Gli artefici dell’unità di ITA e i patrioti della Venetia attuale
di Paolo Luca Bernardini
Inevitabilmente, sia perché di professione sono (soprattutto) uno storico, sia perché sto dedicando un corso alla Venetia dai Veneti antichi, anzi dagli Euganei, ad oggi, mi propongo il paragone tra coloro che dalla fine del Settecento combatterono per liberare l’Italia dall’oppressione straniera, e noi che con le nostre forze in continua crescita riporteremo la Venetia, ovvero, per ora, il Veneto, alla sua originaria indipendenza.
Ora, quanto, generalmente, non fanno i libri di storia, almeno quelli più popolari, è di distinguere tra due momenti fondamentali, nel processo cosiddetto, malamente, “risorgimentale”. Una cosa è voler liberare il proprio Stato, ovvero soprattutto la propria terra, le proprie case e i propri campi, le proprie chiese e le proprie piazze, i propri mercati e i propri camposanti, dal dominio straniero. Questo è pienamente legittimo ed è quello che anche noi stiamo facendo.
Un’altra cosa è auspicare il passaggio da un dominio straniero ad un altro dominio straniero, o, cosa ancora peggiore, ad un dominio che faccia più o meno abilmente credere che si tratti della “patria di tutti”, quando, a ben vedere, non lo è di nessuno, o forse solo di una dinastia imbastardita dai compromessi, che per passare alla conquista di territori affatto alieni e lontani perfino geograficamente dai propri, non ha esitato a disfarsi del proprio territorio originario, la Savoia, ma già mezzo secolo prima di Nizza.
Rendo omaggio a tutti coloro che morirono nelle carceri o davanti ai plotoni di esecuzione austriaci, che furono impiccati e torturati, per la loro sacrosanta sete di libertà. Ma non è certo quello che tali patrioti auspicavano, il mostriciattolo nato nel 1861, che non era neppur quello che la mamma Francia e il papà Cavour avevano previsto nella loro prima notte di nozze termale, in quel di Plombières, dove si parlava ancora, e neanche del tutto a vanvera, di un’Italia tripartita, con una sorta di Padania al Nord, sabauda, una mostruosa terra di mezzo da affidare forse addirittura ai Lorena, se non a Gerolamo Pon-Pon Bonaparte (oddio, che brutte le stirpi dei tiranni, anche e proprio nella loro deformità mettono alla luce i mostri che covavano nello spirito dei loro progenitori), e un Sud forse borbonico, come prima. Avevano concepito tale bimbetto già abbastanza mostruoso, ma poi quel che venne fuori, del tutto casualmente, ma forse programmato in segreto da papà Camillo, e ancor prima di Plombières, superò ogni aspettativa in fatto di teratologia.
Occorre dunque fermamente distinguere tra la sete di libertà di chi morì per una giusta causa, e la “cosa” che venne fuori dopo, e che molti, troppi, forse compreso lo stesso Garibaldi, dovettero accettare, en faute de mieux. D’altra parte acquista un significato simbolico, proprio nei confronti di Garibaldi, il fatto che un ministro siciliano ma da subito capace di fiutare tutto il grasso che sarebbe colato dal porco ITA proprio perché era una finzione trasformata in realtà, come Crispi, non ne rispettasse neanche le ultime volontà. Garibaldi da buon massone voleva essere cremato, invece Crispi lo fece imbalsamare, un’altra “mummia della Repubblica” come Mazzini. A Caprera il faraone Garibaldi – in fondo sempre in mezzo a simboli massonici siamo – giace ancora forse non putrefatto, dico forse perché il Duce mandò una spedizione ad aprire l’avello, verificare lo stato di conservazione dell’Eroe, e richiuderlo. Non credo che lo abbiano richiuso con tutti gli accorgimenti pneumatici del caso, per cui temo per la sorte della Mummia. Ma va beh. A Caprera canteranno tutti Umberto Tozzi: “Nell’aria c’è polline di te…”
L’ITA che nacque nel 1861 era ed è una costruzione del tutto artificiale. A questo punto, senza una base storica, se non quella inventata della lingua e quella alterata della geografia, il tricolore, che se fosse una bandiera veramente straniera (ma non è neanche quello) genererebbe odio, e non disgusto, è diventata la maschera dietro la quale, dal 1861, si sono nascosti tutti i volti più terribili. Di papponi e lenoni, assassini e ladri, voltagabbana e codardi, mestatori e mistagoghi, sicofanti e sicari, malversatori e mappine, tanto più protervi quanto più consapevoli che sedendo sui banchi di un parlamento prima torinese, poi fiorentino, e poi romano, nell’abile gioco di creare un’ITA per tutti quando non era di nessuno, tradivano le loro genti, le loro terre, le loro lingue: che invece di tradizione ne avevano e ne hanno da vendere. Insomma, all’ombra del tricolore fiutavano gli affari, ed infatti il parlamento italiano dei suoi inizi è perfino più corrotto di questo, il che è tutto dire. Per generazioni di politici è stato semplice arricchirsi dietro una finzione, tre colori scialbi che pian piano hanno assunto il loro significato primario, il rosso della vergogna e il verde dell’invidia, e il bianco della morte.
