Nascondere il fallimento storico dell’Italia è una bestemmia in Chiesa
Ho aspettato qualche giorno che prendesse una qualche forma il nuovo incubatore politico di Oscar Giannino, Michele Boldrin e altri, più per rispetto per il secondo che per fiducia nel primo, prima di dire la mia, per quel poco che può valere.
E dato che in politica la sintesi è regina, anticipo subito che la proposta a parer mio è una delusione, un’enorme delusione, seppure non una sorpresa.
La delusione non viene dalla diagnosi, ampiamente condivisibile, che così le cose non possono andare avanti. E vorrei ben vedere, se valutiamo che l’impatto dell’attuale crisi è pari a quello di una guerra, almeno a giudicare dall’allargarsi della trasformazione delle nostre aree industriali in autentici e scioccanti cimiteri industriali.
No, la delusione viene dalla terapia proposta. O meglio, dall’accanimento teraupetico. Posso capire che nel corso della propria vita vi siano degli innamoramenti infantili o adolescenziali che in taluni intellettuali divengono dei dogmi di fede. Ma oggi voler nascondere il fallimento storico dell’Italia è una bestemmia in Chiesa.
E continuare a proporre salassi al suo corpo morto è ancor prima che uno sforzo vano, un’autentica perdita di tempo come ben afferma Luca Schenato, con la sua consueta lucidità.
Ho letto le proposte di FiD (Fermare il Declino) e mi paiono una riproposizione, pur argomentata con ben altro spessore, della rivoluzione berlusconiana del 1994. Ben sapendo che hanno altro da fare che leggermi, se potessi farmi ascoltare da loro, rivolgerei una domanda a Giannino e a Boldrin. Chiederei loro ciò che Stalin chiese al Papa: quante divisioni avete per attuare la vostra ricetta?
Oppure, se non ne avete, pensate anche voi di continuare a fare affidamento sui peggiori e più infidi alleati che possiate mai trovare nel vostro cammino, ovvero gli esponenti dal capitale italiano, drogato di assistenzialismo e di politica statalista, da Montezemolo alla Marcegaglia?
È illuminante e per molti aspetti condivisibile anche la sintesi espressa oggi da Linkiesta: in Veneto il vuoto politico (e io aggiungo anche intellettuale) è enorme e ben lontano dall’essere riempito.
In questo panorama credo che l’unico pensiero cui fare affidamento sia quello espresso da un altro economista italiano, Alberto Alesina. Finora la sua è l’unica terapia sensata che mi pare provenire dal mondo accademico, applicabile al caso Veneto e anche all’Italia: Economic Integration and Political Disintegration, per usare il titolo di un suo intervento scritto assieme ad Enrico Spolaore e Romain Wacziarg.
Che in altre parole – quelle che ci riguardano – si traduce nell’unica autentica e legittima alternativa al declino italiano, ovvero l’Indipendenza Veneta.
Gianluca Busato
Indipendenza Veneta
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