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Pizzati (Indipendenza Veneta): “Zaia sara’ il primo presidente della nuova Repubblica Veneta”

Referendum per l’Indipendenza Veneta: Zaia dice sì, la palla ora passa al consiglio regionale

Fonte: Indipendenza Veneta

Si preannuncia un autunno molto caldo della politica veneta, almeno a giudicare dai movimenti di rilevanza istituzionale che hanno interessato la regione Veneto in agosto. Come noto, una delegazione di Indipendenza Veneta guidata dal segretario Lodovico Pizzati lo scorso 22 maggio ha presentato direttamente nelle mani del governatore del Veneto una petizione popolare per indire un referendum per l’indipendenza veneta, supportata da 20.000 firme di cittadini veneti che hanno in tal modo dimostrato la propria volontà al massimo organo della regione.

Lo scorso 10 agosto il governatore Zaia ha quindi informato Indipendenza Veneta di aver concluso la prima fase di analisi della questione e di aver passato la palla direttamente al consiglio regionale per procedere negli approfondimenti necessari per indire il referendum che segnerà il passaggio fondamentale per l’indipendenza.

Il segretario di Indipendenza Veneta Lodovico Pizzati a tal proposito ha dichiarato: “Otterremo l’indipendenza a furor di popolo. La dichiarazione d’indipendenza è inevitabile. Secondo i sondaggi lo vuole la stragrande maggioranza di veneti. E’ solo questione di compiere i passaggi istituzionali richiesti dalla comunità internazionale. Sarà questo consiglio regionale a indire il referendum e sarà Luca Zaia il primo presidente pro tempore della nuova Repubblica Veneta che dovrà organizzare un’assemblea costituente subito dopo la vittoria del SI”.

Giunti a questo punto, il percorso istituzionale per l’indipendenza è chiaro e limpido: come noto, infatti, il combinato degli articoli 26 e 27 del nuovo statuto regionale (entrato in vigore il 18 aprile scorso con legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1), permette l’organizzazione di un referendum per l’indipendenza in ottemperanza con quanto previsto dall’art. 10 della costituzione che prevede che l’ordinamento giuridico italiano si conformi alle norme del diritto internazionale, tra le quali il patto di New York (legge 881 del 1977) – che stabilisce l’inalienabilità del diritto di autodeterminazione del Popolo Veneto – e la convenzione di Vienna del 1978, in tema di successione degli stati rispetto ai trattati, entrata in vigore nel 1996, che regola le modalità di subentro di nuovi stati indipendenti che si vengono a creare come avverrebbe, ad esempio, in virtù di un referendum per l’indipendenza veneta indetto dalla regione Veneto.

Nulla osta quindi da un punto di vista giuridico e politico affinché la regione Veneto indica senza indugio un referendum per l’indipendenza del Veneto.

Tale referendum non avrà impatto nemmeno sugli obblighi costituzionali, in quanto la disposizione degli effetti politici del referendum non avverrà per tramite del referendum stesso, ma per tramite di una dichiarazione di indipendenza che dovrà esser fatta dal consiglio regionale del Veneto, una volta preso della volontà espressa dal Popolo Veneto.

È sempre più chiaro pertanto che oggi per poter organizzare un referendum per l’indipendenza non mancano più i presupposti giuridici, ma solo la volontà politica di ottenere un mandato dai cittadini veneti, come voluto dal diritto internazionale. E la volontà politica del consiglio regionale la scopriremo ben presto, in conseguenza dell’azione del governatore del Veneto che li chiama ad assumersi le proprie responsabilità istituzionali.

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Il Quebec verso la sovranità: il momento è straordinario anche per Indipendenza Veneta

Fonte: http://indipendenzaveneta.net/il-quebec-verso-la-sovranita-il-momento-e-straordinario-anche-per-indipendenza-veneta/

Il mondo è un reticolo di relazioni, emozioni e situazioni che mutano il corso della storia con una dinamicità che fa emergere con grande forza i fenomeni che testimoniano l’apertura di una stagione di grandi cambiamenti.
È in questo scenario che riguarda tutto il mondo che il 4 settembre 2012 sarà ricordata come una giornata storica per il Quebec, grazie alla vittoria elettorale del Parti Québécois che ha conquistato 54 seggi nel parlamento del Quebec. Il leader del PQ, Pauline Marois, è pertanto la prima donna a divenire premier del Quebec. Keep Reading »

Gianluca Busato (Indipendenza Veneta) su TeleNuovo

Gianluca Busato (Indipendenza Veneta) ospite della trasmissione Rosso e Nero condotta da Mario Zwiner trasmessa da TeleNuovo il 3 settembre 2012. Keep Reading »

I media parlano di Indipendenza Veneta

Tratto da http://indipendenzaveneta.net/i-media-parlano-di-indipendenza-veneta/

Mentre continua l’azione politica senza sosta di Indipendenza Veneta con gazebi e attività nel territorio, i media danno rilievo al nostro progetto politico. Riportiamo a lato un articolo pubblicato oggi sul Gazzettino di Treviso.