Della morte inutile dei patrioti che volevano liberare le loro terre, ma non creare ITA, della morte di bianchi e neri nelle sciagurate imprese coloniali, della morte dei migranti e dei loro villaggi ora deserti, ridotti ad un puro nome; della morte di 600.000 bambini nella I guerra mondiale, e di molti di più nella II, con due bei tradimenti consumati nei confronti dello stesso alleato, nell’arco di meno di vent’anni. Essendo nulla, il tricolore ha continuato ad alimentare la grassazione del popolo, da parte di pochi per di più dal popolo eletti, fino ad ora.
Paradossalmente, nel momento in cui si è voluto ancorarlo ad alcune regole, una costituzione, dei codici civili e penali moderni, i tenutari del bordello romano hanno fatto a gara, parlamento dopo parlamento, governo dopo governo, per violarle. Ben lungi da lodare la Costituzione del 1948, ma certamente essa ha posto un freno a quello che sarebbe stato un arbitrio ancora più osceno di quello che stiamo osservando da anni. In un documento tipico di uno stato centralista ed accentratore, vi sono elementi non corrivi che lasciano intendere che nella mente di molti costituenti fosse ben chiara la differenza tra i popoli e le terre del mosaico ITA; si può definire (e per certi aspetti lo è) un abominio il concetto stesso di “regione autonoma a statuto speciale”, ma di fatto è un riconoscimento di un’alterità, miserabile se comparato alla nostra idea di Venetia libera, ma non assente. Le regioni sono finzioni, certamente, quasi tutte, anzi tutte escluso le isole, innaturali e antistoriche. Ma già il fatto che la loro attuazione avvenisse solo nel 1970, 22 anni dopo l’entrata in vigore della costituzione (!) la dice lunga.
Paradossalmente, è più storico il Veneto e la Lombardia e la Liguria della Costituzione ITALIANA che non la Padania LEGHISTA, l’ultima invenzione delle truppe scelte dei traditori, perché le cose rimangano come sono.
La Costituzione è un esempio tremendo: la banda di malfattori che regge da sempre ITA viene scossa da una dittatura terribile e una guerra civile: allora, in uno stato di emergenza, si affida ai costituenti, che del tutto malfattori non sono, anzi la maggioranza purtroppo è di persone oneste. Tragedia: viene fuori un documento pieno sì di bachi (si può alzare ad libitum la tassazione e questo non può essere oggetto di referendum abrogativo), ma che dà regole precise ed in alcuni casi giuste: e allora del documento facciamo scempio, dice la banda di ladri, siamo o non siamo la banda bassotti? E Topolino? E Topolino è un uomo che non si ricorda di quando lodava le stragi dei sovietici ai danni degli ungheresi nel 1956, e che, timoroso di tutto come tutti i veri esaltatori dei crimini altrui, ignora anch’egli la Costituzione. Non avrebbe già dovuto sciogliere le camere dinanzi allo spettacolo che gli propinano ogni giorno, un film di ladri e guardie che si scambiano ad ogni momento i ruoli, e dove Alvaro Vitali interpreta personaggi di volta in volta adatti a Rocco Siffredi o a Charles Bronson?
Noi che ci accingiamo a ridare vita ad una indipendenza soffocata a due secoli, ma che ne durò almeno 11, senza contare il millennio preromano di Euganei e Veneti antichi, dobbiamo aver presente che vi sono simboli che bisogna rispettare, perché non sono vuoti e fatui come il tricolore, deprivato perfino dell’insegna sabauda – ridotto ad una vera maschera per volti deturpati dal vaiolo del vizio e della corruzione – perché tali simboli sono stati il vessillo di un popolo per un millennio. Incarnavano giustizia, libertà, fermezza, sicurezza. Sono molto più grandi di noi.
Il Leone di San Marco non sarà una maschera dietro la quale opereranno malfattori. Noi non abbiamo nessuna tradizione da inventare, dobbiamo solo essere, e non è cosa facile, all’altezza di una tradizione che c’è già. Eccome.
Paolo L. Bernardini
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