stato>>, concluse: “Nessuno, dunque, né uno Stato, né un’Organizzazione internazionale è mai legittimato a ritenere che una singola Nazione non sia degna di esistere”. .
Attenzione dunque: una società organizzata in struttura statuale è indispensabile, ma non è eticamente tollerabile che singole realtà statuali inglobanti al loro interno distinte realtà/Nazioni impediscano a queste ultime di darsi autonoma organizzazione sovrana ed indipendente. Per esempio, le ragioni del progetto indipendentista di un Veneto Stato sovrano di cui io sono uno dei fondatori, sono ragioni che trovano la loro forza nel diritto naturale (e quindi pre-costituzionale) dei popoli, circostanza che legittima l’esercizio pacifico, elettorale, democratico del relativo diritto di autodeterminazione.
L’argomento diventa finanche suggestivo se si pensa che gli stati storici, o risorgimentali (vedi l’Italia) ormai gestiscono solo l’ordinaria amministrazione ed impegnano molte delle loro energie solo per difendere il loro superato status quo, soffocando le nuove esigenze e le spinte di libertà economiche, di iniziativa e le vivacità anche delle nuove proposte etiche della società civile e dei corpi intermedi attivi al loro interno, più sensibili alle emergenze della globalizzazione la quale va meglio affrontata superando le rigidità degli schemi e dei confini del passato. Vanno quindi subito valorizzate le specificità identitarie, con le relative responsabilità, consentendo per esempio al Popolo Veneto di ritornare alla sua preziosa esperienza storica istituzionale di pieno esercizio della sovranità statuale.
In sostanza bisogna lavorare per costruire modelli nuovi anche degli Stati (che non a caso alla fine della II guerra mondiale erano 67 ed oggi sono quasi 200) e lavorare per progetti che migliorano la vita di tutti spostando la competizione su un campo nuovo e più partecipato da tutti, rompendo gli schemi dei vecchi poteri costituiti e delle lobbies di pochi speculatori (meglio organizzate e difficilmente vincibili all’interno dei vecchi e grandi Stati storici) che, mirando solo a perpetuarsi, sono de facto nemici dell’etica delle responsabilità e del futuro dell’Umanità.
Il glo-cale trova energia e linfa soprattutto se si procede alla destrutturazione degli Stati centralisti e si da vita a entità organizzate locali più agili, più vicine all’interesse delle persone e, quindi, più disponibili a condividere un nuovo progetto globale improntato sull’etica della responsabilità.
Solo così passiamo sognare e raggiungere nuovi orizzonti ove al centro delle transazioni politico/istituzionali/organizzative/economiche/finanziarie etc. vi è sempre e prima di tutto la persona con il valore che il diritto naturale le riconosce.

5. CONCLUSIONI.

Abbiamo tutti l’obbligo civico e morale di adoperarci per riprogettare il nostro futuro, dando rilancio e vitalità al dibattito sul tema etico ed in ispecie dell’etica della responsabilità, ma soprattutto dando spinta ad iniziative di nuova regolamentazione e serio controllo dei contesti decisionali nei campi economico/commerciali/finanziari/di comunicazione/fiscali/politico-istituzionali/internazionali e interni ai singoli ordinamenti per sottrarli alle scorribande di pochi spietati speculatori e delle loro fortissime lobbies che dell’etica non hanno alcun riguardo.
E’ vero che questi contesti non sono e non saranno mai eticamente neutrali, ma nemmeno potranno continuare a sfuggire totalmente alla necessità di ripensare la vita del mondo entro nuovi schemi etici equilibrati e vincolanti nel rispetto delle identità delle persone e dei popoli. Le poche regole di garanzia etica, tuttavia, saranno efficaci solo se saranno considerate diritto naturale cogente. Nessuno confonda però l’esigenza di condotte ispirate e sviluppate nel rispetto dell’etica della responsabilità con i progetti di “Stati etici” nel senso hegeliano del termine, qui perentoriamente ripudiato e contrastato per il semplice motivo che prima viene la Persona e poi lo Stato. Ma questo è un altro grande argomento da trattare allorché si discute della forma degli Stati.
Il segreto sta nell’esigere condotte ispirate all’etica della responsabilità in ogni campo decisionale e nel porre sempre la Persona al centro di ogni decisione locale o globale.

Noale/Venezia, 25 agosto 2011

Alessio Morosin

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