Ricordiamo anche l’intervento di Gianluca Busato domani lunedì 3 settembre su TeleNuovo, dalle ore 12.50, nella prima puntata dopo la pausa estiva di Rosso & Nero.

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Protesta

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Julian Assange live message

Due mesi esatti dopo il suo ingresso nell’ambasciata dell’Ecuador, oggi alle 14 di Londra (le 15 in Veneto), Julian Assange, co-fondatore di WikiLeaks, parlerà al pubblico in merito alla crisi diplomatica internazionale creatasi sul suo caso tra Ecuador, Gran Bretagna e Svezia (con gli Stati Uniti sullo sfondo). Il suo intervento potrà essere visto in diretta all’indirizzo http://reuters.livestation.com/demo oppure su http://video.repubblica.it/copertina/londra-la-diretta-dall-ambasciata-dell-ecuador/103199/101579?ref=NRCT-41164456-5

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Indipendenza Veneta unica alternativa al pensiero croccante e al declino italiano

I veneti hanno il dovere di sostenere il progetto concreto per il loro futuro

Un agosto particolarmente caldo si appresta ad entrare nella sua ultima decade, mentre le notizie di casa nostra ed internazionali fanno da sottofondo al classico periodo di vacanze che la maggior parte dei veneti pare aver trascorso prevalentemente, se non del tutto, a casa propria.
Distrattamente si leggono le notizie che passano, quando alcune di queste sono gravi, anzi gravissime.
Come altrimenti commentare la morte brutale di 34 minatori sudafricani uccisi a freddo da un’azione di polizia sanguinaria, taciuta, o semplicemente ignorata dalla gran parte dei media italiani, che forse mal sopportano poliziotti neri che uccidono manifestanti neri. Per loro è quasi una non-notizia, anche se le scene di orribile macelleria che abbiamo potuto vedere non hanno forse paragoni con nessun altra brutalità in azioni di controllo dell’ordine pubblico.
Oppure la discesa negli inferi dell’oscurantismo più bieco da parte della Russia, che per volontà di Putin sceglie di condannare tre musiciste che avevano organizzato una manifestazione di opposizione politica in una chiesa, dimostrando tutta la propria debolezza e l’inconsistenza democratica di un grande Paese che merita un’emancipazione politica che oggi appare lontana, ancor più dopo l’arresto dell’oppositore del Cremlino Garry Kasparov che manifestava la propria solidarietà alle coraggiose Pussy Riot.
La settimana è stata ancora segnata dall’attacco contro il libero giornalismo, anche quando appare scomodo ai potenti del mondo, come Wikileaks, con il clamoroso incidente internazionale tra l’Ecuador che ha riconosciuto lo status di rifugiato politico a Julian Assange e la Gran Bretagna e la Svezia che cercano di assicurare il giornalista australiano più controverso del mondo moderno.
In un panorama mediatico internazionale così ricco di episodi clamorosi, la parte più grottesca spetta però alle notizie di carattere “interno” (speriamo per poco), dove un Monti sempre più alle corde parla di “stato di guerra” dell’Italia contro l’evasione fiscale, mentre nel contempo attacca addirittura la magistratura per difendere i privilegi della classe politica, ben rappresentata dalla sua massima istituzione, il capo dello stato.
Quanto asserito dal capo del governo in tema di evasione fiscale ci pare la classica notizia dell’uomo che morde il cane. Ma come fa il peggiore inferno fiscale del mondo a dichiarare guerra all’evasione? Intende forse eliminare anche l’aria che respiriamo? O forse metterci non più solo figurativamente ma anche nei fatti le catene e la palla al piede, trasformandoci da cittadini – anche se solo in forma illusoria – a schiavi anche nella forma oltreché nella sostanza, quali già siamo?
Ma con quale spudoratezza il primo esponente della casta politica, già consulente di Goldman Sachs, la prima a buttare a mare ogni speranza di salvezza tricolore, dismettendo il 91% dei titoli pubblici italiani che deteneva (forse perché ben conosce il nostro premier), oggi si erge a paladino dei più deboli e dei più giusti?
Crediamo che la crisi italica sia essenzialmente politica, di fiducia, oggi più che mai. E nessuna fiducia può essere riposta nella più inconcludente, fallimentare e corrotta pseudo-democrazia occidentale, avvitata in un declino oramai inarrestabile.
L’unica speranza che abbiamo per avere un futuro come ci spetta è di sostenere con grande forza Indipendenza Veneta, l’unico progetto politico concreto che oggi esista nel panorama politico veneto, l’unica alternativa legittima al declino italiano.
Spetta quindi ai cittadini veneti alzare la testa e rifiutare il ruolo di sudditi italiani, aderendo in massa al movimento per l’Indipendenza Veneta.

Gianluca Busato
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Il vuoto politico (e intellettuale) in Veneto lo può riempire solo Indipendenza Veneta

Nascondere il fallimento storico dell’Italia è una bestemmia in Chiesa

Ho aspettato qualche giorno che prendesse una qualche forma il nuovo incubatore politico di Oscar Giannino, Michele Boldrin e altri, più per rispetto per il secondo che per fiducia nel primo, prima di dire la mia, per quel poco che può valere.
E dato che in politica la sintesi è regina, anticipo subito che la proposta a parer mio è una delusione, un’enorme delusione, seppure non una sorpresa.
La delusione non viene dalla diagnosi, ampiamente condivisibile, che così le cose non possono andare avanti. E vorrei ben vedere, se valutiamo che l’impatto dell’attuale crisi è pari a quello di una guerra, almeno a giudicare dall’allargarsi della trasformazione delle nostre aree industriali in autentici e scioccanti cimiteri industriali.
No, la delusione viene dalla terapia proposta. O meglio, dall’accanimento teraupetico. Posso capire che nel corso della propria vita vi siano degli innamoramenti infantili o adolescenziali che in taluni intellettuali divengono dei dogmi di fede. Ma oggi voler nascondere il fallimento storico dell’Italia è una bestemmia in Chiesa.
E continuare a proporre salassi al suo corpo morto è ancor prima che uno sforzo vano, un’autentica perdita di tempo come ben afferma Luca Schenato, con la sua consueta lucidità.
Ho letto le proposte di FiD (Fermare il Declino) e mi paiono una riproposizione, pur argomentata con ben altro spessore, della rivoluzione berlusconiana del 1994. Ben sapendo che hanno altro da fare che leggermi, se potessi farmi ascoltare da loro, rivolgerei una domanda a Giannino e a Boldrin. Chiederei loro ciò che Stalin chiese al Papa: quante divisioni avete per attuare la vostra ricetta?
Oppure, se non ne avete, pensate anche voi di continuare a fare affidamento sui peggiori e più infidi alleati che possiate mai trovare nel vostro cammino, ovvero gli esponenti dal capitale italiano, drogato di assistenzialismo e di politica statalista, da Montezemolo alla Marcegaglia?
È illuminante e per molti aspetti condivisibile anche la sintesi espressa oggi da Linkiesta: in Veneto il vuoto politico (e io aggiungo anche intellettuale) è enorme e ben lontano dall’essere riempito.
In questo panorama credo che l’unico pensiero cui fare affidamento sia quello espresso da un altro economista italiano, Alberto Alesina. Finora la sua è l’unica terapia sensata che mi pare provenire dal mondo accademico, applicabile al caso Veneto e anche all’Italia: Economic Integration and Political Disintegration, per usare il titolo di un suo intervento scritto assieme ad Enrico Spolaore e Romain Wacziarg.
Che in altre parole – quelle che ci riguardano – si traduce nell’unica autentica e legittima alternativa al declino italiano, ovvero l’Indipendenza Veneta.

Gianluca Busato
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Fermare il declino? Fermiamo l’Italia!

Articolo originale pubblicato su http://libertarianation.org/2012/07/31/fermare-il-declino/

Fermare il declino

Non sono interessato alla politica partitica italiana. Non so chi siano gli attuali ministri, non so cosa stiano facendo gli attuali partiti, chi sia a capo di cosa e di sicuro non andrò a votare alle prossime elezioni politiche italiane. Il mio attaccamento dell’emigrante è rivolto verso il Veneto, non guardo telegiornali italiani e vi assicuro che non ascoltare ogni sera le cazzate e le dichiarazioni inutili di una pletora di parassiti vermilingui a Roma è un toccasana per la propria mente e per il proprio buon gusto.

Tuttavia attraverso il web sono venuto a conoscenza del fatto che è nata una cosa nuova che vede tra i suoi promotori, tra gli altri, gente che considero degnissima di rispetto come Oscar Giannino, Carlo Stagnaro e Alberto Mingardi (e anche Giuseppe Bottacin che conosco personalmente e stimo moltissimo). Si chiama Fermare il Declino (FiD) e, da quello che ho capito, non è un partito nuovo. Leggo nel sito che:

auspichiamo la creazione di una nuova forza politica – completamente diversa dalle esistenti – che induca un rinnovamento nei contenuti, nelle persone e nel modo di fare politica. Cittadini, associazioni, corpi intermedi, rappresentanze del lavoro e dell’impresa esprimono disagio e chiedono cambiamento, ma non trovano interlocutori. Ci rivolgiamo a loro per avviare un processo di aggregazione politica libero da personalismi e senza pregiudiziali ideologiche, mirato a fare dell’Italia un paese che prospera e cresce. Invitiamo a un confronto aperto le persone e le organizzazioni interessate, per costruire quel soggetto politico che 151 anni di storia unitaria ci hanno sinora negato e di cui abbiamo urgente bisogno.

Quindi non è un partito ma auspicano la creazione di una nuova forza politica, quindi è l’embrione di un nuovo partito, ok. Personalmente ritengo che per fermare il declino dell’Italia l’unica cosa da fare sia fermare l’Italia, ossia la cessazione dello stato italiano nell’estensione territoriale con il quale lo conosciamo oggi, ossia la nascita di diversi stati indipendenti al posto dello stato italiano. Quando un sistema si basa unicamente sul parassistismo della classe politica che a pioggia rende parassita buona parte della popolazione (esproprio dal nord al sud, dai produttori ai consumatori di ricchezza altrui) caricando sul restante il peso di tutto (una delle tassazioni più alte al mondo), non resta altro da fare che terminare quell’esperimento non riuscito di 151 anni caricando ogni popolazione delle proprieresponsabilità e andando avanti con i propri piedi.

Le dieci proposte di FiD sono anche parzialmente condivisibili, per carità, però le trovo del tutto inutili per la situazione italiana per il fatto che ho scritto prima. Le elenco brevemente:

  1. Ridurre l’ammontare del debito pubblico.
  2. Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni.
  3. Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni.
  4. Liberalizzare rapidamente i settori ancora non pienamente concorrenziali.
  5. Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti.
  6. Adottare immediatamente una legislazione organica sui conflitti d’interesse.
  7. Far funzionare la giustizia.
  8. Liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne.
  9. Ridare alla scuola e all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica delle nuove generazioni.
  10. Introdurre il vero federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo.

Penso che siano cose normali per una normale liberaldemocrazia, cosa che lo stato italiano non è, e quindi viste come rivoluzionarie. Ritengo quindi che FiD sia un progetto inutile, e scusate la franchezza. Nonostante la normalità (pure troppo) delle proposte, queste sono del tutto inattuabili nel contesto italiano. Uno stato centralista che si trasforma in federalista? E la Sicilia come farebbe a rimanere in Italia? Far funzionare la giustizia? E la casta dei magistrati che arresterà per lesa maestà per primo? Giannino o Stagnaro? Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti? E quando ci saranno scioperi a oltranza del settore publico non si capitolerà? Un partito che in Italia volesse attuare questonormale programma dovrebbe avere almeno il 70% dei consensi per scardinare il parassitismo democratico italiano. Fattibile?

Quello che voglio dire è che il tempo, le energie e il denaro sono limitati e spendere questi tre fattori in azioni che probabilmente non porteranno a nulla è un peccato. Il mio è un discorso pessimista/massimalista? Non lo so, ma credo che lo stato italiano sia un male da superare e non da riformare (perché inattuabile).

Luca Keep Reading »

La crisi dei debiti sovrani stronca l’illusione dell’autonomia. Indipendenza Veneta unica salvezza

 

C’è già una prima vittima illustre nella crisi economico-sociale che in questi giorni attanaglia la vecchia Europa, in particolare quella del sud. In attesa di sapere che fine farà l’euro e gli stati più esposti con debiti spaventosi, vergognosi e ingiustificabili, il primo cadavere che affiora sul mediterraneo è il sogno dell’autonomia possibile.

L’unica salvezza per noi si chiama Indipendenza Veneta.

Per decenni anche il Veneto è stato ostaggio dell’illusione politica portata avanti dalla lega nord e da alcuni piccoli partiti venetisti che fosse possibile ottenere dallo stato centrale la concessione di forme di autonomia. L’esempio che tutti i politici autonomisti citavano era sempre quello: la Catalogna.

Oggi la Catalogna ha accumulato un debito monstre di 41,6 miliardi di euro pari a più di un quinto del proprio pil.

Ma come è potuto avvenire che il sistema federale tanto decantanto dai politici di casa nostra come modello da imitare nel corso di questi anni sia riuscito ad indebitarsi in un modo così impressionante?

In passato alle regioni spagnole veniva riconosciuta l’autonomia di spesa, ma non potevano determinare le entrate. Il risultato fu la completa deresponsabilizzazione politica di tali enti, che fino a metà degli anni ’90 coprivano i propri fabbisogni con trasferimenti statali (che coprivano circa il 70% delle spese, con eccezione di Paesi e Navarra, già autonomi anche fiscalmente, secondo il regime di autonomia definito “forale”).

Dal 1993 fu introdotto progressivamente un ampliamento dei poteri impositivi regionali anche a tutte le altre 15 comunità autonome in regime “comune” (tra cui la Catalunya), che attraverso diverse fasi e riforme del sistema di finanza pubblica ha aumentato la loro autonomia anche fiscale, con la cessione di maggiore tributi statali, inclusi i poteri impositivi. I tributi ceduti pur continuando ad essere di titolarità statale, vengono quindi devoluti – parzialmente o in toto – sia nel rendimento sia nella gestione alla singola regione. Le comunità autonome godono quindi del 33% del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (con una serie di facoltà nella definizione dell’imponibile e dell’aliquota) del 35% dell’iva, del 40% delle imposte sugli idrocarburi, tabacco, alcol e birra e la totalità delle imposte sul patrimonio, successioni e donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici documentati e del gettito delle imposte sull’elettricità ed immatricolazione dei veicoli, dell’imposta sugli idrocarburi e e della tasse sul gioco.

Il giochino ha funzionato per diversi anni, permettendo in particolare alla forza politica egemone in Catalunya, Convergència i Unió (CiU), di crearsi una rete di consenso politico basato anche e soprattutto sulla propria capacità di gestire la spesa pubblica a fini politici. Il risultato pareva interessante e a tutto vantaggio dell’autonomia, mentre in realtà il sistema nascondeva l’inefficienza di una deresponsabilizzazione congenita presente in un sistema autonomo, che vede sfuggire la responsabilità politica di chi mette in pratica un regime di spesa pubblica divenuto nel tempo folle, seguendo la chimera populista e socialista tanto in voga in Europa, purtroppo. È bastato quindi che scoppiasse la bolla immobiliare per far emergere il bluff, per citare il mio amico Claudio G. Hutte, e far saltare la partita di poker dei politici autonomisti catalani e rendere insostenibile un gioco basato sull’irresponsabilità.

Il default catalano segna anche la grave crisi di CiU e del sogno politico autonomista iniziato storicamente con Jordi Pujol e oggi portato avanti da Artur Mas.

Tradotto in termini veneti, l’esempio catalano dimostra anche la fine del sogno della lega nord (Łiga Veneta) e dei mille tentativi autonomisti che ancora oggi pensano di continuare a portare avanti un gioco basato sull’irresponsabilità politica e della spesa pubblica facile, che determina il fenomeno del voto di scambio democratico, che baratta il consenso politico con un oceano finanziariamente incolmabile di piccoli privilegi al popolino, che distruggono prima di tutto culturalmente e poi economicamente anche i tessuti competitivi più forti.

Con la crisi finanziaria dell’eurozona a nostro avviso muore – in termini generali – l’intero pensiero politico populista e socialdemocratico europeo e tutte le sue derivazioni locali, comprese quelle autonomistiche. Solo una completa e RESPONSABILE indipendenza politica può permetterci di avere il futuro che ci spetta, liberi dalle promesse dei politici, dai loro sprechi e dai debiti che ammazzano le giovani generazioni, ma anche il presente.

Coi schei no se schersa.

Gianluca Busato
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